82 bandiere a stelle e strisce
Modena. Scriveva John Szarkowski nel 1966, in apertura al volume The Photographer’s Eye, che «La storia della fotografia non è tanto un viaggio, quanto una crescita; ha un movimento centrifugo, anziché lineare e conseguente. La fotografia è nata tutta intera, come un organismo». Si potrebbe partire da questa prospettiva per avvicinare le ottantadue opere che, con il titolo «Flags of America», saranno esposte a Modena negli spazi dell’ex Ospedale di Sant’Agostino, perché il tessuto vitale che ci aprono, quello di una società americana in ebollizione, è fitto di contenuti e delle visioni che ne danno conto (dal 15 dicembre al 7 aprile, catalogo Skira). Con questa mostra la Fondazione Cassa di Risparmio di Modena, oltre a presentare il nuovo nucleo della collezione avviata nel 2007, prosegue la ricognizione dei grandi autori statunitensi, inaugurata con le retrospettive di Ansel Adams e Edward Weston. Con loro, sono in tutto ventidue le personalità riunite a raccontare altrettanti sguardi sui decenni compresi tra il secondo dopoguerra e i primi anni Ottanta, un periodo di tensioni eccezionalmente fertili in cui «l’America, si legge nell’introduzione di Filippo Maggia al catalogo, si è prima consolidata, celebrandosi come suprema potenza economica e politica mondiale, per poi, già da metà anni Sessanta, iniziare a guardarsi dentro, spinta in questo processo di autoanalisi dai giovani che rivelarono le contraddizioni tipiche di un benessere così rilevante quanto devastante». Ognuno di loro, a partire da due capostipiti come Adams e Weston, è qui come vera e propria bandiera di un approccio che è diventato l’indicazione di una strada, di una direzione secondo cui guardare il mondo. Ci sono le istantanee vere e immediate di Bruce Davidson e Garry Winogrand; le incongruità che Robert Frank e Lee Friedlander mettono a fuoco nel flusso inesorabile del quotidiano. La visionarietà delle immagini di Minor White ePaul Caponigro, come l’inquietudine delle composizioni di Ralph Eugene Meatyard. Il paesaggio urbano nei colori della provincia percorsa da Stephen Shore, e il territorio segnato e ferito dall’uomo, ripreso nel bianco e nero di Robert Adams. L’intelligenza maniacale e spaventosa di Richard Avedon, e la reinvenzione del classico di Irving Penn. Mentre la lucidità tragica di Diane Arbus taglia trasversalmente un’America che molti avrebbero preferito non vedere.
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