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Alla Valletta, Cultura e Salute in allenza per il DEEP SHELTER PROJECT  

  • Pubblicato il: 15/10/2017 - 20:00
Autore/i: 
Rubrica: 
CULTURA E WELFARE
Articolo a cura di: 
Sendy Ghirardi

In occasione di Valletta 2018 Capitale Europea della Cultura, la Fondazione Valletta lancia una open call - AiR agli artisti per una residenza nel Sir Anthony Mamo Oncology Centre (SAMOC) all’interno del Deep Shelter Project in corso all’ospedale.  Ne abbiamo parlato con l’artista  Pamela Baldacchino che cura il progetto.
Rubrica di ricerca in collaborazione con Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo.
 

 
Si chiama AiR (Artist in Residence) il progetto coordinato da Ann Laenen della Fondazione Valletta 2018 che promuove una nuova sinergia tra cultura e salute nella scena contemporanea. La fondazione lancia un bando per selezionare un artista che entrerà a far parte del Deep Shelter Project curato dall’artista Pamela Baldacchino nel Sir Anthony Mamo Oncology Centre (SAMOC).
Deep Shelter è un progetto artistico ongoing pensato principalmente per essere inserito nel contesto clinico ospedaliero. È un processo interdisciplinare che mira a innescare un dialogo empatico tra paziente e personale sanitario, utilizzando il linguaggio audio-visivo.  Attraverso il progetto si rivela la narrazione della malattia, per incoraggiare l'individuo a portare alla luce i propri ricordi e le proprie sensazioni.
L'artista selezionato dal bando creerà un lavoro site-specific, per il Centro Oncologico, lavorando a stretto contatto con Pamela Baldacchino e la Dottoressa Benna Chase Psicologa al SAMOC. Il Deep Shelter è infatti un progetto community-specific, ossia che interagisce con la vita sociale del luogo, valorizzando le differenze e facendosi motore di una dialettica del confronto.
Abbiamo intervistato Pamela Baldacchino di Deep Shelter per farci raccontare questa esperienza.
 
Come è nato questo progetto?
Qualche anno fa, durante il mio master, il Dr Vince Briffa, capo del Digital Arts Department nella facoltà di Media and Knowledge Science all’Università di Malta, mi ha posto una semplice domanda: «Cosa è importante per te? Di cosa sei alla ricerca?». Quella domanda ha innescato l’idea del progetto, che si è sviluppato gradualmente. Sono interessata alla connessione empatica e a colmare le distanze tra le persone mentre stanno attraversando una grave malattia. Io stessa ho dovuto affrontare una malattia per un lungo periodo e ho un background da infermiera. La mia personale crisi di senso e le cattive condizioni di salute mi hanno portato ad avere a che fare con una dimensione interiore di smarrimento, collasso ed esilio. Per questo, ho sentito il bisogno di creare un luogo portatile che attenuasse questa sofferenza personale e che mi avrebbe permesso di condividere la mia vulnerabilità con altre persone che stavano attraversando lo stesso percorso.
Il Deep Shelter Project si è sviluppato attraverso un processo collaborativo con altri artisti, dove sono state create dodici opere audio-visive.
La natura è la dinamica centrale che riunisce l’interazione tra diversi elementi. La natura diventa una metafora del sé, dove vengono catturati sia la fluidità che la tensione. Emergono piccole storie che si basano su idee di viaggi, cicli, ritmi, equilibrio e presenza. Ciò vuole suscitare la sensazione del sentirsi a casa, dove ci si capisce e protegge. Le opere create incoraggiano il processo di narrazione del paziente, che riconosce tutto ciò che non può essere detto con le parole; tutto ciò che non può essere spiegato. Questo comporta un’emersione del processo empatico con il sé.
Inoltre, le opere sono aperte ad un'interpretazione individuale per il loro orientamento universale e testo minimo.
Questo ci ha portato alla residenza artistica triennale al Sir Anthony Mamo Oncology Center, presso il Mater Dei Hospital di Malta, che vuole portare forme artistiche all’interno dello spazio clinico attraverso la ricerca collaborativa, la creazione di opere rilevanti per il contesto, le donazioni di opere da parte degli artisti locali, insieme a laboratori artistici sensoriali per la comunità del centro oncologico.
La residenza, a seguito dell’open call internazionale, migliorerà ulteriormente la natura del progetto, che si basa sui delicati parametri della salute umana.
 
Quali sono le organizzazioni coinvolte?
Ho avuto l’opportunità di incontrare la Dr Ann Laenen, coordinatrice del programma Meeting Point/AiR con cui si è instaurata una relazione che ha portato la Fondazione Valletta 2018 a sostenere il Deep Shelter project. Da qui è nata subito dopo la residenza triennale nel Sir Anthony Mamo Oncology Center all'Ospedale Mater Dei di Malta. La Fondazione crede che la capitale europea della cultura sia un'opportunità per persone provenienti da diverse comunità, sfondi e situazioni per creare connessioni significative attraverso l'arte e la cultura. Il progetto collabora anche con l'Università di Malta.
 
In che modo l’arte diventa strumento per migliorare l’ambiente?
È ormai passato un anno intero dall’inizio della mia residenza. Ci si chiede: in che modo l’arte può fare la differenza in un reparto oncologico? Come può una grave malattia, come il cancro, influenzare la nostra percezione dell’arte e come questo condiziona a sua volta il nostro rapporto con essa? Si può rendere l’arte adatta a questi spazi e quali dovrebbero essere gli aspetti che la definiscono?
 
La ricerca diventa lo strumento fondamentale che identifica e misura le attività che si verificano durante la residenza.
Proprio perché è una nuova area nell’ambito della curatela artistica, deve essere una ricerca che orienta il pensiero e nutre l'avvenimento.
La ricerca che si è sviluppata intorno al Deep Shelter Project si concentra sulla comprensione del valore delle diverse forme artistiche all'interno di un centro oncologico. Sta anche facendo luce sulla tipologia di opere d'arte da collocare negli spazi clinici, rispettando le misure di controllo per le infezioni.
La ricerca avviene in collaborazione con la Dottoressa Benna Chase, principale psico-oncologo al SAMOC, le cui esperienze e osservazioni provengono da vent’anni di lavoro con persone che stanno perdendo la vita e i loro cari. Commenta: «Guardare il film è stata un’esperienza veramente spirituale. Il film è calmante e provoca un’analisi in profondità. È un invito a conoscere il sé per scoprirne i livelli più profondi. L’esperienza audio-visiva potrebbe rivelarsi catartica e terapeutica».
 
 
Quali sono gli effetti immediati di questo progetto sugli artisti?
Abbiamo iniziato gli interventi quotidiani presso il Centro Oncologico Sir Anthony Mamo con un workshop di Design Thinking della Dottoressa Ann Laenen, a cui hanno preso parte il personale infermieristico del reparto diurno, i manager dell’ospedale e gli artisti. Questo è stato il primo passo di un lungo processo attraverso cui vogliamo portare l’arte e altri aspetti di progettazione nel reparto. Lo scopo della sessione era quello di introdurre il Design Thinking e trovare modi per trasformare uno spazio particolare in un ambiente più accogliente.
Successivamente abbiamo tenuto altri tre workshop, questa volta frequentati solo dagli artisti.
Gli artisti /fotografi sono Alex Pihet, Sara Pace, Javier Joseph Formosa e Chiara Monterosso. Qui le risorse si sono concentrate sulla risoluzione dei problemi relativi agli spazi interessati e al sostegno dei processi emotivi e psicologici che si verificano all'interno. Durante il primo di questi laboratori abbiamo illustrato possibili strategie e approcci. Per il secondo siamo andati alla baia di Gnejna a Malta e ad un'altra vicina. Lo scopo era quello di immergerci nella natura e parlare con essa. Abbiamo ascoltato e camminato, raccogliendo frammenti di piante e piccoli pezzi di roccia. Tim Lewis ha filmato il nostro workshop.
Durante la sessione successiva abbiamo esaminato insieme le immagini e discusso le diverse soluzioni e i possibili interventi artistici.  Il laboratorio seguente si è focalizzato sulla creazione di un’opera d’arte. L'aspetto collaborativo è molto forte in questi workshop, dove i punti di forza di ognuno di noi emergono dall’interazione. La cosa importante è che nessuno cerchi di dominare il gruppo, ma che ciascuno aspetti che il processo dell’interazione lo informi.
 
E quali sui pazienti?
Un paio di anni fa ho visitato la biennale di Venezia e sono stata colpita dal lavoro di Herman De Vries All ways to be che permette di immergersi nell'esperienza dell’essere attraverso gli occhi, le orecchie, il naso, la bocca e il corpo. In un certo senso questo spiega perché, insieme alla Dottoressa Benna Chase e Marika Fleri, Coordinatrice della National Cancer Platform, abbiamo avviato laboratori sensoriali all’interno dei servizi di supporto clinico e nella cura palliativa.
Recentemente ho guardato una TED talk di BJ Miller, un medico di cura palliativa. Ad un certo punto dice: «Ci sono montagne di dolore che non possiamo spostare e in un modo o nell’altro ci faranno inginocchiare. Lasciamo che sia la morte a portarci via, non una mancanza di immaginazione». Essere parte di questo workshop mi ha permesso di essere presente e testimoniare altri viaggi umani che si intersecano ai piedi di questo monte. In qualche modo siamo tutti riuniti lì. Con la comprensione ci siamo sostenuti a vicenda, con il rispetto ci siamo ascoltati l’un l’altro, con l’amore ci siamo capiti reciprocamente. Abbiamo sperimentato il bisogno di essere parte di qualcosa, per condividere ed esprimere attraverso i nostri sensi le cose semplici della vita, che sia una danza, una canzone, un odore, una memoria…
I sensi ci danno la possibilità di accedere a ciò che ci fa sentire umani e connessi. Ci permettono di esprimere tutto quello per cui non ci sono parole, di seguire gli impulsi che ci fanno essere presenti, in un posto dove non c’è bisogno di passato o futuro. Dall’aromaterapia e drammaterapia alla danza e alla musica, le sessioni hanno permesso alle persone di partecipare in un ambiente sicuro per esplorare i propri sensi, lasciando raccontare le proprie storie in modi che solo loro avrebbero potuto capire. Questi laboratori devono essere adeguati alle esigenze della comunità di riferimento. Nelle cure palliative abbiamo riscontrato che alcune modalità come lo storytelling in combinazione con performance musicali come il violino o la chitarra sono l'intervento più efficace che può essere eseguito. La presenza dello psicologo consente di elaborare le emozioni emergenti.
 
Non è solo l’opera d’arte che consente al soggetto di impegnarsi significativamente con la propria vita in un momento di crisi, ma è la relazione tra i due che permette che ciò accada. Pertanto, attraverso l’arte creiamo uno spazio che può contenere o sostenere, ma è attraverso la presenza che incoraggiamo questo impegno.
 
…e sullo staff dell’ospedale?
Io e Benna abbiamo presentato la ricerca che abbiamo fatto insieme alla Joining Forces in Cancer Care, la prima conferenza oncologica organizzata dal SAMOC. Questo circa un anno dopo esserci incontrate per caso vicino alla spiaggia. Nel corso di qualche mese il nostro casuale incontro è sbocciato in una profonda amicizia e un ricco scambio di significati che si è sviluppato nella ricerca: Creating chords of empathy in a frequency of trust; un’analisi della presenza del Deep Shelter Project all’interno del Sir Anthony Mamo Oncology Centre. Abbracciando la nostra presenza, posizione, essere, narrazione e conoscenza (tutto ciò che siamo) e lasciando che questo alterasse la dinamica della nostra relazione come ricercatore e praticante siamo state portate a incarnare la narrazione dell'altro. Sembra complesso, ma è veramente un processo molto naturale basato sul desiderio di essere a disposizione degli altri e di utilizzare la riflessività come una sorta di lente che aiuta a chiarire ciò che è nascosto e solo allusivo. Mi piace guardare a questo come una sorta di riciclaggio di storie che poi si uniscono l’una all'altra, portando a un viaggio co-vissuto tra pratica e ricerca.
Durante questa presentazione la Dr. Josianne Scerri, Senior Lecturer del Dipartimento di Mental Health, Facoltà di Health Sciences dell’Università di Malta, ha mostrato interesse per il lavoro che stavamo conducendo. Così si è aperta la possibilità di collaborare alla ricerca per trovare modi e mezzi innovativi per dare sostegno e valore agli infermieri che lavorano nel centro oncologico. Gli infermieri devono sopportare lo stress che accumulano con il carico e le sfide lavorative. Gli infermieri hanno un loro proprio bagaglio, vite che si svolgono sia all’interno della sfera personale che di quella lavorativa. Ciò influenza il modo che hanno relazionarsi emotivamente, psicologicamente, spiritualmente e fisicamente con tutti gli stimoli che li circondano. Sentendosi sopraffatti, possono sperimentare un'incapacità di mantenere l’equilibrio e stabilità. Questo può manifestarsi gradualmente in un malessere come depressione, disperazione e rabbia.  Stiamo aspettando con impazienza di proporre una nuova serie di workshop per il prossimo anno. Qui potranno partecipare al processo creativo, avere accesso ad un diverso linguaggio comunicativo attraverso cui potranno innanzitutto divertirsi. Abbiamo l'obiettivo di esplorare i sensi attraverso forme d’arte differenti, portare all'espressione qualsiasi emozione latente o repressa attraverso queste sessioni artistiche.
 
Quali sono i prossimi passi?
Valletta 2018 recentemente ha invitato gli artisti ad una residenza immersiva legata la progetto Deep Shelter al SAMOC. La residenza si svolgerà tra gennaio 2018 e febbraio 2018 per 6 settimane. L'artista selezionato creerà un lavoro site-specific per il centro oncologico e lavorerà in stretta collaborazione con me e la dottoressa Benna Chase. Lo spazio disponibile sarà la sala d’attesa centrale del dipartimento di radioterapia, visibile anche dal day hospital, offrendo prospettive differenti e la possibilità di essere ammirato anche dai pazienti per un giorno.
 
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