Come ti dipingo le pareti
Madrid. Il Museo Thyssen-Bornemisza e la Fundación Caja Madrid aprono la stagione con la grande mostra che ogni anno organizzano congiuntamente: «Architetture dipinte» presenta oltre 140 opere dal Rinascimento al Settecento, in cui spiccano edifici, agglomerati urbani o rurali, ruderi e strutture architettoniche in generale. L’obiettivo della mostra, aperta dal 18 ottobre al 22 gennaio, è ripercorrere la storia e l’evoluzione di questi elementi iconografici, che in un primo momento sono usati come scenografia o complemento del soggetto principale, per diventare un genere indipendente dal XVIII secolo. Duccio di Buoninsegna, Canaletto, Guardi, Giovanni Paolo Panini, Gentile Bellini, Tintoretto, Annibale Carracci, Gaspar van Wittel, Hubert Robert, Maerten van Heemskerck e Hans Vredeman de Vries sono alcuni dei grandi nomi della pittura che si servirono del potere descrittivo dell’architettura. Infatti, dietro alla loro apparente obiettività queste città, palazzi, edifici effimeri e rovine occultano simboli, allegorie e forme di propaganda politica o religiosa molto più complessi. «Dipingere architetture significava stabilire la scena del movimento e la posizione delle figure, dotarle di un luogo spaziale e visivo verosimile, storico o mitico, reale o leggendario», spiegano i curatori della mostra Delfín Rodríguez, docente di Storia dell’arte dell’Università Complutense di Madrid, e Mar Borobia, conservatore capo di Pittura antica della Thyssen, che hanno ottenuto prestiti da collezioni private e musei di tutto il mondo, tra cui i Musei Vaticani e la National Gallery di Washington.
La rassegna, che segue un ordine cronologico e tematico allo stesso tempo, inizia nelle sale del Museo Thyssen, che accolgono la produzione compresa tra il ’300 e il ’600, quando dipingere architetture e scorci cittadini era ancora considerato un genere minore, anche se frequentemente utilizzato come sfondo di scene religiose, storiche o mitologiche. Il trionfo del genere, a partire dal Settecento, occupa le sale della Fundación Caja Madrid, con le opere dei grandi maestri di vedute, di città del Grand Tour e dei ruderi coperti di vegetazione, che affascinavano gli spiriti romantici. La situazione iniziale si è ribaltata e la scena storica o religiosa è diventata un pretesto quasi aneddotico per dipingere grandi e meravigliosi paesaggi. È l’epoca dei capricci architettonici, dove città reali e monumenti storici si mescolano con edifici fantastici e immaginari, spesso simboli o metafore di nuove idee artistiche e di messaggi iniziatici. Il percorso si chiude con un’ode visiva alla poetica delle rovine che si plasma nelle tele di Marco Ricci, Hubert Robert e Claude Joseph Vernet, e in un insieme di incisioni di Piranesi.
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da Il Giornale dell'Arte numero 313, ottobre 2011