Biennali di fuoco e di ghiaccio
Göteborg, Istanbul, Salonicco e Mosca. Sino al 24 novembre è in corso la 55ma Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia, a caccia di un nuovo record di visitatori. Ma la fine dell’estate, come di consueto, porta con sé una nuova carrellata di biennali: in tutto il mondo, del resto, si calcola ne vengano organizzate più di 150, un numero comunque approssimativo perché periodicamente alcune «muoiono» e altre nascono.
Svedesi politicamente scorretti
Katerina Gregos ha curato «The Politics of Play» (al Röda Sten Konsthall), una delle quattro mostre che compongono la 7ma Biennale Internazionale d’Arte Contemporanea di Göteborg, intitolata «Giocare! Riappropriazione e immaginazione radicale», che si svolge dal 7 settembre al 17 novembre. La curatrice spiega che il titolo sta a indicare l’invito a non «accettare il mondo così com’è, ma immaginare ciò che potrebbe essere e, allo stesso tempo, smantellare le opinioni consolidate e gli stereotipi normativi. Giocare è osare assecondare l’humour, la scorrettezza politica spiritosa, la provocazione intelligente, la satira e il ridicolo».
La Biennale di Göteborg si propone di sfidare i preconcetti dell’arte politica che l’hanno fatta «diventare di fatto sinonimo di pratica arida, visualmente sterile e priva di immaginazione». Sono attesi più di 40mila visitatori, ai quali la rassegna offre performance e mostre in spazi pubblici, un programma educativo, progetti satelliti e la conferenza internazionale «Sull’immaginazione radicale: dialoghi e provocazione». Con il numero crescente di biennali in tutto il mondo, quella svedese tende a «inserirsi fortemente nel contesto locale. È particolarmente orientata a un pubblico estraneo al mondo dell’arte e a visitatori dall’area svedese occidentale», prosegue la Gregos, che ha cocurato anche la mostra centrale dello Steirischer Herbst, un festival artistico multidisciplinare che apre a Graz, in Austria dal 20 settembre al 13 ottobre: «Liquid Assets: In the Aftermath of the Transformation of Capital» (Liquidità: dopo la Trasformazione del Capitale, questo il titolo) scava nel tenebroso mondo della finanza attraverso le opere di artisti internazionali.
Tornando a Göteborg, le altre tre mostre della biennale sono: «Weight», curata da Ragnar Kjartansson in collaborazione con Andjeas Ejiksson, una due giorni (7-8 settembre) allo Stora Teatern; «AnarKrew: An Anti-Archives - Gothenburg Carnival on Record», curata da Claire Tancons, e allestita in varie sedi (Göteborgs Konsthall, Hasselblad Center, Götaplatsen,Esperantoplatsen, Kungsport Avenyn, il porto di Goteborg e il Nefertiti Jazz Club); «Art and Crime - Legally on the Edge - A Forensic Exhibition in the Backwaters of Gothenburg», curata da Joanna Warsza, al Kajskjul 207 - Lilla Bommen/Gullbergskajen. Tra gli artisti presenti, Jorge Galindo & Santiago Sierra, le Guerilla Girls, Roberto Paci Dalò, Pavel Pepperstein, Marinella Senatore e Tania Bruguera.
Barbari sul Bosforo
Curatori e critici dicono che la 13ma Biennale di Istanbul avrà maggiore risonanza in ragione delle recenti proteste antigovernative sviluppatesi in tutta la Turchia. Secondo la curatrice Fulya Erdemci la biennale, intitolata «Mom, am I Barbarian?» (Mamma, sono un barbaro io?), esplora le questioni politiche e sociali che hanno dato origine in giugno all’esplosione di dissenso in tutto il Paese, il cui epicentro è stato il Gezi Park di Istanbul. Focalizzate sul concetto di «spazi pubblici come forum politici», le opere esposte dal 14 settembre al 20 ottobre in diversi siti della città (Antrepo 3, Galata Greek Primary School, Arter, Salt Beyoglue 5533) «pongono questioni sulle forme contemporanee di democrazia e si confrontano con le attuali politiche spazio-economiche», aggiunge la Erdemci (mentre andavamo in stampa, non era ancora stato confermato l’elenco degli artisti). «Mom, am I Barbarian?» è una citazione dell’omonimo libro del 1998 del poeta turco Lale Müldür. «Che cosa significa essere un barbaro? Dopo tutto, galvanizzando i confini della civilizzazione, il “barbaro” riflette “l’assoluto altro” nella società, circumnavigando le frontiere delle politiche di identità e le discussioni multiculturali», continua la curatrice. Intanto, il mercante Kerimcan Güleryüz, che gestisce la galleria Empire Project di Istanbul, afferma: «Mi aspetto di vedere molte opere influenzate dalle rivolte; le violenze della polizia dovrebbero essere in primo piano».
Mediterraneo in tempesta
I recenti conflitti e l’instabilità economica hanno lasciato i Paesi affacciati sul Mediterraneo in uno stato confusionale. «Attualmente la regione è disorientata, con i suoi popoli che combattono con gli sconvolgimenti economici e le crisi di identità nazionale», dice Adelina von Fürstenberg, che ha curato la 4a Biennale d’Arte Contemporanea di Salonicco, aperta dal 18 settembre al 31 gennaio, con l’appropriatamente confusionario titolo «Everywhere but Now» («Dovunque ma ora»). «Sono molto interessata alle domande che si stanno sollevando nel Mediterraneo, non solo al bel paesaggio», afferma la curatrice. Le domande cui spera di dare risposta, secondo il suo saggio in catalogo, sono: «Possiamo considerare la creazione artistica come valida fonte di resistenza dell’identità e come moderna sfida? In che modo l’approccio artistico può ispirare e mobilitare le persone a costruire una società più giusta?». La Von Fürstenberg dirige l’organizzazione non governativa Art for the World e concorda sul fatto che le proteste in Grecia, Egitto e Turchia siano l’aspetto esteriore del pensiero delle persone, ma insiste sul fatto che la biennale «non è una mostra politica. Riguarda la realtà, le preoccupazioni della gente comune» come i flussi migratori, la povertà e i conflitti tra minoranze. La biennale riunisce lavori (dipinti, sculture, fotografie, videoinstallazioni, performance) di oltre 50 artisti (tra gli altri, Marina Abramović, Ghada Amer, John Armleder, Maja Bajević, Claire Fontaine, Haris Epaminonda, Los Carpinteros, Marcello Maloberti, Miltos Manetas, Liliana Moro, Adrian Paci, Dan & Lia Perjovschi e Peter Wüthrich) da 25 Paesi (dal Brasile a Cuba, dall’Iran all’India, e da molti Paesi del Mediterraneo, inclusi 11 artisti greci) con mostre in edifici storici della città, tra cui la moschea del XV secolo Alatza Imaret e la Geni Tzami, costruita per la comunità ebraica cittadina convertita all’Islam nel 1902. Le altre sedi sono il centro commerciale Periptero 6, ilMuseo statale di Arte contemporanea, il Museo archeologico di Salonicco, il Museo di Cultura bizantina e il Museo macedone d’Arte contemporanea. La rassegna è finanziata dal programma operativo di sviluppo della Grecia per la Macedonia-Tracia con risorse dal Fondo europeo di sviluppo regionale dell’Unione Europea.
A Mosca sul rompighiaccio
«Mosca può essere un posto ideale per una biennale, asserisce Catherine de Zegher, curatrice della 5a Biennale d’Arte Contemporanea della città. È un luogo dove mondi diversi rimbalzano gli uni sugli altri, punto d’incontro tra Occidente e Oriente». L’internazionalità è evidente nella mostra principale, «Bolshe Sveta» («Più luce»), al centro espositivo Manege, che presenta dal 20 settembre al 20 ottobre un centinaio di artisti provenienti da 40 Paesi. La De Zegher ha scelto artisti che si oppongono e resistono alla mancanza di spazio e tempo nel mondo moderno, esemplificata dall’implacabile circuito delle biennali.
Tra le opere in mostra, i ritagli in carta dell’artista indonesiano Jumaadi, ispirati dai viaggi attraverso gli sconfinati paesaggi dell’Australia, e il video del moscovita Victor Alimpiev, «To Trample Down an Arable Land» (2009), che cattura una lenta, silenziosa, ritualistica processione di performer. Gli aficionados delle biennali possono visitare una mostra a bordo della rompighiaccio sovietica a propulsione nucleare Lenin, ormeggiata a Murmansk, la più grande città sul Circolo Polare Artico. Quest’ultima rassegna è parte dell’esteso programma collaterale della biennale ed è una documentazione sul progetto in mostra alla D.E.V.E Gallery di Mosca. La De Zegher è molto soddisfatta della piena libertà accordatale dal suo committente Joseph Backstein: «Le biennali, spiega, dovrebbero essere una piattaforma sperimentale al riparo da qualsiasi pressione commerciale».
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