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APPUNTI DI VIAGGIO. VERSO UNA DEFINIZIONE DI WELFARE CULTURALE

  • Pubblicato il: 14/12/2016 - 19:04
Rubrica: 
CULTURA E WELFARE
Articolo a cura di: 
Francesco Mannino

Dire e fare. Testimoni di eccezione nel nostro viaggio per la compresione del significato di Welfare Culturale. A fronte di una crescente povertà educativa tra i minori che li priva di strumenti di comprensione dell’esistente e di costruzione di rapporti sociali attivi con gli altri esseri umani, la Cultura può contribuire a  contrastare il fenomeno? E davanti a comunità che interpretano in direzione sempre più divisiva le cause del proprio malessere, cosa può aiutare ad acquisire consapevolezza su questo presente, sulle origini recenti o remote della sua forma e sugli strumenti per costruire un futuro diverso? E di cosa abbiamo bisogno per creare nuove relazioni, basate sulla coesione e non sulla divisione? Ascoltiamo l’esperienza di contributo al welfare di Ciccio Mannino, Presidente di Officine Culturali a Catania, che   propone  luoghi della cultura che persone esperte facciano diventare vivaci, parlanti, educanti, socializzanti, creativi.  “Di mediatori che ci aiutino a cogliere la complessità della storia che saperi, arti e architetture – il patrimonio culturale – sanno testimoniare così bene. Questa è una “attività essenziale” assimilabile a diritti quali benessere, istruzione, occupazione. Ma l’Italia non è ancora attrezzata in questa direzione.” Il progetto di Mannino è tra i dieci casi italiani scelti per “Spiriti creatori”, la seconda Giornata della Generatività Sociale che si terrà il 16 dicembre al teatro Litta di Milano.  Generatività che per il  sociologo Mauro Magatti è una messa in moto di relazioni virtuose. Un’azione consapevole, responsabile, rispettosa e aperta al contesto. “Ma la funzione di contributo al welfare, per essere efficace, deve essere riconosciuta alla Cultura anche con condizioni di contesto”.
 


Secondo il Dlgs. n. 146/2015, la fruizione  del patrimonio culturale è un’attività essenziale connessa ai diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale. A esso seguono con coerenza le parole del Presidente Mattarella a Mantova per il convegno “Città d’arte 3.0”, ovvero che la conoscenza (la Cultura) è il miglior ritorno d’investimento che si può volere, perché «garantisce coesione, senso di appartenenza alla società, fiducia e rispetto per l'ambiente e per gli altri».
 
Officine Culturali a Catania  si muove su questi principi. E’ una associazione che ha deciso di consentire a diversi pubblici la possibilità di accedere a un grande complesso architettonico storico, fare esperienza,  ogni giorno, in mille modi diversi: il Monastero dei Benedettini di San Nicolò l’Arena. La sua missione è quella di rendere accessibile e comprensibile il patrimonio culturale (e la sua capacità di manifestare la complessità umana) al maggior numero di persone e nel migliore dei modi (funzione educativa), coinvolgendo le comunità di riferimento nei processi di progettazione e produzione culturale, quale atto di consapevolezza e partecipazione (funzione sociale). Operiamo in seguito a una proposta da parte dell’Università, proprietaria del bene e oggettivamente impossibilitata ad attivare servizi inclusivi di fruizione e comunicazione sociale della ricerca scientifica. Circa 200 mila persone hanno partecipato negli ultimi 7 anni alle attività da noi progettate e realizzate e sempre più spesso con la collaborazione attiva dei partecipanti stessi.
 
Il nostro è un tipico esempio di welfare culturale sostitutivo, che resta sospeso tra Stato (che in molti casi non può erogare servizi di intermediazione culturale e della conoscenza) e mercato, visto che la debole economia che ruota attorno a queste attività consente al massimo 1/3 della sostenibilità reale di tutta l’operazione, che va soprattutto a copertura delle retribuzioni dei soci professionisti coinvolti per le diverse attività di sperimentazione quotidiana. Sono  9 i contratti part-time CCNL Federculture, a fronte di un coinvolgimento a tempo più che pieno di operatori che studiano, progettano, pianificano, eseguono, sperimentano e valutano attività culturali con ricadute sul bene stesso (maggiore attenzione alla tutela) e sulle comunità di riferimento (educazione e coesione sociale).
 
Officine Culturali ritiene che il settore culturale, attivando funzioni educative e associandole ad altre aggregative e civiche, possa contribuire in maniera consistente alla coesione sociale che oggi è un obiettivo imprescindibile (e universalmente individuato) per società europee socialmente più eque. Inoltre è noto che questo settore è largamente “abitato” da organizzazioni non profit, che si fanno pressoché totale carico degli oneri di ricerca, progettazione, gestione e valutazione: organizzazioni che non nascono per presidiare porzioni di mercato, bensì per dare un contributo consistente, professionale, continuativo ed efficace al progresso delle proprie comunità. Eppure una organizzazione non profit, se eroga servizi a terzi che non siano suoi  soci, viene equiparata ad una organizzazione commerciale a tutti gli effetti. Eppure il costo del lavoro per tali organizzazioni è il medesimo delle aziende che hanno lecitamente finalità di profitto. Eppure non esiste una strategia nazionale che sostenga tali organizzazioni riconoscendone il ruolo coesivo, magari legandone il sostegno a processi di verifica degli impatti realmente generati e davvero efficaci e duraturi.
 
Il welfare culturale a mio avviso necessita:

  • di essere riconosciuto ufficialmente, sia per ciò che riguarda le sue forme organizzative che per le nuove professioni che esso ha generato e che ospita;
  • di poter contare di un sistema visionario di governance, che possa aiutarlo a definire obiettivi, strategie e impatti perseguibili;
  • di poter contare su un sistema di agevolazioni fiscali che lo aiutino a contenere gli oneri di gestione (per esempio intervenendo sulla attuale Riforma del Terzo Settore);
  • allo stesso modo di poter contare su una riduzione del cuneo fiscale, per pesare meno sui lavoratori impiegati;
  • di rivedere il sistema concessorio per gli usi dei luoghi della cultura, seppur in piena coerenza con quanto previsto dal DLgs 42/2004, ma aggiornando quest’ultimo sulla base delle funzioni educative e sociali possibili, in base a criteri di accessibilità (fisica, cognitiva, sociale, economica), inclusione sociale, coinvolgimento attivo delle comunità (per esempio consolidando il campo d’azione del nuovo Codice degli Appalti – ad es. Art. 151 – e integrandolo con il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio);
  • infine, secondo una logica di finanza d’impatto, rivedere le strategie di distribuzione dei budget pubblici, appostando nuove risorse economiche su processi di progettazione culturale ad impatto sociale, in cui questi ultimi siano individuati d’intesa tra soggetto pubblico e sistema delle organizzazioni culturali, e poi verificati attentamente, quale condizione imprescindibile per l’ottenimento del sostegno finanziario.

 
Insomma, allo Stato spetti l’onere della strategia complessiva e della regia e il coraggio della riformulazione strategica di sistemi fiscali, concessori e dei budget; alle organizzazioni l’onere della condivisione della visione e della progettazione culturale, con capacità verificabile di traguardare precisi impatti sociali.
 
Abbiamo bisogno di piazze del sapere, biblioteche, musei e centri culturali che si attrezzino per comprendere le proprie comunità di riferimento, sappiano accoglierle e contribuire a fornire loro strumenti. Essere consapevoli, divenire comunità, condividere e costruire insieme il futuro è un bisogno essenziale delle società di questo Paese e il welfare culturale è uno degli strumenti che può aiutare a sostenere e traguardare questo obiettivo.

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