BIG MIND, DALLA BREX-IN A BEPPE GRILLO
Un volume frutto di anni di studio e ricerca sul campo, con esempi concreti, appunti anche piuttosto critici alle istituzioni e un inaspettato accenno a Beppe Grillo.
“L'interconnessione di un gran numero di macchine e di persone consente di pensare in modi radicalmente nuovi per risolvere problemi complessi, identificare con maggiore rapidità gli inconvenienti e combinare le risorse in maniere inedite (…) Il modo in cui l'intelligenza è organizzata ha una natura per lo più frattale con modelli simili che si ripresentano a molteplici livelli di scala, nei gruppi di amici, nelle organizzazioni e in tutta la società”.
Il libro è stato presentato pochi giorni fa alla Fondazione Feltrinelli in un gremito incontro dal titolo molto ambizioso, “Intelligenza come scelta: il presente e il futuro dell’intelligenza collettiva come veicolo di soluzioni comuni“.
“Questa non è solo la presentazione di un libro ma la messa a disposizione di un pensiero che in Italia si sintetizza nel libro – ha sottolineato il direttore della fondazione Massimiliano Tarantino presentando l’autore - Il percorso di Mulgan con il governo inglese ha profondamente ispirato il nuovo corso della fondazione Feltrinelli e il principio base che qui alimentiamo ogni giorno, ossia la messa a disposizione della conoscenza per la costruzione di futuro. Un processo che ha dato una nuova identità a questo luogo e al patrimonio che questo luogo conserva. Affiancando i policy makers, la cittadinanza attiva, le imprese e il Terzo Settore la fondazione vuole essere un fattore di discontinuità rispetto alle liturgie dell'accademia, un elemento di costruzione di nuovo valore per la società, un luogo di inclusione di competenze per la creazione di futuro migliore”.
La presentazione italiana dell’ultimo libro di Mulgan non è casuale: la recente creazione di Nesta Italia a Torino – unica sede estera della fondazione inglese - è “un segno di rottura contro la Brexit, un percorso di BrexIN” ha sottolineato l’autore.
“Big mind” descrive l'emergere di una teoria in una pratica che prefigurano modi nuovi di vedere il mondo e di operare al suo interno. Traendo indicazioni da molte discipline, dalla scienza politica alla teoria delle reti, dall’antropologia alla scienza informatica, il testo illustra concetti sulla base dei quali “potremo capire come pensano i gruppi; e indicazioni su come un'azienda, un movimento sociale, un governo possono pensare con più efficacia, combinando le migliori tecnologie esistenti con la migliore materia grigia disposizione”.
Se il successo più grande di una non codificata intelligenza collettiva a livello mondiale nel Novecento è stata dell'eradicazione del vaiolo, nel nostro secolo possiamo annoverare diversi esempi di Big Mind.
L’Oxford English Dictionary (OED), il dizionario che si prefiggeva di trovare i significati di tutte le parole della lingua inglese e la stabilità dei significati, costituisce “un esempio straordinario di impresa autenticamente collettiva” perché ambiva a essere empirico, scientifico ed esaustivo, una combinazione di osservazione, analisi e memoria. “Furono stabiliti principi usati poi da molte successive imprese del genere: un obiettivo convincente, un grande esercito dei collaboratori volontari, regole rigorose per l'organizzazione e la condivisione delle informazioni, un gruppo centrale di supervisori per mandare avanti il lavoro”.
Altro esempio da citare è l'opera compiuta dalla NASA per mandare all'uomo sulla Luna, con oltre 400.000 persone impiegate del programma Apollo e 20.000 tra aziende università coinvolte in qualità di partner.
Oggi sono Wikipedia e Google Maps a rappresentare un nuovo genere di macchina sociale in cui gli esseri umani e macchine si compenetrano in maniera indistinguibile.
Dell’ampia e articolata trattazione sull’intelligenza collettiva proposta dall’autore riprendiamo di seguito alcuni temi e passaggi che ci sono sembrati particolarmente interessanti per il contesto culturale italiano.
Il paradosso del mondo smart
“Nel corso di questo libro ho cercato di tracciare una rotta a metà strada tra il vacuo ottimismo dei predicatori e il tetro pessimismo di chi vede nello sviluppo dell'intelligenza macchinica un nemico di tutto ciò che c'è più caro” scrive Mulgan. “Viviamo circondati da nuovi modi di pensare, comprendere e misurare che prospettano una nuova fase dell'evoluzione umana e, nel contempo, un'evoluzione oltre l'umano. Resta però una notevole disparità fra l'intelligenza degli strumenti di cui disponiamo e quella ben più limitata dei risultati che ci forniscono. (…) Parecchie istituzioni e organizzazioni, talvolta in possesso di tecnologie molto sofisticate, operano in modo assai più stupido delle persone che ne fanno parte. (…) Disporre di strumenti sofisticati non produce automaticamente risultati migliori (…) Possediamo un'intelligenza straordinaria in ambiti circoscritti, per scopi specifici e ben definiti. I progressi sono stati invece lentissimi nella gestione di problemi più complessi e generali.
Le tecnologie hanno fatto passi avanti soprattutto nel vedere, captare e confrontare e meno nel capire: “vanno bene per ottenere risposte e non per porre domande (…) Oggi pare inevitabile un futuro in cui le nostre esistenze saranno sempre più intrecciate con macchinari intelligenti di vario tipo, che ci sfideranno, si soppianteranno e ci potenzieranno, spesso simultaneamente. La domanda che dovremmo porci non è se accadrà, bensì come possiamo trasformare questi strumenti in modo che a loro volta si plasmino in meglio, potenziandoci in tutti i sensi della parola e permettendoci di aderire il più possibile a ciò che più ammiriamo di noi stessi”, creando “un mondo in cui, in collaborazione con le macchine, saremo più saggi, più consapevoli e più capaci di prosperare e sopravvivere”.
L'impatto dell’intelligenza collettiva nella vita quotidiana
Dopo aver esplorato in dettaglio i concetti e le teorie indispensabili alla comprensione dell'intelligenza collettiva, nella seconda parte del libro l’autore passa all'analisi di alcune dimensioni della vita quotidiana, evidenziando i fattori fondamentali che possono aiutare a fare di un gruppo qualcosa di più simile all'intelligenza collettiva.
Riunioni
Come potrebbero essere organizzate per ottenere il massimo dall'intelligenza collettiva riunita dentro e fuori una stanza?
Alcune realtà hanno provato a sviluppare formule alternative e più aperte rispetto al classico svolgimento delle riunioni: Yahoo pone un limite di 10-15 minuti alla durata degli incontri, Amazon chiede la stesura di meno di sei pagine in preparazione di ogni riunione che vengono poi letti in silenzio per mezz'ora da tutti i partecipanti prima della loro discussione; in P&G l'intera squadra dirigenziale distribuita nel mondo settimanalmente si ritrova in una sala circondata da schermi, fisicamente e virtualmente. Ci sono poi esempi meno formali come le unConference o i Randomized Coffee Trial (studio randomizzato con caffè) che incoraggia le persone a conversare con colleghi sconosciuti, tenica usata in Nesta e adottata poi da molte grandi imprese.
“Perché una riunione esprima il massimo di intelligenza collettiva devono entrare in gioco tutti e cinque gli approcci dell'organizzazione dell'intelligenza collettiva: autonomia, equilibrio, concentrazione, riflessività, integrazione in vista dell'azione”.
I governi
“I governi nazionali ambiscono talvolta a essere il cervello delle rispettive società. (…) Possono però attingere anche a un altro tipo di intelligenza collettiva, ossia le possibilità generate dalla collaborazione con i cittadini per vedere, capitale, analizzare, ricordare e creare” utilizzando strumenti nuovi che vanno dai sensori all'apprendimento macchinico, dagli algoritmi predittivi alle piattaforme per il crowdsourcing.
Il sito challenge.gov creato dal governo federale degli Stati Uniti costituisce un valido esempio che ha adattato i principi dell'innovazione aperta alla pratica di governo: 5 anni dopo il suo lancio nel 2010 è stato usato da 70 agenzie, ha registrato 3,5 milioni di contatti e ospitato 400 sfide.
Le Università
Con l'affermarsi di nuove forme di intelligenza collettiva, le università risultano insieme rafforzate e minacciate: “sono grandi centri di intelligenza, ma non di intelligenza sull'intelligenza, (…) sperimentano nuovi modi di creare sapere per insegnarlo, ma non lo fanno in modo sistematico, non operano una sintesi efficace di questo sapere”.
Alcuni recenti MOOC (Massive Open Online Courses) come Coursera e la Khan Academy segnalano un fermento sperimentale da seguire.
Nel mondo dell’università tradizionale, “di recente un'idea ha trovato nuovo slancio: laddove è organizzata intorno a corpi di conoscenze, un'idea alternativa suggerisce di organizzare l'università intorno a questioni e problemi. In questo caso i laureandi dedicano almeno una parte del loro tempo al lavoro su questioni difficili e irrisolte sul fronte più avanzato dell'innovazione scientifica sociale”. Questo metodo è stato già sviluppato su scala ridotta in alcune delle università più innovative del mondo (Tsinghua Universtiy in Cina, Standford University negli USA, Imperial College di Londra) privilegiando il lavoro di squadra.
“Quest'idea di partire dalle domande invece che dalle risposte prefigura anche un possibile futuro in cui le università saranno luogo di orchestrazione delle conoscenze. (…) Il modello universitario ora dominante antepone il sapere accademico a ogni altro sapere. Non è difficile immaginare università di tipo diverso in grado di monitorare, sintetizzare e organizzare il sapere rilevante, quale che ne sia la fonte, ponendosi scientemente al centro di assemblaggi di intelligenza collettiva. (…) L'innovazione migliore rafforza il ruolo dell'università come strumento al servizio della società piuttosto che come istituzioni separate e autoreferenziali. I più fecondi periodi di riforma nel passato sono sempre stati informati da un forte senso della loro missione: diffondere sapere, rendere più aperta la società e ampliare le opportunità”.
I Parlamenti
“I parlamenti sono l'emblema più visibile dell'intelligenza considerata nel suo aspetto collettivo, perché sono i luoghi in cui la comunità parla a se stessa, valuta, decide e agisce. Si tratta, almeno in teoria, di cervelli collettivi impegnati nel tentativo di sintetizzare le centinaia di migliaia di cervelli individuali che essi rappresentano. (…)
In che modo la democrazia potrebbe diventare un valido esempio di intelligenza collettiva, capace di espandere, non di soffocare, la potenza cognitiva di una società? (…) Per potersi definire tale, richiede ben più della semplice competizione elettorale: ha bisogno di una forte società civile, di media indipendenti, i corpi intermedi e di culture della fiducia e del rispetto reciproco. La democrazia necessita di un'ecologia istituzionale al servizio dell'intelligenza collettiva e della qualità di quelli che potremmo chiamare beni comuni democratici.
Parlando di alcuni esempi di successo, Mulgan cita il progetto D-Cent - su cui l’autore ha collaborato - che permette ai partiti politici, alle città e ai parlamenti (in UK, Spagna, Finlandia e Islanda) di coinvolgere più sistematicamente la cittadinanza nella scelta delle priorità nel proporre provvedimenti, commentare e votare.
“Se siamo riusciti in questo compito – afferma in questo contesto l’autore - è merito soprattutto del ruolo svolto da due attori comici, le cui idee illustrano sia le potenzialità sia i limiti delle decisioni affidate al popolo”.
Il primo è Jon Gnarr, sindaco di Reykyavik, che ha fondato il Best Party a scopo puramente satirico. Dopo aver vinto le elezioni si è dimostrato un sindaco molto efficiente, approntando una piattaforma (Your Priorities) che ha consentito ai cittadini di promuovere idee, commentare e votare e mettere a confronto centinaia di iniziative.
Modelli analoghi di trasformazione dell'amministrazione della città in una forma di conversazione aperta e continua con i cittadini sono stati adottati in molte altre città tra cui Parigi dove il sindaco Anna Hidalgo ha destinato una quota significativa di fondi municipali a bilanci partecipativi che nel 2016 hanno visto 160.000 cittadini esprimersi 200 proposte varate.
“Il secondo attore comico cui alludevo è l'italiano Beppe Grillo” - scrive Mulgan (a inizi 2017) - che ha fondato nel 2009 il Movimento Cinque Stelle per lanciare la sfida ai partiti politici dominanti, progettato per permettere ai suoi membri di decidere quali leggi proporre, quali tattiche adottare e chi candidare”.
Modelli analoghi di organizzazione sono stati adottati anche altrove come in Spagna nel 2015 da Podemos.
“Nessuno di questi modelli è ancora maturo,” – sottolinea l’autore - “gli strumenti a disposizione però si stanno evolvendo rapidamente, soprattutto nel fornire nuovi input al parlamento e alle assemblee rappresentative che hanno ancora l'ultima parola. Come accaduto in molte altre sfere della vita quotidiana trasformate dall'avvento delle nuove tecnologie - dalla musica allo shopping, delle vacanze alla finanza - è improbabile che la democrazia possa restare immutate tanto a lungo, soprattutto se vuole assicurarsi il coinvolgimento dei giovani cresciuti nel mondo digitale”.
Una nuova figura professionale
“La mia speranza è che nei prossimi anni decenni possa emergere una nuova classe di specialisti nella progettazione dell'intelligenza, preposte alla combinazione di hardware e software, di dati e procedure umane, al fine di rendere efficace il pensiero su vasta scala. Questa professione si collocherà al confine tra la scienza informatica e la psicologia, la progettazione di organizzazioni e la politica, la strategia d'impresa e l'arte del comando. Avrà bisogno di un arsenale di abilità gli strumenti. E avrà anche bisogno, come tutte le professioni più importanti, di una forte vocazione e di un ethos per poter collegare al meglio gli elementi dell'intelligenza del mondo per fare scelte di cui, a posteriori, poter essere soddisfatti”.
La formula del futuro
“Per prosperare come disciplina a sé stante, l'intelligenza collettiva richiederà una visione che include i progressi nel campo dell'intelligenza macchinica ma che varrà anche al di là della tecnologia (…) La mia speranza è che nei decenni a venire possano emergere diversi sintesi, alcune delle quali fondate sui concetti illustrati in questo libro, che formino un campo di studi emergente capace di analizzare sistemi, modelli di pensiero e risoluzione di problemi. (…) La creazione di questi strumenti su una scala e con una capacità adatte alle sfide, mediante incentivazione delle persone dotate nel campo del design dell'intelligenza (intelligence design), sarà uno dei compiti più importanti che il 21º secolo dovrà affrontare. Secondo Mulgan la formula del futuro è: artificiale intelligence + collective intelligence = intelligence design
Geoff Mulgan, L'intelligenza collettiva che può cambiare il mondo, Codice Edizioni, 2018, ISBN 9788875787523
Articoli correlati
Cultura e digitale, tra sfide e opportunità. L’analisi e le proposte di Nesta per Arts Council England
Nesta Italia lancia il suo Challenge Prize anche per le fondazioni italiane
La Blockchain potrebbe cambiarci la vita?
Nasce Nesta Italia
L’occupazione creativa come risposta all’automazione: il piano d’azione di Nesta
L’economia culturale e creativa – Europa e Italia a confronto
Test and Learn. Il digitale nelle organizzazioni culturali: uno sguardo internazionale