Come si comunica in tempo di crisi? Le aziende e il Sistema-Paese
Milano. Dopo un modesto segnale di ripresa degli investimenti in comunicazione nel 2010, il primo semestre 2011 si presenta indiscutibilmente stagnante. Sono i dati forniti dall’UPA, l’associazione che riunisce il 90% degli investitori pubblicitari italiani: più di 500 piccole, medie e grandi aziende che ogni giorno comunicano i loro prodotti e servizi. Gli investimenti pubblicitari complessivi in Italia si attestano sugli 8 miliardi di euro all’anno, mentre quelli in pubbliche relazioni (sponsorizzazioni e attività promozionali) sui 5 miliardi di euro e si va da grandi investitori – come Telecom e Vodafone – con budget da 260 milioni di euro annui, a investimenti più ridotti, su 1 milione di euro, ma il trend complessivo è chiaro: ripensare il budget selezionando priorità precise. Quale destino spetta agli investimenti culturali?
L’abbiamo chiesto a Lorenzo Sassoli de Bianchi, imprenditore poliedrico di formazione scientifica e storico-artistica. Fondatore e Presidente di Valsoia, società leader nell’alimentazione salutistica, dal 2007 Sassoli de Bianchi è presidente dell’UPA – Utenti Pubblicitari Associati e quest’anno è stato riconfermato alla Presidenza del MAMbo di Bologna. Laureato in Medicina si è poi specializzato in Critica d’Arte a Firenze, sotto la cattedra di Carlo Lodovico Ragghianti. Attivo in prima persona in numerosi progetti culturali del territorio bolognese e con esperienze di vicepresidenza nel Consiglio Regionale per i Beni Culturali dell’Emilia Romagna, Sassoli de Bianchi ha pubblicato diversi saggi sull’arte moderna e, più recentemente, sulla pittura contemporanea cinese.
Come cambia l’investimento culturale nelle strategie di comunicazione delle imprese?
Oggi l’investimento culturale può essere visto dalle aziende come un investimento da differire o da sospendere in attesa di tempi migliori. Coloro che sono entrate significativamente nel mondo della cultura si stanno fermando in attesa di recuperi o chiedono alle istituzioni culturali di evolvere i modelli di collaborazione per raggiungere in modo più efficace i pubblici riferimento. In generale, gli investimenti in cultura devono avere come base, sempre di più, il concetto di partnership, superando il modello dell’erogazione a pioggia. Oggi sono le stesse aziende a chiedere a chi si propone di essere sostenuto piani molto precisi, che prevedano la compartecipazione dell’azienda e, soprattutto, un'ipotesi di ritorno sul cliente.
Quali sono oggi le ragioni più valide per investire in cultura?
Le ragioni per investire in cultura dipendono, naturalmente, dall’obiettivo. La sponsorizzazione, cioè un sostegno finanziario a un'istituzione culturale – un teatro, un museo – deve essere accompagnata da un’attività di pubbliche relazioni che rafforzi l’intervento. Questo è l’approccio saggio che può garantire un ritorno all’azienda, anche se esiste un discorso importante e parallelo di responsabilità sociale.
Un concetto percepito con chiarezza dalle imprese?
Sì, oggi è chiaro che il capitale culturale determina un contesto vitale, un contesto favorevole alla produzione di prodotti e servizi migliori, con migliori ritorni economici. Soprattutto per le aziende importanti, la responsabilità sociale oggi è un tema centrale che si muove in diverse direzioni: la cultura, la solidarietà, la ricerca scientifica. Nel settore culturale esiste, però, un certo disorientamento dovuto alla scarsa chiarezza delle politiche culturali pubbliche, una direzione di marcia non lineare, che non favorisce la costruzione di modelli di cooperazione pubblico-privato di successo. Se prendiamo il caso Della Valle notiamo quanto sia grandioso, virtuoso, perché di compartecipazione e di risposta per salvaguardare uno dei monumenti più importanti del mondo, un elemento simbolico per la nostra identità culturale.
Ritiene che possa innescarsi un «Effetto Della Valle», con la costruzione di progetti analoghi da parte di altre grandi imprese?
Il progetto per il Colosseo ha lasciato un segno molto positivo. E’ importante che se ne parli, anche se bisogna ricordare che le imprese più piccole possono fare molto per i loro territori, anche con budget decisamente più ridotti, come è avvenuto per esempio nella provincia de L’Aquila dopo il terremoto.
Muovendosi in collaborazione con gli enti pubblici?
Le aziende sentono la totale mancanza di scelta da parte di chi ci governa, sia sul piano nazionale, che su quello locale. A livello statuale e locale, Paesi europei come la Germania e la Francia hanno scelto di puntare sui loro punti di forza, mentre l’Italia cerca di costruire delle difese quando ormai non c'è più tempo di farlo e quando, soprattutto, non rispondono a una strategia o un pensiero. La crisi ci costringe a reagire, a ripensare quello che potrebbe essere il nostro Paese e ci appare chiaro quanto la cultura rivesta un ruolo centrale. Dovremmo disegnare un nuovo «Progetto Paese» iniziando a scegliere i punti di forza su cui puntare, anche rinunciando ad altre opportunità, perché in un mondo globalizzato la competizione si gioca sull’eccellenza.
❑ Lorenzo Sassoli de Bianchi è Presidente di UPA – Utenti Pubblicitari Associati, di Valsoia e del MAMbo Museo d’Arte Moderna di Bologna. Siede in numerosi consigli di amministrazione di istituzioni culturali del territorio bolognese come la Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna, il Centro San Domenico, l’Associazione Micro.bo e l’Associazione musicale Bologna Festival.
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