Autarchia, austerità, autoproduzione. Il design al tempo della crisi
Milano. Alla Triennale è stata inaugurata la settima edizione del Museo del Design dedicata al rapporto tra design e crisi, a partire dall’analisi di tre periodi storici cruciali: gli anni trenta dell’autarchia, gli anni settanta dell’austerità e gli anni zero dell’autoproduzione. Il tema, scelto dal direttore del museo Silvana Annicchiarico, è quanto mai opportuno e pertinente, considerato l’interesse virale per l’autoproduzione nelle sue intersezioni tra tecnologia e artigianato. Triennale dimostra la propria maturità critica estendendo la riflessione al potere costruttivo delle crisi che, seppure devastanti, faticose e dolorose, possono anche rappresentare una condizione favorevole allo stimolo della creatività progettuale al punto da accendere, nelle parole di Annicchiarico, “quella miccia d’orgoglio, quello scatto di fantasia, quell’istinto di riscatto che consentono alle congiunture storiche di passare in modo relativamente rapido dalla difficoltà all’opportunità, dallo sconforto al progetto, dalla mancanza alla risorsa”.
Beppe Finessi, curatore scientifico, interpreta con rigore e coerenza i temi dell’autarchia e dell’austerità e dell’autoproduzione contemporanea illustrando il percorso con un’ampia selezione di circa 600 lavori, molti dei quali poco noti o misconosciuti e per questo ancora più interessanti e sorprendenti. Si tratta probabilmente della messa in scena più museale tra le sette realizzate fin’ora, incentrata su un modello di design che trae le proprie origini dall’artigianato artistico. Frugando negli interstizi tra arte e artigianato affiora dall’oblio una storia fatta di episodi minori, opere periferiche, talenti trascurati dove a maestri del passato quali Fortunato Depero, considerato l’incipit della narrazione, Gio Ponti, Bruno Munari o Ettore Sottsass si affiancano “intelligenze dimenticate” come Roberto Mango, Paolo Deganello o Gastone Rinaldi. Nell’allestimento progettato da Philippe Nigro i maestri del passato dialogano sui temi dell’autoproduzione con quelli del presente (Riccardo Dalisi, Michele De Lucchi, Ugo La Pietra, Enzo Mari, Alessandro Mendini) e con quelli del futuro (Paolo Ulian, Donata Paruccini, Lorenzo Damiani, Massimiliano Adami) in un intreccio fitto e materico dove trovano un meritato spazio i saperi femminili di Fede Cheti, Antonia Campo o Renata Bonfanti ma anche focus sui materiali nostrani quali il marmo, la ceramica o il vimini, tecniche come il mosaico, città come Torino o territori come la Sardegna.
Sono storie solitarie e silenziose che descrivono il piacere amatoriale di costruire oggetti unici o in piccola serie, storie individuali che tradizionalmente appartengono all’artigianato artistico e che qui vengono svelate come dimensione privata di designer solitamente abituati a confrontarsi con scale di progetto e sistemi di produzione più ampie. E, se nel tempo, progettisti come Munari, Mendini o Dalisi, fino a Martino Gamper o Lorenzo Damiani, ci hanno abituati all’autonomia della loro ricerca artistica, altri come Michele De Lucchi, Giulio Iacchetti, Odoardo Fioravanti o Matteo Ragni continuano a coltivare collaborazioni con il mondo produttivo raccogliendo le sue sfide e i suoi vincoli, in un confronto dialettico in cui affondano le radici del design italiano come sistema, professione collettiva, utile alleanza. Quello che emerge da questa settima edizione del Museo del design è che accanto alla crisi economica quella che maggiormente ha colpito il design italiano è la crisi della committenza, di quell’imprenditoria illuminata che -non dimentichiamolo- negli anni sessanta aveva determinato il successo del design italiano nel mondo, investendo in ricerca, assumendosi i rischi imprenditoriali, scoprendo nuovi mercati e nuovi talenti. I successi degli arredi in vimini di Franco Albini vanno condivisi con Vittorio Bonacina, e quelli delle ceramiche di Mari con Danese, e con le numerose aziende familiari che hanno costruito il mito italiano nel mondo.
Le crisi si sono portate via parte di questa committenza, che per Vico Magistretti, non a caso qui assente, rappresentava l’altra metà di un “matrimonio perfetto”.
La Triennale, concludendo, ci mette di fronte alla crisi del modello industriale del design a vantaggio del modello artigianale, da declinarsi nei circuiti dell’arte che invece di quelli democratici della produzione seriale. La speranza è che nel futuro questi due modelli apparentemente antitetici possano convivere felicemente.
Triennale Design Museum
Settima edizione
Il design italiano oltre le crisi
Autarchia, austerità, autoproduzione
4 aprile 2014 – 22 febbraio 2015
Direzione: Silvana Annicchiarico
Cura scientifica: Beppe Finessi
Progetto di allestimento: Philippe Nigro
Progetto grafico: Italo Lupi
Catalogo Corraini Edizioni
Ingresso 8 euro
Orari
martedì-domenica 10.30-20.30
giovedì 10.30-23.00
www.triennale.org
da Il Giornale dell'Architettura, edizione online, 7 aprile 2014