Lavorare sulle frequenze della Cultura. Riflessioni a margine dell'apertura del CRPC XXI
A margine della presentazione della ventunesima edizione del CRPC- Corso di Perfezionamento per Responsabile di Progetti Culturali di Fondazione Fitzcarraldo che ha ospitato la opening lecture di Dino Lupelli, fondatore di Elita- società milanese che organizza eventi e attività nel mondo della musica elettronica- alcune riflessioni sul lavoro dell'operatore culturale. “La musica è lavoro”
"Milano era lontana, su, oltre il Po vicino alla Svizzera, una città di fabbriche, di grandi imprese, di traffici. Gli intellettuali lassù sparivano dietro a un grosso nome, e diventavano funzionari di un’industria, tecnici della pubblicità, delle human relations, dell’editoria, del giornalismo. Cessavano di esistere come clan, come corporazione, come grande famiglia: non erano più il sale della terra, i cani da guardia della società, i pionieri dell’avvenire, gli ingegneri dell’anima. No, non c’era altra possibilità: bisognava lavorare da noi, in provincia, nella nostra città".
Luciano Bianciardi, Il lavoro culturale.
Raccontare la giornata di presentazione della ventunesima edizione del Corso di Perfezionamento per Responsabile di Progetti Culturali partendo da una citazione di Bianciardi può apparire pretenzioso. Eppure, un passo scritto nel 1957 può offrire un buon punto di partenza per analizzare cosa significhi oggi portare avanti il lavoro di operatore culturale, una professione che, per le difficoltà e la debolezza strutturale che investono le imprese del settore, somiglia sempre più a una missione di vita.
Già nel corso di ArtLab 16, nell'audizione aperta sulla proposta di legge Ascani-Manzi per le imprese culturali - che ha visto confrontarsi i rappresentanti della Commissione Cultura della Camera dei Deputati con alcuni operatori - sono emersi punti critici e debolezze del sistema culturale: dalla dimensione di micro impresa che caratterizza la maggior parte delle attività alla grande preponderanza di contratti atipici nel settore (con condizioni più deboli e difficoltà di accesso ai sistemi di previdenza sociale).
Eppure, malgrado queste criticità, continua ad aumentare la consapevolezza dell'importanza della cultura per il benessere sociale ed economico dei territori, con la conseguente necessità di figure capaci di occuparsi di management e marketing dei beni e delle attività culturali. Questo scarto tra la durezza della realtà e la morbidezza della retorica che si è sviluppata attorno all'operatore culturale non può che generare dubbi e domande non solo sul futuro di chi opera nella cultura ma soprattutto sulle motivazioni profonde che muovono coloro che decidono di trasformarla in un lavoro.
Nel corso della giornata di apertura del CRPC XXI, la Fondazione Fitzcarraldo ha ospitato "Soundcheck! Lavorare sulle frequenze della musica" una opening lecture incentrata proprio su cosa significhi lavorare in questo ambito. Protagonista della sessione è stato Dino Lupelli, fondatore e general manager di ELITA, società milanese che organizza eventi e attività nel mondo della musica elettronica. Ex allievo del CRPC, Lupelli ha raccontato a un nutrito pubblico la sua esperienza di imprenditore musicale, attraverso cinque frasi e parole chiave che sintetizzano il suo percorso imprenditoriale. Una visione dal backstage di chi non ha rinunciato a fare della propria passione un lavoro.
In primo luogo, secondo Lupelli, la qualità dalla quale non possono prescindere tutti coloro che lavorano in cultura (che sia in ambito musicale, giornalistico, delle performing arts o della valorizzazione dei beni culturali) è la curiosità. Una capacità di sperimentarsi come individui all'interno di mondi lavorativi sconosciuti che genera un arricchimento personale indispensabile per vivere in modo proattivo un mondo in continuo mutamento come quello culturale. Testardaggine, libertà, ansia e capacità di cogliere i cambiamenti sono gli altri aspetti individuati da Lupelli come costitutivi della personalità di chi opera in cultura.
Tra tutti questi vale forse la pena soffermarsi proprio sull'ultimo aspetto: la capacità di cogliere i cambiamenti, intesa non solo come facoltà di capire ciò che si muove all'interno di un ristretto settore, ma come attitudine di chi vive il proprio tempo tentando di comprenderne le mutazioni per immaginare la costruzione di nuovi mondi possibili. Una "soft skill" da testare ogni giorno sul campo e che avvicina sempre più l'operatore culturale alla figura di quel "pioniere dell'avvenire" di cui parla Bianciardi nel "Lavoro Culturale".
Ma cosa significa realmente essere pionieri dell'avvenire in un mondo in cui la stessa cultura è sottoposta a forti movimenti tellurici che hanno messo in discussione definizioni, significati e prassi del passato?
Lupelli, da uomo pragmatico e imprenditore musicale, propone una soluzione che si basa sulla capacità di uscire dalla visione di "settore culturale" per far sì che la cultura divenga ingrediente capace di attraversare in modo trasversale vari ambiti produttivi ed economici, dal turismo alle eccellenze italiane nel design, generando ricadute non solo economiche ma soprattutto sociali. Una visione che ritroviamo nelle recenti posizioni dell'UE sulle Industrie Culturali e Creative che "svolgono un ruolo fondamentale nella reindustrializzazione dell'Europa, sono un elemento trainante per la crescita e si collocano in una posizione strategica per stimolare ricadute innovative in altri settori industriali, come il turismo, il commercio al dettaglio e le tecnologie digitali"1.
A margine dell'intervento di Lupelli forse è il caso di ammettere che oggi la sfida, per l'operatore culturale, è proprio questa: acquisire la capacità non solo di leggere il mondo, ma di partecipare ai cambiamenti che avvengono in altri settori apparentemente lontani dalla cultura ma verso i quali la stessa cultura può portare grande linfa. Il mondo politico sta cercando di comprendere in che modo favorire le possibili sinergie. Nel frattempo, il gioco è nelle mani della tenacia degli operatori culturali.
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