Che senso ha un piano per la cultura lanciato in piena crisi
Milano. Durante la scorsa estate il mondo della cultura milanese è stato mobilitato dall’apertura degli spazi museali creati in piazza della Scala da Intesa SanPaolo negli storicissimi spazi– percorsi da uomini come Toepliz e Mattioli – che avevano visto plasmare la storia finanziaria e industriale del paese. Si è trattato di un evento importante, una pagina nuova nell’offerta culturale della città. Dopo il Novecento si è inaugurato un altro museo, destinato a crescere e qualificare l’area centrale della città, proprio di fianco alla Scala, appena all’uscita della Galleria. Il fatto che questo polo museale sia privato e di grandi dimensioni (oltre 8.000 metri quadri espositivi) riflette la storia di Milano e la presenza in essa di energie economiche e culturali straordinarie. Il fatto che l’operazione raccolga le collezioni della banca e della Fondazione Cariplo consente di restituire alla città opere che hanno fatto la tradizione e la storia della sua arte figurativa, da Hayez al futurismo. Finalmente, dopo tanti annunci e tante promesse rimandate (uno tra tutti la Grande Brera, di cui tutti aspettiamo fiduciosi la riattivazione), un’istituzione privata avvia e conclude un progetto di grande respiro che può acquisire una visibilità nazionale e forse internazionale. Non mancano però anche alcuni dubbi, o meglio alcune preoccupazioni. A Milano senza contare i progetti in corso (Libeskind e Chipperfield) esistono oggi 44 musei per un totale di oltre 80.000 metri quadri espositivi; si fanno 235 mostre all’anno (dato 2010); si programmano stagioni in 79 teatri e 40 sale concerto o spazi musicali. Un impressionante insieme di proposte e di attività, che per le note riduzioni delle risorse pubbliche sta andando incontro difficoltà crescenti di sostenibilità e chiede di conseguenza un’azione di governo e di coordinamento più ferma e consapevole. Il contesto in cui l’operazione Banca Intesa si svolge è dunque estremamente complesso e delicato. La scelta della banca è il segnale di un gruppo privato che decide di privilegiare le proprie politiche rinunciando ad un ruolo di sistema? Significa che indirizzerà le proprie risorse su questa iniziativa limitando la partecipazione ai bisogni del resto della cultura cittadina?
La risposta sta nelle cose, ma forse, poiché stiamo assistendo ad una iniziativa nascente, anche nelle intenzioni e nei modi e non riguarda solo la banca. L’apertura della sezione museale di piazza della Scala è parte di un progetto più grande che riguarda Milano, Vicenza, e Napoli. Il disegno per Milano comprende la creazione di un polo, le Gallerie di Piazza Scala, articolato in due sezioni una ottocentesca, con 200 opere ed una novecentesca, assai più ampia che raccoglierà le oltre 2.700 opere delle collezioni IntesaSanPaolo arrivando fino alla transavanguardia (includerà la straordinaria collezione Agrati). A Vicenza si rilancia a Palazzo Leoni Montanari, la collezione preziosissima di icone russe, cui tanto si era dedicata Fatima Terzo, integrandola con una collezione di pittura veneta del Settecento. A Napoli nel palazzo Zevallos Stigliano, si produrranno circa 4.000 metri quadri di superficie espositiva raccogliendo la collezione di ceramiche attiche e della Magna Grecia e le opere di collezioni meridionali di proprietà della banca. A tutto questo segue poi un impegno dichiarato nel sostegno degli archivi storici che segue la tradizione sicuramente esemplare dell’archivio Storico Comit.
Allora: in primo luogo, è evidente, siamo in presenza di un progetto di straordinarie dimensioni per il Paese, che lavora su tre poli e potenzialmente potrebbe anche aprirsi su quattro città (anche Torino è nel piano), si estende su un ampia gamma di collezioni, connette interventi di recupero di palazzi storici alla revisione funzionale di importanti spazi urbani, e spazia dall’antichità alla contemporaneità. Erano certamente molti anni che la cultura italiana non era investita da una simile energia: sono anni che si parla, senza riuscirci pienamente, di valorizzare il patrimonio artistico delle grandi banche italiane. D’altra parte è altrettanto evidente che il successo di questo progetto si misurerà anche sulla base della sua capacità di portare benefici complessivi nei sistemi culturali e territoriali in cui si inserisce. Si tratta indubbiamente di un’opportunità per l’Italia, ma anche di una sfida difficile da vincere in tempi di povertà e sarà davvero cruciale riuscire a creare le condizioni affinché esso possa avere la migliore riuscita.
I suoi punti di forza sono chiari e sono rappresentati da un attore privato forte, che ha fatto nascere il progetto e intende sostenerlo nel tempo, da collezioni già significative, dalla disponibilità di spazi monumentali in luoghi strategici. Le possibili criticità sono costituite dalla dispersione territoriale, che certamente avrà un significativo impatto di costo in termini di coordinamento interno ed esterno, dalla varietà di collezioni, che plausibilmente implicherà la strutturazione di gruppi curatoriali differenziati, dalla necessità di acquisire una visibilità e una riconoscibilità internazionale su tanti e diversi fronti, dalla necessità di trovare momenti di coordinamento in città e territori diversi. E’ una grande visione che dovrà essere sostenuta con forte volontà e mezzi. Non c’è dubbio che il suo sviluppo assorbirà molte risorse, che forse non andranno più ad alimentare altre iniziative di contesto. Ma la sua presenza rappresenta anche un’occasione che le città coinvolte non dovranno perdere, soprattutto Milano. La città ha bisogno di forti istituzioni culturali, non solo di spazi espositivi e di mostre, ma di centri di elaborazione, di pensiero, di rilancio politico della ricerca e della disciplina della cultura.
Questo è quello che il progetto Cultura promette e a cui la città potrebbe rispondere positivamente. Se un privato mette tante energie, i poteri locali potrebbero assecondarlo, e con essi anche altri privati. Sarebbe importante per una volta dimenticarci della nostra esasperante tradizione fatta di carenze sistemiche, raccogliendo, per esempio e ovviamente fatte le dovute verifiche, attorno a questo polo anche strategie pubbliche per l’arte contemporanea visiva, ma anche musicale e performativa. Sarebbe importante che si moltiplicassero i punti di coordinamento con il museo del Novecento, arrivando anche a una bigliettazione comune. Che attorno ad esso potessero operare e convergere altri collezionisti e archivi e università, sviluppando progetti e attraendo risorse su scala europea. Naturalmente questa prospettiva pone problemi di governance, che riguardano anche i livelli di controllo complessivo sul progetto.
Anche questo però rappresenta una grande possibilità: l’opportunità che questo polo possa costituire l’incentivo per formare un disegno di rigoverno più complessivo e generoso – pubblico e privato - delle politiche culturali per la città. Questo certo va oltre gli obiettivi dichiarati del gruppo bancario, ma sarà difficile che un disegno tanto ambizioso possa avere piena riuscita se non si spinge anche a questa sorta di «mission impossibile». Se si riuscisse a farlo a Milano, nel cono di energia offerto da questo progetto e, perché no, di Expo, si offrirebbe un esempio per il paese. Un esempio di cui non vi è solo «bisogno», ma di cui si avverte urgentemente, strutturalmente la necessità. Prima che sia tardi.
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