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Architettura e bio-diversità: Innovazione, benefici e nuovi immaginari

  • Pubblicato il: 06/07/2016 - 12:02
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Articolo a cura di: 
Giulia Caffaro

Prosegue lo spazio alle giovani firme. Giulia Caffaro, membro della community ALL (il progetto della nostra testata madre-Il Giornale dell’Arte, dedicato ad avvicinare gli  studenti di Università e Accademie alla lettura critica  sul sistema dell’arte),  designer and arts specialist con una laurea Magistrale in Arti Visive all'Università di Bologna
Stefano Boeri che  racconta il suo “modello di urbanità che ingloba la natura”
 
 
Protagonista della scena architettonica nazionale e internazionale, figlio d'arte, ex-direttore di “Domus” e “Abitare”, progettista e ricercatore innovativo, fondatore di Multiplicity, docente universitario e urbanista, Stefano Boeri vanta oggi un altro fiore all'occhiello: un modello residenziale che evoca la dimensione del bosco all'interno della scena urbana, con innegabile potenza simbolica.
 
Architetto Boeri, iniziamo parlando della Sua recente e premiata creazione: il Bosco Verticale. Due polmoni verticali nel Centro Direzionale Isola, che per il 2015 sono stati nominati “grattacieli più belli e innovativi del mondo”. Quali benefici apportano le specie vegetali alla struttura portante, agli utenti e alle zone limitrofe?
Innanzitutto stiamo parlando di due torri che ospitano circa 21000 esemplari vegetali, l'equivalente di un bosco di due ettari sulle loro facciate, di cui 800 alberi, 4500 arbusti e più di 25000 piante. I benefici sono prima di tutto di tipo ambientale perché, come sappiamo, le foglie hanno la capacità di produrre ossigeno e riassorbire anidride carbonica, una seconda capacità da non sottovalutare è l'assorbimento delle polveri sottili derivanti dal traffico automobilistico. Inoltre gli alberi creano un particolare microclima sui terrazzi e sui balconi, che riduce i consumi energetici perché riduce la differenza di temperatura tra interno ed esterno, per cui d'estate c'è un grande risparmio energetico sugli impianti di condizionamento. Poi vorrei sottolineare l'enorme contributo, forse meno quantificabile ma a mio avviso altrettanto importante, che queste specie portano alla biodiversità. Sulle due torri ci sono più di cento specie di piante, selezionate con grande cura a seconda della posizione, dell'umidità, dell'esposizione al sole, della ventosità, ma ci sono anche più di venti specie di uccelli che attualmente hanno nidificato sugli alberi. Questo aspetto è primario nel mio progetto perché si tratta, per così dire, di un innesto di biodiversità equivalente a quella di un bosco nel cuore di una città molto densa.
 
Quando ho visto le prime immagini del Bosco Verticale, mi è venuto in mente un artista di Lodi, Giuliano Mauri, che più volte venne definito “il tessitore del bosco” perché ricreava con soli materiali organici vere e proprie architetture vegetali. Le sue opere non avevano valenza strutturale ma sicuramente una grande portata simbolica. Per Giuliano Mauri, l'antica opposizione tra cultura e natura, tra artefatti e prodotti naturali, è superabile attraverso una nuova alleanza. Cosa pensa abbia in comune il suo progetto con questa mentalità? Pensa sia possibile rimettere in contatto umanità e natura attraverso l'arteficio?
Io penso che sia giusto provare a farlo, è una sfida importante. Nel nostro caso non si tratta di utilizzare la natura come elemento ornamentale perché nel Bosco Verticale la natura è protagonista, per ogni abitante del Bosco ci sono due alberi, otto arbusti e circa venti piante. La proporzione racconta bene cosa sia questo edificio, una “casa per alberi” abitata anche da uccelli e da umani. Mauri è stato senz'altro un ispiratore, anche se lui non ha mai lavorato sulle architetture, quello che ci accomuna è il tentativo di ricreare una connessione tra uomo e natura senza necessariamente uscire dalla città. È una sfida su cui lavoro da molti anni.
 
Quali sono state le sue fonti di ispirazione? I casi studio che ha considerato?
Restando in tema, vorrei ricordare altri due grandi artisti: l'austriaco Friedensreich Hundertwasser, che negli anni Settanta aveva teorizzato la possibilità di accettare gli alberi come “inquilini” nelle città, e il grandissimo Joseph Beuys, che nel 1982 per la settima edizione di “Documenta” a Kassel trasformò 7000 pietre di basalto in altrettante querce da collocare in tutta la città e nelle areecircostanti. Importanti in questo senso furono anche le esperienze di alcuni architetti radicali della Firenze degli anni Sessanta, che lavorarono sul rapporto tra natura e città in un modo molto interessante.
 
Per la Biennale di Architettura in corso l'eco-sostenibilità è uno dei temi fondanti. Pensa che il suo progetto vada in questa direzione?
Non saprei se chiamare il Bosco Verticale “architettura sostenibile”, io penso che sia un'architettura che dialoga con gli alberi, che non sono semplicemente natura o semplicemente piante. Io ho progettato una casa per alberi, questo è un po' tutto. Che poi sia un edificio alto è un valore aggiunto, pioneristico se vogliamo, ma è una casa per alberi. Può essere chiamata “ecosistema architettonico”, “architettura bio-sostenibile”, non spetta a me definirla. Quando penso al mio progetto penso ad un organismo vivente, quindi preferisco il termine “organico”, perché basta avvicinarsi per capire che è popolata da un mondo vitale, fatto da piante, alberi, uccelli ed esseri umani. Questa è la cosa più interessante, una grande dimensione biologica all'interno di una città che al giorno d'oggi è quasi del tutto minerale. Demineralizzare le architetture urbane: è questa la mia provocazione continua.
 
Potrebbe darci qualche anticipazione riguardo l'importante mandato urbanistico che lo studio Boeri attuerà in Cina? Quali accortezze bisogna tenere presenti per lavorare su un territorio in perenne stato di emergenza abitativa?
Stiamo parlando di una “Forest City” a circa trecento chilometri da Pechino. Abbiamo dovuto immaginare un modello di crescita della città diverso da quello tradizionale, che fino ad ora ha creato città gigantesche, fatte di periferie, di percorsi folli, di distanze incommensurabili, con una qualità dell'aria assolutamente inaccettabile. La grande megalopoli cinese, perché ricordiamo che attorno a Pechino vivono centotrenta milioni di persone, è ormai un incubo e il Governo Cinese ha compreso l'esigenza di un modello di crescita differente. Considerando che ormai in Cina non si può evitare di costruire nuove città perché c'è una migrazione dalle campagne portentosa, abbiamo offerto la possibilità di immaginare un sistema di piccole città, con massimo centomila abitanti, verticali e verdi. Sulla tipologia del Bosco Verticale abbiamo ipotizzato edifici di grandi, medie e piccole dimensioni, con funzioni e destinazioni differenti. Questa cosa è sembrata loro molto importante per cui stiamo ragionando su questo modello di Forest City, in termini di dimensioni, posizionamento, specie vegetali e fattibilità.
 
Quali difficoltà progettuali e logistiche state riscontrando?
Le difficoltà sono di molti tipi, in particolare sussistono ostacoli legati alla burocrazia, ad una serie di vincoli sui costi e poi molte contraddizioni: ad esempio per la Cina il tema della pulizia dell'aria è fondamentale e quindi ci investono molto ma ancora oggi manca un sistema regolamentato di riscaldamento, così come non ci sono investimenti significativi sull'auto elettrica.
 
Nelle edizioni passate della Biennale si è discusso di realtà che sembravano segnare la scomparsa dell’architettura, o meglio, un crescente distacco tra architettura e società civile. Da adesso in poi si va alla ricerca di fenomeni che mostrino una tendenza contraria, si cercano messaggi incoraggianti. Lei ha qualche suggerimento?
Dal punto di vista professionale è bene che l'architetto si interroghi sempre sull'utilità sociale dei suoi progetti. Ad esempio bisogna sapere che un edificio alto sarà esposto alla vista di tutti e dunque sarà sempre, in qualche modo, un edificio pubblico anche se ha dimensioni private. Questo spiega perché il Bosco Verticale viene oggi considerato un “bene collettivo di Milano”, anche se a tutti gli effetti è abitato da privati. Bisogna tener conto della portata sociale delle proprie creazioni senza
però dimenticare che l'architettura è uno strumento per costruire simboli, luoghi in cui si proietta l'immaginario dei cittadini. C'è sempre anche una nota di “superfluo” nella vera architettura. Non dimentichiamo che l'architettura è molto più che uno strumento utile per fare del bene alla gente, è anche uno strumento per creare dei fuochi simbolici, dei luoghi condivisi, creare immaginari. Il mio messaggio è questo, non perdiamo di vista il senso dell'architettura.