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CHI FA AFFARI SULLA CULTURA?

  • Pubblicato il: 14/02/2016 - 13:01
Autore/i: 
Rubrica: 
OPINIONI E CONVERSAZIONI
Articolo a cura di: 
Giovanna Barni

Il record storico nel 2015 dei visitatori del patrimonio storico-artistico del Paese ha mosso considerazioni sulla gestione dei servizi aggiuntivi. La Soprintendenza di Roma ha meritato interrorgazioni parlamentari e titoli eclatanti su articoli de La Repubblica «Colosseo business monumentale… Lo Stato perde Milioni». che vi riproponiamo. Riceviamo e pubblichiamo la versione di Giovanna Barni, Presidente di CoopCulture, una delle principali realtà operanti nel settore
 
 
 
Ci sarebbe da restare di stucco: il 2015 si è chiuso segnando il record di visitatori per il Colosseo, un anno d’oro segnato non solo da un gran numero di presenze, ma anche dal fatto che la loro gestione ha permesso di dare risposta ad un pubblico sempre più vasto e diversificato, straniero in gran parte, ma anche all’incremento dei residenti favorito dalle domeniche gratuite e ad un sistema complesso di operatori del turismo, di diverse dimensioni, che ruota intorno al Colosseo. Eppure… Eppure l’anno si chiude con il riaccendersi di una polemica politico-giornalistica con titoli e affermazioni da lasciare attoniti. Secondo questi critici solo poche briciole andrebbero allo Stato a fronte di un concessionario che fa la parte del leone.
Purtroppo non si tratta di suggerimenti e critiche, con le quali è sempre utile confrontarsi, ma vere e proprie accuse sommarie che prescindono da una lettura storica dei dati e dei contratti, ma soprattutto dalla conoscenza del nostro lavoro e della nostra cooperativa (nella maggior parte dei casi non siamo stati neppure consultati).
Ai 6.551.046 visitatori del 2015 (+6% rispetto al 2014) si è arrivati partendo da molto lontano, per l’esattezza dal 1997, anno nel quale per la prima volta viene applicata la legge Ronchey che consentiva l’affidamento a privati delle librerie museali. Fino a quel momento la situazione del Colosseo e dei Fori Romani era distante molti anni luce da oggi. Il primo anello del Colosseo non era chiuso dalle cancellate (e vi assicuro non era neppure un posto raccomandabile nelle ore serali) e i visitatori erano circa trecento mila. La decisione di chiudere il Colosseo, e, contestualmente rendere gratuito il Foro Romano, di mettere a gara i servizi editoriali e di vendita e la nascita di un primo piccolo centro servizi fu l’inizio di quel cammino. Evidentemente quelle scelte iniziali e i successivi ulteriori costanti completamenti sono stati vincenti anche perché accompagnati sempre da uno sforzo immenso (soprattutto per noi, una cooperativa molto specializzata, ma all’epoca ancora molto giovane) di modernizzazione ed efficientamento dei sistemi di accessibilità ed accoglienza del pubblico.
Se siamo arrivati ai risultati attuali lo si deve anche ad una fruttuosa e innovativa collaborazione tra la  Soprintendenza Archeologica e l’Associazione composta dalla casa editrice Electa e dalla nostra cooperativa, congiuntamente affidatarie di una complessa gestione tale da richiedere la compresenza di soggetti così diversi nelle specializzazioni e nella mission.  Mentre gli studi, le ricerche e gli interventi archeologici hanno proceduto restituendo alla pubblica fruizione aree importantissime come il  piano dell’arena e gli affascinanti sotterranei, mentre incessantemente si portava avanti un piano strategico di nuove aperture in area archeologica centrale ma anche nelle sedi del Museo Nazionale Romano, noi abbiamo operato per garantire un’organizzazione all’altezza dell’importanza e notorietà di questi luoghi con servizi nuovi e moderni, tecnologie sempre più evolute e un vasto e composito gruppo di operatori capaci di accogliere, accompagnare, far vivere il monumento con competenza e capacità, tutti i giorni e con orari sempre più prolungati per soddisfare aumentate esigenze e modalità di visita. Audioguide, videoguide in ben nove lingue, strutture e sistemi elettronici di biglietteria, prevendita e controllo accessi in grado di governare una pressione di visitatori altrimenti travolgente, call center multilingue e piattaforme booking a disposizione dei tour operator stranieri e dei crocieristi, studiate per garantire nelle diverse fasce orarie livelli adeguati di tutela e sicurezza sia per il pubblico che per i luoghi ( ricordate quando all’interno delle aree monumentali si affollavano urtisti, “ciceroni” con gli altoparlanti, bancarelle e garitte per la distribuzione di biglietti cartacei?).
Cosa ci si contesta? Un eccesso di ricavi? Noi lavoriamo in un regime fissato in una gara e tuttora vigente basato su queste norme: il concessionario si impegna a realizzare l’immenso programma editoriale della Soprintendenza e a gestire bookshop in tutte le sue sedi versando dai relativi incassi una Royalty di oltre il 30%, che era ed è la più alta in Italia; si impegna a garantire un sistema complesso per la vendita dei biglietti e su questa vendita ha un aggio del 14% (il limite massimo in altri siti è oggi del 30%); assicura diffuse e numerose attività offerte in gara, all’epoca definite collaterali (una specie di migliorie), alcune delle quali, in primis la didattica, a pagamento ma ad un costo bassissimo per permetterne la massima accessibilità soprattutto da parte delle scuole italiane e straniere, e molte altre gratuite, come i guardaroba e  i servizi di informazione e assistenza locali o per via telefonica o telematica, assicurate da operatori specializzati, con curricula validati dalla stessa Soprintendenza. Tutto questo all’interno del Colosseo, dei Fori e di tutti gli altri siti che fanno parte della stessa gara. La stessa cura e lo stesso impegno, infatti lo mettiamo all’Anfiteatro Flavio (super visitato) come alla Villa dei Quintili, alla Cripta Balbi e in luoghi ancora più piccoli e meno noti dell’archeologia romana. Ognuno di questi luoghi ha bookshop anche quando, per numero di visitatori e di acquisti, mantenerli è fortemente in perdita e lo stesso discorso vale anche per gli altri servizi.
Questo è guadagnare troppo, questo è lasciare allo Stato briciole? Basta dire che l’incasso complessivo è oggi (dati 2015) di circa 60 milioni di euro, di cui oltre 42 milioni (ben 5 in più rispetto allo scorso anno) entrano nelle casse dello Stato. Nel 2001 gli incassi totali erano poco più di 18 milioni di euro e la crescita successiva ha subito le battute d’arresto delle crisi economiche internazionali. Ed è stato l’aumento dell’offerta dei servizi a rendere meno gravosa per il concessionario la perdita in termini di introiti di biglietteria. Un’offerta qualificata che non ha mai però tolto spazio alla presenza di altri soggetti privati come le guide turistiche, ai quali è riservato l’86% dei turni d’accesso disponibili.
Tutto questo avviene all’interno della legge e dei regolamenti, impegnandoci in maniera dura. C’è chi sembra dire: ma se è così facile guadagnare grazie al richiamo del Colosseo perché lasciare una fetta ai privati? Semplicemente perché i privati (che in questo caso sono anche una cooperativa fatta di soci-lavoratori per la metà laureati e per l’altra metà diplomati) hanno lavorato in 450 per permettere questi incassi, hanno giocato il loro rischio di impresa -anche rimettendoci, nel caso -, cercando di essere al passo o di precedere le innovazioni tecnologiche e le domande dei visitatori.
Ogni anno i concessionari assicurano centinaia di migliaia di ore di lavoro: nel 2015 sono state oltre 300.000 nel 2001 erano la metà. Ed inoltre la sola Coopculture, tra tassazioni dirette e indirette, assicura allo Stato un gettito significativo pari a oltre il 30% del proprio fatturato.
Nelle polemiche di questi giorni sono state affacciate due questioni molto diverse: la prima (era presente nell’interrogazione parlamentare dell’On. Mazziotti) riguarda la correttezza delle somme versate allo Stato, la seconda riguarda il fatto che la concessione sia stata rinnovata e che non ci siano state nuove gare.
Alla prima questione rispondo che tutti i servizi per i quali erano state previste delle royalty, queste sono state pagate nella misura corretta, tutti i servizi gratuiti sono stati assicurati e abbiamo migliorato notevolmente anche quelle attività di assistenza didattica, in tutti i luoghi della Soprintendenza e in forme anche molto impegnative e ben poco remunerative, come ad esempio i laboratori per le scuole e le aperture periodiche dei piccoli siti del territorio, per le quali  il contratto non prevedeva alcuna royalty.  Per altro si tratta di attività che non svolgiamo in esclusiva essendo aperte a tanti altri soggetti (singole guide turistiche, agenzie, associazioni, eccetera) che nulla versano allo Stato e che hanno visto in questi stessi anni una crescita davvero sproposita delle loro attività. Giusto? Migliorabile? Ognuno ha la sua opinione ma noi abbiamo agito in piena aderenza alle norme e all’accordo di concessione.
Per la seconda questione, ovvero le mancate gare, posso dire che questa può avere tanti responsabili, ma non noi: non sono i concessionari a fare le gare. Anzi, il lungo blocco e gli annullamenti ci hanno impedito di concorrere, come avremmo voluto, per altre concessioni di servizi in altri siti archeologici e museali. Le cose ora si stanno muovendo. Attendiamo le nuove gare con serenità: abbiamo accumulato una esperienza e una competenza con le quali siamo pronti ad affrontarle e a concorrere. Sarebbe assurdo che il buon lavoro fatto finora (chiedete un giudizio anche alla sovrintendenza) diventasse un impedimento, una zavorra per una società come la nostra.
Un’ultima riflessione. Qualità e innovazione di un servizio essenziale, produzione di un rilevante gettito allo Stato, crescita di occupazione qualificata, competenze imprenditoriali specializzate, aumento degli introiti e del pubblico: non sono queste sane finalità pubbliche, seppure realizzate da un soggetto privato, da favorire e, se possibile, moltiplicare attraverso regole certe e strategie di sviluppo territoriali, anziché da attaccare? Accanto all’attuale riforma organizzativa promossa dal Ministero per modernizzare e rendere efficiente la macchina pubblica dei musei e dei sistemi regionali, non sarebbe utile coinvolgere le migliori competenze del settore sia per crescere ulteriormente nei centri maggiori che per avviare nuove gestioni finalmente sostenibili di tutto quel patrimonio diffuso italiano ancora oggi privo degli standard minimi di fruibilità?
 
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