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Come se la cavano i musei americani?

  • Pubblicato il: 28/10/2011 - 13:43
Autore/i: 
Rubrica: 
DAL MONDO
Articolo a cura di: 
Valeria Cantoni, Presidente Art for business
Julian Zugazagoitia

Negli Stati Uniti, come in altri Paesi, la Pubblica Amministrazione ha contratto i propri investimenti culturali. Le imprese sono capaci di sostituire il deficit che si è creato?
Negli Stati Uniti le fonti di finanziamento per il sostegno alle arti provengono principalmente da soggetti privati; una grande differenza rispetto alla maggior parte dei Paesi europei dovuta al fatto che negli Stati Uniti non esiste un Ministero della Cultura che centralizza gli investimenti in cultura. Per darvi un’idea: il budget complessivo per gli investimenti culturali dell’Agenzia Federale Americana è più piccolo del budget dell’Ufficio Affari Culturali della città di New York.
Anche se è stato provato che il finanziamento pubblico alle arti è un buon investimento e incita l’investimento privato, la crisi economica ha esaurito ogni disponibilità di spesa pubblica. Il settore privato ha risentito della crisi allo stesso modo e le fondazioni, che in media stanziano i loro finanziamenti con una programmazione dai tre ai cinque anni, devono ancora riprendersi dal crollo finanziario iniziato nel 2008.
In questa situazione di crisi, quali sono le strategie di raccolta fondi adottate dai grandi musei americani?
Il fundraising è tornato alle origini. Se da un lato ci sono individui, fondazioni e imprese che supportano principalmente le arti, ciò che si è fermato è la creazione da parte delle istituzioni culturali di una relazione personale e significativa che potrebbe motivare e soddisfare le aspirazioni dei donatori e allo stesso tempo generare un impatto positivo e misurabile sul benessere della società in cui operano.
Come definirebbe il trend in atto? Qual è la relazione tra i musei e i loro sponsor? Si tratta soltanto di sponsorizzazioni e donazioni oppure di un coinvolgimento reciproco nella programmazione? La relazione con lo sponsor è di breve o lungo periodo?
Questo è un momento in cui si deve essere creativi e individuare più attentamente i meccanismi decisionali che innescano l’erogazione filantropica da parte dei donatori. Questa attenzione dovrebbe portare a costruire una relazione più profonda e duratura con i donatori principali.
Allo stesso modo oggi è più importante che mai essere attrattivi per nuovi sponsor che vogliano raggiungere la stessa visibilità filantropica e lo stesso status sociale dei loro pari.
In che modo e in quale percentuale la Pubblica Amministrazione contribuisce alla vita delle organizzazioni culturali?
Il Nelson-Atkins riceve meno dell’1% del suo budget annuale da fondi pubblici. Negli anni abbiamo beneficiato di una somma enorme di elargizioni private filantropiche, una generosità che ci ha concesso di avere una sana dotazione di risorse economiche e, allo stesso tempo, intratteniamo relazioni con fondazioni, imprese e individui. Questa combinazione ci permette di raggiungere con successo la nostra missione. Il museo soddisfa le aspirazioni di molti donatori attraverso le mostre e le borse di studio, ma anche attraverso i suoi numerosi programmi educativi e di scambi internazionali.
Le attività educative rientrano nelle strategie di sponsorizzazione? Che tipo di attività educative svolgete?
In un momento in cui la scuola non investe sul curriculum artistico, i musei sono diventati una risorsa indispensabile per le loro comunità di riferimento. Riconoscendo gli esiti negativi del programma artistico K-12 e delle attività artistiche del dopo scuola, molti musei e i loro donatori vogliono riempire questo vuoto. I bisogni variano dal creare e sostenere i programmi educativi a pagare i trasporti per i bambini dalla scuola verso il museo e viceversa.
Lei ha lavorato in Italia. Quali sono le differenze tra il modello di sponsorizzazione americano e quello europeo? Quali sono le differenze nella relazione con gli sponsor?
Secondo il mio punto di vista, avendo lavorato e mantenendo ancora stretti legami con l’Europa, il modello americano sta cominciando a evolversi verso quello che sarà un mix di finanziamenti alle arti. Dalla mia esperienza, il fundraising può essere molto gratificante perché è una relazione che può coinvolgere un vasto gruppo di persone nel supportare le arti attraverso la condivisione di significati. Se gestito correttamente, il fundraising permette di costituire in modo naturale una comunità che si sente proprietaria e investitrice in prima persona dei programmi che finanzia. Questa, io credo, è una modalità molto democratica di validare le iniziative culturali e lascia alle persone la capacità di valutarne l’ampio impatto sulla società.

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