Chi salverà il Sud? Le regioni meridionali fotografate dal Rapporto SVIMEZ 2015
Le principali anticipazioni tratte dal Rapporto SVIMEZ 2015 sull'Economia del Mezzogiorno hanno destato sconcerto e preoccupazione nei confronti di un territorio in cui le conseguenze della crisi rischiano di trasformarsi in un «sottosviluppo permanente». Vittima di facili stereotipi e sovente al centro di spiacevoli campagne denigratorie, il Sud ha molte più frecce al proprio arco di quanto comunemente si creda. La vera sfida consiste nel trovare le vie d'uscita maggiormente promettenti, e in quest'ottica la cultura e i fondi comunitari rappresentano due fattori in grado di trainare la crescita delle regioni meridionali. Un riscatto, non semplice ma possibile, come dimostra l'impegno profuso in questi anni dalla Fondazione CON IL SUD nel rafforzare percorsi di coesione sociale
Un territorio fortemente segnato dalla crisi, che rischia di sprofondare in una condizione di arretratezza cronica e permanente. È quanto emerge dalle anticipazioni del Rapporto sull'Economia del Mezzogiorno, redatto ogni anno dalla SVIMEZ (Associazione per lo sviluppo dell'industria nel Mezzogiorno) con l'intento di restituire un resoconto ampio e dettagliato della situazione in cui versano le regioni meridionali del nostro Paese[1].
La presentazione dei primi dati, avvenuta nel bel mezzo della pausa estiva, porta nuovamente in primo piano la questione mai risolta del dualismo che divide di fatto l'Italia in due macro-regioni: da una parte un Centro-Nord maggiormente produttivo, che mostra i primi segnali di una seppur debole ripresa; dall'altra un Sud vessato da un depauperamento persistente di ricchezza, capitale umano e risorse produttive, che non riesce a emanciparsi dalla posizione di eterno secondo.
A questo proposito il Rapporto della SVIMEZ non lascia adito a dubbi, mettendo nero su bianco un insieme di cifre che ben testimonia la gravità dei fatti: dal 2007 a oggi il Prodotto Interno Lordo del Mezzogiorno si è ridotto del 13,0%, con una flessione quasi doppia rispetto a quella del Centro-Nord, dove nello stesso periodo il PIL ha subito una contrazione del 7,4%. Il Rapporto mostra come nelle regioni meridionali i consumi delle famiglie siano ancora in calo, la produttività di tutti i settori dell'economia sia stata compromessa da un crollo verticale degli investimenti pubblici e privati, e l’occupazione abbia raggiunto la quota di circa 5,8 milioni di occupati, ossia il punto più basso dal 1977, che è l’anno da cui partono le serie storiche dell’Istat.
Una perdita continuativa di crescita che aumenta ulteriormente anche il divario esistente tra il Sud d'Italia e le altre regioni deboli dell'Europa. La SVIMEZ parla di un Mezzogiorno che «si colloca in fondo ad ogni classifica europea, facendo registrare una condizione giovanile nel mercato del lavoro (e nella formazione) peggiore della Spagna, e persino della Grecia». Senza edulcorare la pillola, il complesso dei dati elaborati dalla SVIMEZ conferma «la strutturale carenza, nelle regioni meridionali, di opportunità di lavoro, specialmente qualificato, frutto non soltanto di una mancata risposta a un’emergenza troppo a lungo rimandata ma di una carenza di strategie e politiche di sviluppo per un’area che ora presenta i tassi di occupazione peggiori d’Europa, e che già partiva da valori eccezionalmente bassi prima della crisi».
Non riuscendo a soddisfare la domanda di lavoro presente sul proprio territorio, il Sud sta perdendo progressivamente i propri giovani e il proprio capitale umano meglio formato, alimentando in questo modo un circolo vizioso fatto di bassa produttività, scarsa crescita e minor benessere. Un ritratto a tinte scure che trova conferma nel Rapporto annuale redatto dall'Istat sulla situazione del Paese, che nel capitolo dedicato alle condizioni di vita e agli aspetti sociali[2], riferisce che «le aree del Mezzogiorno si caratterizzano per una consolidata condizione di svantaggio legata alle condizioni di salute, alla carenza di servizi, al disagio economico, alle significative diseguaglianze sociali e alla scarsa integrazione degli stranieri residenti».
Accumulando un ritardo di sviluppo difficile da sanare, il Mezzogiorno sembra essere giunto al punto di non ritorno. Terra di estrema bellezza, ma al contempo di profonde contraddizioni, il Sud appare intrappolato nelle proprie debolezze, quasi incapace di reagire da solo al proprio destino. Stretto da entrambi i lati da uno Stato poco efficiente e dalla presenza diffusa della criminalità organizzata, questo territorio non merita di essere lasciato alla deriva. Tra le strade percorribili per tentare di ridurre la distanza che separa le regioni meridionali da quelle del Centro-Nord, ve ne sono due che meritano un approfondimento.
Il primo insieme di strumenti è rappresentato dai Fondi Strutturali europei e dal Fondo per lo sviluppo e la coesione economica che annoverano tra le proprie finalità il rafforzamento del contesto produttivo per elevare gli standard di vita dei territori di riferimento e migliorare la qualità dei servizi offerti ai cittadini. Come noto tali fondi svolgono una funzione fondamentale in un contesto economico sfavorevole in quanto sopperiscono ai tagli della spesa pubblica e al crollo degli investimenti privati, in particolare nelle aree più deboli e quindi maggiormente esposte all'acuirsi delle disparità sociali ed economiche.
Tra gli Stati membri dell'Unione europea, l'Italia non spicca per le sue capacità di utilizzo e gestione delle risorse comunitarie. È la «Relazione sugli interventi nelle aree sottoutilizzate»[3] - predisposta dal Ministero dell'Economia e delle Finanze, e presentata congiuntamente al Documento di Economia e Finanza 2015 – a dichiarare che entro il 31 dicembre del 2015 l'Italia dovrà completare la rendicontazione della spesa della programmazione comunitaria 2007-2013, certificando alla Commissione europea 13,6 miliardi di euro, di cui 10,3 miliardi nell’area della Convergenza, ossia nelle regioni meridionali. Scorrendo tale documento, è possibili leggere che «alla scadenza del 31 dicembre 2014 il totale delle spese certificate alla Commissione europea in attuazione dei programmi cofinanziati dai Fondi strutturali ha raggiunto un importo pari a 33 miliardi di euro, corrispondente al 70,7 per cento del complesso delle risorse programmate (di cui 77,9 per cento nelle Regioni dell’Obiettivo Competitività e Occupazione e 67,3 per cento nelle regioni della Convergenza)»[4].
Un trend di spesa negativo che ha conosciuto un'accelerata soltanto nei primi mesi del 2015, come messo in evidenza dal Dipartimento per lo Sviluppo e la Coesione Economica che sul portale Opencoesione riporta che, al 30 aprile 2015, «l’universo degli oltre 900.000 progetti finanziati dagli strumenti programmatici delle politiche di coesione 2007-2013 [...] vale più di 91 miliardi di euro di finanziamento pubblico (sia su fondi dedicati alle politiche di coesione e sia su fondi ordinari complementari), a cui corrispondono quasi 42 miliardi di pagamenti effettuati, per un avanzamento di spesa sul valore finanziario dei progetti medio del 45% circa».
Nell'attesa di verificare se e come le regioni meridionali saranno in grado di far fruttare le risorse messe a disposizione dall'Europa, si inizia già a pensare al nuovo ciclo di programmazione comunitaria valido per il periodo 2014-2020. Secondo le cifre riportate nella Relazione del Ministero dell'Economia prima citata, i finanziamenti europei complessivamente assegnati all’Italia per i fondi FESR e FSE sono pari a 31,1 miliardi di euro, di cui 7,6 miliardi per le Regioni più sviluppate, 1,3 miliardi per le Regioni in transizione e 22,2 miliardi per le Regioni meno sviluppate[5]. A tali stanziamenti si aggiungono le risorse per la Cooperazione territoriale europea, pari a 1,1 miliardi di euro, rivolte a programmi condivisi fra regioni di diversi Stati membri, e le risorse a favore dell’occupazione giovanile pari a 567,5 milioni di euro. Completano il quadro le assegnazioni comunitarie relative al FEASR per lo sviluppo rurale, pari a 10,42 miliardi di euro, e la dotazione del FEAMP che ammonta a 537,3 milioni di euro. Ossia un'ingente quantità di denaro che confluirà in misura preponderante verso le regioni meridionali, e che soprattutto il Mezzogiorno dovrà dimostrare di saper usare con maggiore tempestività, concretezza e chiarezza rispetto a quanto fatto in passato.
Tali strumenti possono generare ulteriori ricadute positive se sapientemente combinati con quella che dal nostro punto di vista è l'altra possibile via d'uscita che le regioni meridionali hanno a loro disposizione: un immenso patrimonio culturale e creativo desideroso di esprimere appieno il proprio potenziale. A questo proposito il documento di programmazione predisposto dal governo italiano per il periodo 2014-2020 individua undici Obiettivi Tematici, di cui uno dedicato in maniera specifica alla tutela dell'ambiente e alla valorizzazione delle risorse culturali e ambientali. In particolare, l'Italia prevede di stanziare una somma «piuttosto importante per la realizzazione di interventi di tutela e valorizzazione che comportino una crescita dei visitatori, delle attività imprenditoriali di mercato e del sistema turistico nel suo complesso, da definire su operazioni predeterminate che abbiano quale perno la selezione di alcuni rilevanti attrattori e destinazioni turistiche».
Nelle regioni meno sviluppate si intende adottare anche un programma nazionale in tema di valorizzazione delle risorse culturali, con un focus specifico sulla predisposizione di progetti territoriali orientati al rafforzamento e alla valorizzazione di asset culturali di particolare rilevanza strategica. Attenendosi ai dati contenuti nella Relazione sulle aree sottoutilizzate del Ministero dell'Economia, il documento di programmazione 2014-2020 assegna all'Obiettivo Tematico finalizzato alla tutela ambientale e alla promozione del patrimonio culturale, una dotazione finanziaria pari a 2,342 miliardi di euro (solo di risorse comunitarie), di cui 2,135 miliardi di euro a favore delle regioni del Sud.
In quest'ottica e in tema di «vocazione culturale e attrattiva» dei luoghi che concorrono a formare il nostro territorio, una interessante ricerca condotta dall'Istat – e presentata da Claudio Bocci sul numero di Giugno del Giornale delle Fondazioni[6] - ha provato a restituire una misura del potenziale culturale e turistico esercitato dal nostro patrimonio artistico e paesaggistico, suddividendo l'Italia in cinque gruppi sulla base di due dimensioni principali: il patrimonio culturale e paesaggistico, e il tessuto produttivo e culturale. A fronte di una situazione economica non rosea, l'approfondimento dell'Istat mette in evidenza la capillare diffusione sull'intero territorio italiano di luoghi, beni materiali, strutture, istituzioni e altre risorse di specifico valore e interesse storico, artistico, architettonico e ambientale, e di conseguenza la grande ricchezza posseduta dalle regioni meridionali in termini di beni culturali e paesaggistici che aspetta solo di essere adeguatamente promossa e fruita.
Ciò che emerge, piuttosto, comparando questi risultati con i dati contenuti in un altro studio realizzato dall'Istat sul benessere equo e sostenibile[7], è un più alto grado di insoddisfazione nel Mezzogiorno per la qualità del paesaggio del proprio luogo di vita, con una forte concentrazione delle situazioni più critiche in quest'area. Se infatti nelle regioni settentrionali, la percentuale di insoddisfatti è del 13,4%, con un minimo del 6,9% in provincia di Trento e un massimo del 17,3% in Liguria (la regione settentrionale con la più alta incidenza di abusivismo edilizio), nell’Italia centrale la quota sale al 16,6% (con valori che vanno dal 10,5% dell’Umbria al 20,4% del Lazio), per raggiunge nel Mezzogiorno il 25,8% (con valori compresi tra l’11,7% del Molise e il 31,1% della Campania). Un malcontento che riflette a sua volta le conseguenze negative di un insufficiente governo del territorio con notevoli ripercussioni sullo sviluppo urbano, sulla qualità della vita civile ed economica, sulla sicurezza ambientale messa a dura prova dall’abusivismo edilizio, un fenomeno che nel nostro Paese si manifesta con un’intensità che ha pochi raffronti in Europa. Come osserva l'Istat «le criticità riscontrate possono essere contrastate efficacemente solamente promuovendo un cambio di paradigma nei comportamenti individuali e nelle politiche pubbliche».
Sovente vittima di facili pregiudizi e stereotipi, il Sud ha dimostrato in numerose occasioni di saper controbattere con azioni concrete alle accuse mosse. Esempi tutt'altro che aleatori sono i molteplici casi di iniziative e progetti nati dal basso[8] - raccontati anche all'interno di questo giornale – che mettono in luce la volontà di un popolo che non intende arrendersi al proprio destino. Una voglia di riscatto sociale e culturale pienamente colta dalle azioni messe in campo dalla Fondazione CON IL SUD, che si presenta oggi come uno dei principali punti di riferimento per la promozione e il consolidamento dell'«infrastrutturazione sociale» nelle regioni dell’Italia meridionale. Come riportato nel Bilancio di Missione 2014, in otto anni la Fondazione CON IL SUD «ha sostenuto oltre 700 iniziative, tra cui la nascita delle prime 5 fondazioni di comunità meridionali (nel Centro storico e nel Rione Sanità a Napoli, a Salerno, a Messina e nel Val di Noto), coinvolgendo oltre 5.000 organizzazioni diverse, tra non profit, enti pubblici e privati, e 200mila cittadini, soprattutto giovani (41% minori), “destinatari diretti” degli interventi, erogando complessivamente oltre 134 milioni di euro di risorse private», svolgendo un encomiabile lavoro nel favorire la crescita del capitale sociale quale precondizione per un autonomo e innovativo processo di sviluppo del Mezzogiorno.
Le regioni meridionali vivono una situazione di disagio che sarebbe miope nascondere. Ciò che al contrario risulterebbe sardonico, sarebbe affermare che ognuno ha ciò che si merita. Molte tesi sono state avanzate per cercare di spiegare le origini e il perdurare del fenomeno comunemente noto con l'espressione «questione meridionale». La frattura che divide l'Italia in due grandi aree geografiche ha rappresentato per troppo tempo un alibi per relegare in una posizione di sudditanza un territorio difficile da gestire. La complessità insita in molte aree del Mezzogiorno necessita di nuovi modelli per essere affrontata. Per questo la cultura si presenta oggi come la risorsa di maggior valore su cui il Sud possa contare, l'unica in grado di amplificare le peculiarità di questo territorio e di far fruttare le sue potenzialità.
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[1] Le «ANTICIPAZIONI SUI PRINCIPALI ANDAMENTI ECONOMICI» tratte dal «RAPPORTO SVIMEZ 2015 SULL’ECONOMIA DEL MEZZOGIORNO», edito da il Mulino, sono disponibili al seguente link http://www.svimez.info/images/RAPPORTO/materiali2015/2015_07_30_anticipazioni.pdf
[2] Il Rapporto annuale dell'Istat è consultabile al seguente link http://www.istat.it/it/archivio/159350
[3] La «Relazione sugli interventi nelle aree sottoutilizzate. L. 196/2009, art. 10 integrata dal D. Lgs. 88/2011, art. 7», allegata al Documento di Economia e Finanza 2015, è disponibile al seguente link http://www.dt.tesoro.it/modules/documenti_it/analisi_progammazione/documenti_programmatici/Allegato_relazione_aree_sottoutilizzate_DEF_xdeliberatox_on-line.pdf
[4] Facendo riferimento alle politiche regionali dell'Unione europea, si definiscono «Regioni Convergenza» le regioni con un PIL pro capite inferiore al 75% della media comunitaria. In Italia, le Regioni Convergenza risultano essere: Calabria, Campania, Puglia, Sicilia, Basilicata. L’obiettivo «competitività regionale ed occupazione» persegue invece il potenziamento della competitività e dell’occupazione delle Regioni, anticipando i cambiamenti economici e sociali, inclusi quelli connessi all’apertura degli scambi. Le Regioni italiane che rientrano nell’ambito di tale obiettivo sono quelle escluse dall’obiettivo “Convergenza”.
[5] Nello specifico, le risorse comunitarie disponibili in ambito FESR (20,6 miliardi di euro) saranno destinate nella misura del 16% alle regioni più sviluppate, del 4% alle regioni in transizione e dell’80% alle regioni meno sviluppate; mentre in ambito FSE, le risorse disponibili di fonte comunitaria (10,4 miliardi di euro) saranno allocate per il 40% alle regioni più sviluppate, per il 5% alle regioni in transizione e per il 55% alle regioni meno sviluppate.
[6] Claudio Bocci, «La ricchezza dei territori nel Rapporto Istat 2015», Il Giornale delle Fondazioni, 15 giugno 2015, consultabile al seguente link http://www.ilgiornaledellefondazioni.com/content/la-ricchezza-dei-territori-nel-rapporto-istat-2015
[7] Istat, Rapporto Bes 2014: il benessere equo e sostenibile in italia, consultabile al seguente link http://www.istat.it/it/archivio/126613
[8] Una significativa selezione di progetti che coniugano innovazione sociale e gestione del patrimonio culturale, in alcune aree meridionali e mediterranee, è disponibile sul sito web dell'iniziativa «Sud Innovation» http://www.sudinnovation.it/