Italia Non Profit - Ti guida nel Terzo Settore

Cambiare strategia sui beni culturali, tra pubblico e privato. Si può

  • Pubblicato il: 07/02/2014 - 15:51
Autore/i: 
Rubrica: 
OPINIONI E CONVERSAZIONI
Articolo a cura di: 
Giuliano Segre

È in atto una forte evoluzione del ruolo delle fondazioni di origine bancaria (Fob): da mecenati a investitori nella cultura. Ne è convinto Giuliano Segre, presidente della Fondazione di Venezia. Durante il suo intervento lo scorso 10 novembre a Perugia nell’ambito della manifestazione UmbriaLibri, Segre ha illustrato i cambiamenti in corso nel mondo fondazionale. «Le Fob sono 88 – spiega - molto diverse le une dalle altre nella dimensione e nelle attività: hanno un patrimonio complessivo dichiarato nel 2012 di 42 miliardi e operano per fini di utilità sociale e promozione dello sviluppo economico in 21 settori indicati dalla legge. La Fondazione di Venezia è una media fondazione e occupa circa il ventesimo posto per dimensione patrimoniale, anche se la città nella quale opera è di grande importanza e onerosità complessiva. Il rapporto che abbiamo con gli enti locali è positivo, ma «distaccato», perché il coinvolgimento si tradurrebbe in attività di tipo erogativo». La fondazione cioè, agli occhi delle politica locale, dovrebbe fare investimenti finanziari da cui trarre un “reddito” poi da elargire e donare sul territorio. Ma è qui che sta emergendo un cambio di prospettiva. «Il dono è un concetto complesso, appartiene a momenti di istantaneo compiacimento per chi lo fa e per chi lo riceve, però un istante dopo non esiste più. Per intenderci, non è investimento, ma fulminea elargizione. Il mecenatismo non lascia traccia duratura: è meglio che le fondazioni siano dei veri e propri investitori sociali».
Le fondazioni peraltro non hanno attraversato indenni il periodo di crisi. «Ci sono una decina di esse  – conferma Segre – con difficoltà finanziarie. Il livello erogativo è sceso nel 2012 sotto il miliardo, una contrazione che si riflette anche nel settore delle arti, attività e beni culturali».
Per reagire, occorre modificare l’approccio ai progetti. «Con i Mission Related Investment (MRI), le Fondazioni possono intervenire investendo capitale, oltre ad erogare. La Fondazione di Venezia, come altre, sta utilizzando questa possibilità. Con 100 milioni di euro, stiamo recuperando un ettaro finora escluso dalla fruizione dei cittadini nella terraferma della città di Venezia, a Mestre. Un’area con duecentomila abitanti, con modeste istituzioni culturali rispetto alla enorme offerta della città insulare. Realizzeremo un museo al posto di una caserma che è stata demolita, recupereremo un ex convento creando un centro commerciale e uffici alla dimensione metropolitana. Lacapacità reddituale della parte commerciale e direzionale ci permetterà di sostenere il museo, se chiuderà i suoi bilanci con un disavanzo. A febbraio parte il cantiere, ma non è stato facile: abbiamo avuto enormi difficoltà locali, che hanno fatto ritardare di un anno la partenza del progetto».
L’esempio della Fondazione di Venezia non è l’unico: ne esistono simili a Bologna, Torino e altrove. «Cerchiamo di sviluppare effetti virtuosi, innescando processi di crescita non solo economica, ma anche culturale nelle collettività nelle quale interveniamo, creando reti territoriali, con opportunità di formazione. Questi sono social impact investment, investimenti in campo sociale che senza perdere la redditività del capitale investito, producono effetti misurabili in campo sociale. In quest’ambito ci sono strumenti consolidati come il social impact bond: si investe in un settore con il consenso del Governo e i fondi vengono restituiti nella misura in cui è valutabile e verificabile il successo dell’operazione. La modalità più nota è quella dell’assistenza di privati alle funzioni carcerarie, compensate dal mondo pubblico in funzione della diminuzione della recidiva. In ambito culturale potremmo costruire indicatori, ad esempio sul pubblico dei musei, o nell’educazione sulle tesi di laurea. Potremmo ragionare sul micro-credito che è recentemente comparso anche nel testo unico bancario del nostro Paese ovvero anche sul tema delle concessioni sugli istituti e beni culturali, affrontato nelle indicazioni programmatiche dell’attuale Ministro in modo esitante. Si tratta – conclude Segre – di un tipo diverso di intervento delle Fob rispetto all’erogazione benevolente verso chi avanza la mano tesa che, nell’ambito dell’art. 121 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, potrà essere studiata anche con il MiBACT con possibilità reali non futuribili».

© Riproduzione riservata