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«Più prudenza senza rinunciare alla comunicazione»

  • Pubblicato il: 18/11/2011 - 13:39
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Catterina Seia
Marco Goldin

Linea d’ombra nasce nel 1996 da un’idea di Marco Goldin con l’intento di produrre mostre, dallo stesso curate, di grande richiamo per l’avvicinamento di un ampio pubblico all’arte, un modello presto definito come «blockbuster». Un caso, anche molto discusso, che ha innegabilmente rivoluzionato il concetto di mostra. Grandissimi i numeri: in 15 anni hanno superato i 7 milioni di visitatori. Dopo la partnership con la Galleria Comunale di Palazzo Sarcinelli a Conegliano, la Casa dei Carraresi a Treviso e la Promotrice delle Belle Arti di Torino, dal 2004 al 2009 Linea d’ombra ha realizzato le mostre del Museo di Santa Giulia, della Pinacoteca Tosio Martinengo e del Castello di Brescia. Dal 2009 cura e dirige il progetto pluriennale a firma Goldin «Geografie dell’Europa» per la Regione Friuli Venezia Giulia e l’Azienda Speciale Villa Manin a Passariano di Codroipo (Udine) e collabora con la Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini, la Fondazione San Marino e la Fondazione Palazzo Ducale di Genova. L’anno prossimo sarà protagonista della riapertura della Basilica Palladiana di Vicenza, dopo il restauro quinquennale, con la mostra «Da Raffaello a Rembrandt a Van Gogh. Per una storia del ritratto in Europa» che nel 2013 transiterà anche al Palazzo della Gran Guardia di Verona.

Che cosa legge in questa crisi? Come cambiano i comportamenti degli attori nella produzione di grandi mostre?
Lavoriamo su progetti che contrattualizzati due anni fa, su budget creati in un momento di certo migliore del presente. Probabilmente i progetti che da oggi saranno messi in cantiere diventeranno più complicati, stante la prudenza da parte di tutti: enti, grandi sponsor, fondazioni di origine bancaria. Prevedendo una situazione difficile interveniamo sui costi ancora comprimibili, con una gestione più parsimoniosa. Ritengo comunque che non vada tagliata, ma occorra investire in modo innovativo sulla comunicazione. Va dimostrata fiducia verso i progetti di qualità. Per le mostre del prossimo autunno-inverno, come «Van Gogh e il viaggio di Gauguin» a Genova, abbiamo accordi di co-marketing con altre grandi realtà che coprono tutto il territorio nazionale in modo da scambiare servizi, amplificando il numero e limitando i costi/contatto.

Siete accompagnati spesso da Fondazioni di origine bancaria, ma per la mostra di Genova nuovi soggetti. Come sono cambiate le richieste dei sostenitori nell’ultimo periodo? A fronte di una copertura economica, che cosa richiede un investitore?
Dipende molto dall’entità della sponsorizzazione. Per la mostra di Genova abbiamo conquistato uno sponsor molto importante, UniCredit, che si è affiancato allo storico rapporto con Euromobil. Rispetto al passato oggi lo sponsor chiede un maggior coinvolgimento nella promozione della mostra che si traduce in un coinvolgimento della propria clientela, dei propri dipendenti. Per UniCredit abbiamo costruito – una prassi per Linea d’ombra dal 2004 a oggi – un tour teatrale di presentazione della mostra, denominato «UniCredit Tour» un’ora e mezza di spettacolo in alcuni importanti teatri italiani, ma anche Università come la Cà Foscari di Venezia, per raccontare la mostra in un modo diverso rispetto a quanto accadrebbe in una normale conferenza: testi e musiche concepite per l’operazione che è ad alta intensità emotiva. Lo sponsor che crede nel progetto costruisce sulla mostra con noi un messaggio  di richiamo, coerente con la propria strategia di comunicazione.

Una realtà come Euromobil, invece, che vi indica in modo molto discreto anche quando pubblicizza il proprio prodotto, come vi segue?
Sono compagni ideali di viaggio. Il rapporto con Euromobil è iniziato 15 anni fa a Treviso con mostre che hanno offerto al pubblico italiano - soprattutto nei primi anni - i capolavori dell’impressionismo e che sono diventate un caso nazionale alla fine degli anni Novanta e i primi anni Duemila. Da allora ci hanno seguito un po’ovunque, appoggiandoci costantemente. Sono stati tra i primi a utilizzare il messaggio della mostra anche nella loro comunicazione per un’esigenza di ri-posizionamento. Stare nel mondo di una forte e intensa bellezza ha permesso all’azienda di spostare la percezione del proprio prodotto su un segmento di fascia alta.

La sostenibilità delle vostre mostre passa prevalentemente attraverso sponsor privati?
Passa soprattutto attraverso il rischio d’impresa. La nostra società ha scelto fin dal primo momento di investire risorse proprie anche con budget molto alti. Non siamo mai scesi al di sotto del 50% del budget investito da Linea d’ombra, in alcuni casi abbiamo toccato addirittura l’85%. Nessun altra società ha questo approccio nei confronti della cultura in Italia: forse siamo i più privati tra i privati.
Contiamo molto sulla nostra capacità di attrarre il pubblico e, di conseguenza, sui risultati che ci consentano di recuperare tutte le risorse che abbiamo direttamente investito. E’ chiaro che questo sempre accade. Va fatto un bilancio che tenga conto degli anni nella loro successione: ci sono state occasioni in cui abbiamo avuto utili importanti e altre che non sono state totalmente ripagate. La mostra sulla pittura americana dell’Ottocento e del Novecento a Brescia nel 2007 costò una follia. Nei tre anni di preparazione il progetto si è ingigantito sempre di più diventando non più il racconto della pittura ma di una civiltà, con 400 opere tra dipinti, fotografie, oggetti di natura etnica e sculture e un convegno nel quale sono intervenuti i maggiori studiosi sul tema. Un grande progetto culturale premiato da oltre 200mila visitatori, ma il cui costo fu così elevato che non riuscimmo ad arrivare nemmeno al pareggio di bilancio. Tuttavia, sono molto orgoglioso di quel progetto che tra l’altro mi ha garantito una notorietà straordinaria in tutti i musei americani.

Biglietteria e bookshop sono quindi le vostre fonti di guadagno?
Sono i due fattori di entrata principale, oltre a tutti i contributi che possono arrivare dagli enti che commissionano le mostre e dai partner. Seguono poi i servizi accessori: le visite esclusive a museo chiuso, le visite guidate, il noleggio delle audio guide.

Se dovessimo riassumere l’evoluzione di Linea d’ombra rispetto a una formula che è stata, e lo è ancora, innovativa, guardata e discussa, quali sono stati gli elementi di innovazione nell’ultimo periodo?
Sicuramente un abbandono delle tematiche che ci hanno contraddistinto nei primi dieci anni della nostra attività, il lavoro condotto fino al 2006 principalmente sull’Impressionismo. Da cinque anni a questa parte portiamo avanti dei progetti diversi, come le mostre a Villa Manin, sul rapporto tra Francia ed Est Europa nella pittura del secondo ‘800, la pittura scandinava intorno al lavoro di Munch e l’Espressionismo. Argomenti che per tanti anni sono stati oggetto dei miei studi, diventano ora lavori pubblici. Quando torno a toccare temi parzialmente legati all’impressionismo questi vengono completamente riscritti come la prossima mostra sul tema del viaggio «Van Gogh e il viaggio di Gauguin». Forse mi sono concesso in questi ultimi anni - e parlo di me come curatore - una libertà maggiore nel raccontare le mie riflessioni sulla pittura, non più semplicemente legate ai grandi nomi come ho fatto negli anni di Treviso e di Brescia. Fare divulgazione non significa realizzare progetti scadenti. Popolare non vuol dire mancanza di qualità, ma qualcosa che può essere offerto a un pubblico ampio. Rispondo alle numerose critiche che mi vengono mosse invitando sempre a venire a vedere le mostre, a sfogliarne i cataloghi confrontando la qualità delle opere con mostre che trattano dello stesso argomento. Più che democratizzazione dell’arte mi piace la parola divulgazione, offerta cioè alla visione, alla conoscenza e, importantissimo per quanto mi riguarda, all’emozione del pubblico. Per progetti di questa natura, lo sponsor arriva.

dal X Rapporto Annuale Sponsorizzazioni del Giornale dell'Arte (novembre 2011)

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