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Cogliere le opportunità in Europa

  • Pubblicato il: 10/01/2014 - 12:59
Autore/i: 
Rubrica: 
FONDAZIONI D'ORIGINE BANCARIA
Articolo a cura di: 
Stefania Crobe

Quale potenziale possono esprimere oggi le Fondazioni di origine bancaria a fianco delle istituzioni culturali? Qual’è il ruolo che si va delineando per la Fondazione CRT, come uno dei principali attori di sistema piemontese?
Il ruolo di sostegno a fianco degli enti territoriali, guardando anche allo storico dell’attività delle fondazioni, c’è sempre stato e continuerà ad esserci. È una componente che non si può negare: le fondazioni hanno la missione di intervenire, a volte anche laddove le politiche pubbliche non possono o non arrivano, tipicamente attraverso il sostegno classico che è quello del granting erogativo. Tuttavia, oggi riteniamo parimenti importante il ruolo di innovazione affidato a nuove forme di intervento quali la venture philanthropy o social entrepreneurship.

Il 6 dicembre, con Fondazione Cariplo, avete varato una giornata di confronto per gli operatori culturali sulle opportunità del nuovo programma di finanziamento comunitario, Creative Europe. La formazione di consapevolezze e competenze è una vostra nuova pista di intervento?
È un po’ un esperimento, sia per la tipologia di giornata che per la forma di collaborazione diretta sul tema con un’altra fondazione. Il nuovo ciclo di finanziamenti europei è un’entusiasmante novità: per la prima volta l’Europa dedica con tale rilevanza risorse finanziarie alla creatività, elemento immateriale e quindi spesso considerato poco misurabile dal punto di vista economico finanziario, per lo meno nell’accezione “burocratica” corrente. La volontà di fare massa critica con un’altra fondazione su un tema che generalmente non è considerato un asset principale dell’economia è già fare sperimentazione. Anche dimostrare che le fondazioni possono cooperare, a livello locale (come già ad esempio reciprocamente viene fatto con la Compagnia di San Paolo) così come a livello nazionale, è anche fare sperimentazione: occorre far sì che l’Italia sappia prepararsi a livello nazionale nei confronti degli altri competitor, ovvero gli altri paesi dell’Unione che siederanno alla ripartizione dei fondi strutturali.

L’Italia non ha brillato nella capacità di accesso ai fondi comunitari..
Proprio per questo vogliamo che la nostra iniziativa riesca, alla luce dei risultati poco brillanti del passato. In un momento di risorse scarse, dobbiamo comprendere se le idee ci sono, e non ci sono dubbi che ci siano, ma hanno difficoltà a superare la fase embrionale teorica per sostanziarsi in una capacità progettuale competitiva che le renda sostenibili. Proviamo a far emergere le idee, dando strumenti e informazioni per farle crescere.

In un’ottica glocal.
Si, penso che il territorio vada considerato come oggetto di ‘azione di valorizzazione’ su scala globale che può essere rafforzata nel tempo se le eccellenze vengono esportate, fatte conoscere al mondo e non relegate su scala locale. Il territorio non dev’essere una gabbia, ma un punto di riferimento in un insieme di scambi  biunivoci con l’ambiente circostante.

Quest’esperimento ha una dimensione molto forte di scalabilità e potrebbe esser un’esigenza avvertita in tutto lo stivale. Il valore che esprimete va quindi oltre l’erogazione e si configura in un percorso di accompagnamento. Quali saranno gli step successivi?
Riteniamo sul tema vadano costruite informazioni e formazione e quindi auspichiamo che il nostro approccio si sviluppi anche a livello associativo, in Acri. Non è un caso se l’incontro annuale dei segretari generali delle fondazioni di origine bancaria verterà quest’anno sulla progettualità europea. Credo anche che le fondazioni, che rappresentano un punto fermo nel sostegno al territorio, abbiano la necessità di confrontarsi su come meglio utilizzare le proprie risorse sotto vincoli di bilancio che si sono fatti via via più stringenti. La lista delle richieste del territorio è ampia, ma occorre lavorare per priorità e progetti mirati.

Come possiamo definire la vostra strategia connessa al mondo culturale?
Conservare per reinventare, vista l’ampiezza del patrimonio storico del Piemonte. Cucendo il bene con il contesto. Stimolando una nuova capacità progettuale e imprenditoriale, anche sul modello di quanto già avviene in alcuni paesi. Puntando alla produzione creativa.

Un indirizzo che si tradurrà nelle OGR-Officine Grandi Riparazioni, l’area di archeologia industriale che avete recentemente acquisito?
Le OGR sono un progetto di cui si è molto parlato. Sto lavorando al tema sin dal mio arrivo in Fondazione. Nella realtà le OGR hanno rappresentato in primis un peculiare progetto immobiliare del quale occorreva affrontare i “fondamentali”. Si è reso necessario reimpostare il progetto complessivo riportandolo alla concretezza. Le OGR sono immobili di grande fascino storico e culturale, un pezzo della storia industriale della Città, con un quadro normativo e regolatorio certamente complesso, per un lungo elenco di particolarità tipico di immobili di questa natura (tra cui bonifiche, vincoli della sovrintendenza, impianto concessorio solo per citarne qualcuna). Si avvertiva inoltre la necessità di riportare una maggior serenità attorno a un progetto sul quale si erano create molte aspettative, e che rischiava di essere interpretato come una vetrina, un trofeo, sollevando talvolta una certa diffidenza da parte di alcuni fondamentali stakeholders. Occorreva ribadire che il progetto è un’idea della Città, per la Città.

Avete già fatto un gran lavoro strutturale di riqualificazione
Abbiamo riportato gli immobili in condizioni di sicurezza gestionale e inizieremo in questo mesi i lavori di consolidamento, anche in vista del fondamentale appuntamento di Expo 2015, occasione unica per il Paese ed il territorio, anche in considerazione dell’opportunità che il rapido collegamento ferroviario consente con l’area di Milano. Vorremmo riservare una porzione rilevante, dei circa 20000mq complessivi, alla creatività, ai teatri di posa e spazi per esposizioni temporanee ed eventi live. Puntiamo ad attrarre un pubblico diverso, eterogeneo, affidando gli spazi a missioni multiple, dall’esposizione all’intrattenimento, dalle conferenze alle fiere; e questo anche sulla base dei risultati sperimentali degli eventi ospitati con successo nei mesi scorsi.

Operazione dal sapore internazionale. Anche voi pensate di accedere alle risorse comunitarie? Indipendentemente dal fatto di poter contare su risorse significative, gli investimenti vanno diversificati. Anche su questo format, con l’aiuto di Regione e Città,  disegneremo la progettualità per attrarre fondi europei e lo studio che facciamo va in questo senso.

Molti pensano che le fondazioni di origine bancaria siano al servizio della politica, per la realizzazione di progetti politici. Come risponde?
Le fondazioni per vocazione sono degli organismi che stanno accanto alle istituzioni locali, ma decidono autonomamente cosa sostenere: non tutto e non a tutti i costi. Diamo priorità ai fabbisogni del territorio, non della politica. Quando non sosteniamo progetti è perché non possono corrispondere al nostro dna.

Qual’è il futuro delle vostre partecipazioni nella gestione di grandi musei e istituzioni culturali? E il futuro del Castello di Rivoli?
Sul sostegno delle grandi istituzioni la Fondazione è stata sempre presente. In molti di questi luoghi si respira aria di evoluzione, penso ad es. al Museo Egizio dove si sta facendo un grande lavoro di valorizzazione di una delle principali collezioni museali a livello mondiale. In un momento di perdurante complessità come quello attuale, il sistema delle istituzioni culturali nel suo complesso ha una concreta possibilità di cambiamento, di riportare le cose a ratio e di disegnare un nuovo perimetro del quale facciano parte tutti gli elementi portanti del sistema museale della città. Dobbiamo quindi individuare un modello che valorizzi i vari elementi e di cui faccia parte a pieno titolo anche il Castello di Rivoli. C’è in questo un’unità di intenti dei principali attori che fanno parte di questo mondo e che sono presenti all’interno della stessa Fondazione Musei. Occorre pertanto lavorare per un cambiamento positivo, favorendo un modello manageriale aperto all’innovazione e al confronto.

Come racconta il Territorio e Torino agli occhi di uno sconosciuto?
Trovo ci sia una grande tradizione, specie manageriale e culturale, della quale si mantiene il significato. E un sistema in grado di esprimere leadership significative avendo ancora voglia di confrontarsi per trovare soluzioni. Nelle nuove generazioni c’è poi grande voglia di innovare e di inventare. Ciò che incoraggia è vedere che permane questo mix di innovazione nella tradizione che ha portato spesso nel passato e di recente ad individuare idee e  progetti poi esportati o emulati altrove.

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