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Dallo sport all’arte: il museo di un magnifico collezionista

  • Pubblicato il: 09/09/2011 - 09:01
Rubrica: 
SPECIALI
Articolo a cura di: 
Sandro Parmiggiani
Facciata della galleria

Inaugurata l’11 ottobre 1931, la Galleria Ricci Oddi compie ottant’anni, e nell’occasione ripropone non solo lo splendore della propria collezione ma un progetto, in corso di realizzazione, per fare del museo il perno di importanti eventi espositivi. Del resto, sarebbe del tutto erroneo pensare che il passare del tempo abbia in un qualche modo offuscato l’interesse della collezione messa assieme dal mecenate piacentino Giuseppe Ricci Oddi (1868-1937) e che vanta opere che vanno dalla seconda metà dell’Ottocento ai primi decenni del Novecento. Quando, nel 1897, Ricci Oddi fa ritorno nella città natale, dopo gli studi di giurisprudenza a Roma e a Torino, il palazzo di via Poggiali, di cui è proprietario e in cui va ad abitare, gli appare desolatamente vuoto, anche perché la Banca d’Italia, che ne aveva fatto la propria sede, si è nel frattempo trasferita in un altro edificio. Ricci Oddi comincia ad acquistare opere soprattutto per rendere meno spoglie le pareti intorno a lui. Al principio lo fa episodicamente, a fasi alterne perché «distratto dalle molteplici passioni sportive». Dal 1902 prende finalmente corpo il progetto di una collezione, incentrata sui caratteri e sulle esperienze regionali dell’arte italiana, soprattutto della pittura, tra metà Ottocento e primi del Novecento. La «passione privata» vigorosamente si sviluppa, s’accentua ancor di più alla fine degli anni Dieci, e fino, e oltre, la sua naturale mutazione in «pubblica virtù», quando Ricci Oddi concepisce e matura l’idea di donare la propria raccolta al Comune di Piacenza. La sua personale esperienza («Provo un ineffabile diletto e sollievo raggirandomi nelle mie stanze fra la moltitudine silenziosa, eppure tanto eloquente, dei miei quadri») deve essere condivisa non solo dagli appassionati, dagli artisti, ma anche dalla «massa dei visitatori».
La donazione, ufficializzata nel dicembre 1924, prevede che l’amministrazione pubblica appresti l’area su cui Ricci Oddi stesso, a proprie spese, farà costruire il nuovo Museo, che ospiterà la collezione e i suoi arricchimenti futuri. E il progetto dell’edificio viene da lui affidato all’amico architetto Giulio Ulisse Arata. All’apertura del museo, la collezione Ricci Oddi conta più di quattrocento opere, ordinate secondo le esperienze regionali della pittura italiana, anche se ci sono sale personali dedicate a nuclei consistenti di opere, rispettivamente ad Antonio Fontanesi (due sale), Antonio Mancini, Giuseppe Casciaro e agli artisti stranieri (tra gli altri, Carl Larsson, con «La mia bambina con le fragole», 1904, e Gustav Klimt, il cui «Ritratto di signora», 1910-17, sarà trafugato nel 1997).

L’esperienza degli ultimi decenni ci ha insegnato che ci possono essere esposizioni che attirano molti visitatori sbandierando un qualche grande nome, magari usato come «specchietto per le allodole», se si considera l’effettiva presenza delle opere di quell’artista, mentre raccolte che sono dei veri e propri scrigni di gemme possono essere a lungo ignorati e sottovalutati nelle preferenze del pubblico. La collezione Ricci Oddi non segue, né ne ha i mezzi per farlo, una politica promozionale arrembante, eppure potrebbe calare sul tavolo opere e nomi di grande valore, e ancora oggi essa impressiona per la qualità di molte dei suoi lavori e per la ricchezza del profilo dell’arte italiana di un periodo che essa permette di conoscere e ricostruire. Visitare le diciannove sale in cui è disposta la collezione (secondo l’ultimo ordinamento dell’ex direttore, Stefano Fugazza, prematuramente scomparso nel 2009) significa vedersi scorrere davanti, e potere seguire nel suo sviluppo, quasi cent’anni di arte italiana.
Certo, trattandosi di una collezione, ci sono nomi, anche importanti, che mancano, e gli esiti di qualche forse troppo accentuato innamoramento di Ricci Oddi; ma questa è l’intima struttura delle collezioni. Ci sono tuttavia presenze che paiono felici intuizioni sugli sviluppi dell’arte del Novecento: pensiamo al consistente nucleo, ottanta, di disegni e di dipinti di Antonio Fontanesi, tra i quali citiamo almeno «A Parella. Paesaggio con figure», 1870-80, alle dieci opere che Ricci Oddi acquistò di Antonio Mancini, tra cui la memorabile «Servetta» del 1885-90, nelle quali si possono vedere le innovazioni introdotte dall’artista nella materia pittorica e nei contrasti del colore, alle quattro opere di Mario Cavaglieri, tra le quali «Piccolo interno» del 1920, dipinti ai quali si potrebbe idealmente collegare, come emblema di una linea dell’arte italiana che sfocerà nell’informale, il dipinto di Arturo Tosi, «Agro di Rovetta» del 1924. Nelle sale della Ricci Oddi, ecco susseguirsi gli artisti emiliani, toscani, liguri e piemontesi, gli «orientalisti», Antonio Fontanesi e i fontanesiani, gli artisti lombardi, gli «scapigliati», gli artisti piacentini, con Stefano Bruzzi e Francesco Ghittoni.

Proprio a una delle glorie dell’arte locale la Ricci Oddi s’appresta a dedicare una mostra, a cura di Andrea Baboni, articolata in due sezioni: «Stefano Bruzzi. La poetica della neve», alla Ricci Oddi, dal 22 ottobre 2011 al 2 febbraio 2012; «Stefano Bruzzi. Un macchiaiolo tra Piacenza e Firenze», alla Fondazione di Piacenza e Vigevano, dal 29 ottobre 2011 al 19 febbraio 2012.
E ancora, gli scultori, Antonio Mancini, la pittura del Meridione, i simbolisti, gli artisti veneti, la piccola pattuglia di artisti stranieri, fino ad alcune belle opere del Novecento italiano. Per dare un’idea sommaria del «giacimento» della Ricci Oddi, indichiamo, in ordine cronologico, alcune delle opere, che a noi sembrano di maggiore interesse, che vi si possono vedere, oltre quelle già citate: «Ritratto d’uomo», 1834, di Francesco Hayez; «Soldati di cavalleria», 1861-64, di Giovanni Fattori; «Amaro calice», 1865, di Tranquillo Cremona; «Passo difficile», 1870, e «Ritorno dal mercato dopo la nevicata», 1887, di Stefano Bruz- zi; «Stagno», 1880, di Auguste Ravier; «Ritratto di signora», 1880, di Giovanni Boldini; «Piazza d’Anversa a Parigi», 1880, di Federico Zandomeneghi; «La culla vuota», 1881, di Giovanni Segantini; «Mammina», 1877, e «Il morticello», 1884, di Francesco Paolo Michetti; «Intorno al paralume», 1883, di Giuseppe De Nittis; «Paesaggio a Brembate-Sotto», 1883-84, di Giovanni Carnovali detto il Piccio; «Haschisch: le fumatrici di oppio», 1887, di Gaetano Previati; «Pagliai al sole», 1890, di Silvestro Lega; «Si- rena», 1900, di Giulio Aristi- de Sartorio; «La colonna di fumo», 1900, di Plinio Nomellini; «Tramonto», 1900-02, di Giuseppe Pellizza da Volpedo; «Ritratto all’aria aperta», 1902, di Giacomo Grosso; «Arco di Tito a Roma», 1905, di Lorenzo Del- leani; «Ecce puer», 1906, di Medardo Rosso; «Ritratto della madre», 1910, di Umberto Boccioni; «Cavallo bianco», 1910, di Beppe Ciardi; «Il parroco dell’ Angelo Raffaele», 1917, di Guido Cadorin, «Alberta Planet», 1918, di Adolfo Wildt; «La colazione del mattino», 1919, di Amedeo Bocchi; «Quiete», 1921, di Felice Carena; «Ritratto di Bruno Barilli», 1928, di Massimo Campigli; «Natura morta», 1930, di Piero Marussig; «Preghiera del mattino», 1931, di Vincenzo Irolli; «Donne in barca», 1933-34, di Felice Casorati; «Vaso di fiori con pipa», 1937, di Filippo De Pisis, fino alle acquisizioni, nel Novecento, di altre opere, tra cui un nucleo di sculture, soprattutto ritratti, di Francesco Messina, e «Finestra sul mare», 1953, di Bruno Cassinari.

A quest’ultimo artista Piacenza dedicherà nella primavera del 2012, a cent’anni dalla nascita, una mostra antologica, con sedi alla Ricci Oddi e a Palazzo Farnese. All’inaugurazione della mostra di Stefano Bruzzi, la Galleria Ricci Oddi esibirà l’appena restaurato portone d’onore, ma è soprattutto l’ambizioso progetto di ampliamento voluto e sostenuto dall’intera città che suscita interesse e aspettative. La Ricci Oddi soffre, dall’inaugurazione, della impossibilità di avere a disposizione un adeguato spazio per le mostre temporanee. Ora, il progetto che si sta realizzando colmerà questa lacuna: la Fondazione di Piacenza e Vigevano ha acquisito un palazzo contiguo alla Ricci Oddi, già opificio negli anni Venti e poi sede dell’Enel, lo sta facendo ristrutturare e lo darà in comodato al Comune di Piacenza, per ospitare importanti eventi espositivi e ampliare la sezione permanente dedicata agli artisti piacentini. La Galleria Ricci Oddi deve fare i conti, come tante istituzioni culturali, con una cronica mancanza di fondi, in particolare per la manutenzione ordinaria e straordinaria; eppure, l’Istituto Beni Culturali della Regione Emilia-Romagna l’ha riconosciuto come «museo di qualità», e ora la Ricci Oddi vuole tenacemente ribadire e rilanciare la propria presenza, affermare il ruolo che le compete. Oltre alle due mostre di Bruzzi e Cassinari in cantiere, l’11 ottobre 2011, a ottant’anni dall’inaugurazione, si terrà un convegno sull’architettura, e un ancora più importante appuntamento è previsto nel 2012, con una mostra itinerante dedicata, nel cinquantenario della morte, a Giulio Arata, uno dei protagonisti del rinnovamento dell’architettura italiana nel primo Novecento, che progettò la Ricci Oddi e operò in molte città italiane, tra le quali Roma e Napoli. L’esposizione verrà realizzata in collaborazione con gli Ordini degli Architetti di Bologna, Piacenza e Ravenna. Dunque, un fervore di iniziative e di progetti che paiono essere un lascito e uno sviluppo dell’attività, competente e lungimiran- te, di Stefano Fugazza, il giovane direttore che amava l’arte e la letteratura (ricordiamo la rivista, da lui diretta assieme a Gabriele Dadati, «Ore piccole»), e che troppo presto ci ha lasciati, ma che ancora vive nella memoria dei tanti che, a Piacenza e altrove, ebbero modo di lavorare con lui o di incontrarlo nel cammino della propria vita.
 
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