Appunti per una definizione di Welfare Culturale
Abbiamo chiamato artisti, manager, presidenti di istituzioni culturali, giornalisti, giovani ricercatori, a riflettere su uno dei termini, a nostro avviso centrale in questo periodo storico, che abbiamo contribuito a diffondere e al quale abbiamo dedicato una rubrica di pratiche e ricerche e che sta dilagando nel linguaggio, prima ancora che nelle strategie. Quale contributo e quale ruolo può avere la Cultura nel Welfare, nell’epoca della rottura della “solidarietà fondamentale”, con malesseri, paure e rabbie sempre più visibili, nuove marginalità, incremento delle diseguaglianze…?
Lo spartito
su cui i giovani suoneranno
sarà quello che lasceremo
Pier Luigi Sacco
Il Welfare Culturale?
La politica che mira non solo a garantire a tutti i cittadini la fruizione culturale,
ma vuole incentivarne la partecipazione alla vita culturale,
indispensabile per il benessere a tutto tondo dell'individuo e della collettività.
Sandra Aloia
Compagnia di S. Paolo
“Si torna a respirare un clima di rinnovata energia, una tensione progettuale che non nasce dalla necessità di ripetere le solite, superficiali iperboli per esorcizzare le paure di un presente in cui non ci si riconosce”, afferma Pier Luigi Sacco rileggendo sulle colonne del Sole 24 Ore la quinta edizione degli Stati Generali della Cultura a Roma, in una sala affollata con un pubblico attento e il Ministro della Cultura che ha seguito l’intero svolgimento dei lavori. ”Sembra finalmente farsi strada la percezione che la Cultura possa giocare un ruolo nel disegnare gli scenari futuri del paese (…) un approccio alla politica culturale che concentra l’attenzione sulle trasformazioni strutturali”. Dal dialogo tra gli assessori alla cultura di Milano e Roma, Filippo del Corno e Luca Bergamo, emerge una totale consonanza, un’enfasi, sul ruolo della Cultura “per la capacitazione cognitiva dei cittadini come presupposto per lo sviluppo sostenibile, con importanti implicazioni in termini di inclusione”. Sempre Sacco rileva come emblematica la nuova politica urbana milanese che pone al centro le periferie, evidenzia l’interessante annuncio di Bergamo sulla “creazione di un sistema cittadino che permetta di realizzare quelle loghiche di potenziamento e coordinamento necessarie” e l’inedita “proattività dei Sovrintendenti di alcuni dei principali teatri lirico-sinfonici che hanno sottolineato quanto sia importante e possibile, coinvolgere i privati in una logica che non sia soltanto la raccolta fondi, ma un lavoro di formazione estetica, sociale e civile i cui effetti non si vedono solo nei teatri”. Ben-essere delle persone e delle comunità.
La Cultura inizia quindi a percepirsi non più come un settore, ma come un elemento traversale, centrale, alle diverse politiche, al di là della “gestione del consenso”, dell’indotto turistico, del leisure in cui era stata confinata. Risorsa di comunità, fuori da ogni retorica. Proprio a metà dicembre, agli Stati Generali della Cultura in Piemonte, le assessore alla Cultura di Città e Regione, per la prima volta hanno ribadito l’esigenza di politiche intersettoriali. Le fondazioni di origine bancaria, i principali investitori sociali, hanno invitato chiaramente le organizzazioni culturali di uno stracolmo Teatro Carignano, a scendere sul campo delle grandi sfide, in primis la povertà educativa minorile, con visioni strategiche, interpretando in modo proattivo un ruolo centrale in una comunità educante, risposta a fenomeni complessi, per i quali nessuno oggi è attrezzato.
La Cultura come risorsa per la Salute della Comunità. Ma che cos’è la Salute? Nel 1948, l’OMS- l’Organizzazione Mondiale della Sanità, la definiva “uno stato completo di benessere fisico, mentale e sociale e non la semplice assenza di malattia o di infermità”, da promuovere “con un processo che metta in grado le persone di migliorare il proprio benessere, realizzando le proprie aspirazioni, cambiando l’ambiente circostante, reagendo alle avversità” (Ottawa 1986). Elementi che nei tempi più recenti hanno guardato alla pro-socialità: ad atteggiamenti quali attenzione, cura, coinvolgimento, condivisione, responsabilità, dare forza all’azione di comunità, aumentare l’auto-aiuto, come diremmo oggi self-empowerment e resilienza, ovvero la capacità di rialzarsi (Ottawa 2011).
Tutti concetti che hanno profondamente a che fare con lo sviluppo umano, la qualità dell’esperienza individuale come strategie di prevenzione. La relazione con la partecipazione Culturale attiva è evidente, nella sostanza, oltre che acclarata grazie a oltre 20mila paper con ricerche ad alto valore di impatto prodotti negli ultimi 20 anni. Consolidate quando poco note. Le innumerevoli esperienze pilota, le attività con esiti felici delle istituzioni culturali, a lungo tempo confinate nel “buonismo” o nella “bizzarria”, quindi ad episodi marginali rispetto alla ruvidezza del reale del Welfare, rendono ricco il nostro paese. Ma dalle nobili pratiche episodiche occorre passare alle strategie, alle politiche.
Oggi moltissimi parlano di Welfare Culturale. Lo troviamo nei titoli e nei concept di molti convegni che spesso non esplorano la compiutezza del significato. Lo troviamo nei discorsi di insediamento dei presidenti delle istituzioni culturali.
Cosa significa ragionare sul contributo da parte delle istituzioni culturali ai grandi temi sociali, alle sfide del nostro tempo, al welfare?
Ma come ogni neologismo che diventa glam il rischio è l’usura del termine, prima che il contenuto, oggi ancora liquido, sia manifesto.
Per questa ragione abbiamo chiesto a soggetti diversi di riflettere sulla definizione, per quanto porosa nei suoi confini di Welfare Culturale. Un repertorio che si sta arricchendo e che auspichiamo accolga i pensieri di voi lettori.
Una definizione da “lingua italiana”, ma soprattutto una visione del mondo, un impegno civile, che non nega l’importanza della conservazione, ricerca scientifica, ma pone l’audience engagement al centro della ragion d’essere di ogni istituzione: cura, partecipazione attiva, attenzione, benessere sociale, cognitivo, psicologico.
Cosa ne pensate?
Salvatore Iaconesi e Oriana Persico- Artisti- Art is Open Source
“Non esiste cura se non nella società”
Il welfare culturale è l'insieme dei processi di cura cui tutti i partecipanti al gruppo sociale di riferimento prendono parte con l'obiettivo di stimolare il benessere sociale, cognitivo, psicologico, esperienziale ed emotivo, a beneficio dell'intero gruppo e dei suoi componenti.
Il welfare culturale è un processo di rete che riguarda l'ecosistema relazionale, che è volto a estenderlo, integrarlo, interconnetterlo in maniera inclusiva e permeabile, attraversando differenze e diversità, e che ambisce a esplorarlo e percorrerlo al fine di generare flussi, passaggi, trasferimenti, scambi, produzioni e altri fenomeni dinamici che siano capaci di attivare, abilitare, facilitare e collegare azioni per perseguire gli obiettivi.
Il welfare culturale agisce attraversando arti, scienze, tecnologie e creatività, stabilendo interconnessioni tra soggetti pubblici e privati, individui e organizzazioni, gruppi formali e informali, secondo modelli in grado di comporre contributi polifonici.
In questo, le arti e la creatività svolgono il ruolo di catalizzatori di scienze, tecnologie e società.
Marco Ratti- Ufficio Studi Banca Prossima
Il welfare culturale è un insieme di politiche pubbliche e di azioni private altruistiche, volto a perseguire l’accesso di tutti i membri di una comunità alla cultura e a promuoverne la partecipazione diretta attraverso la produzione culturale in proprio, individuale o collettiva. Può includere politiche e azioni che mirano a un impatto che va oltre quello puramente culturale (per esempio, sulla salute o sulla partecipazione sociale) ottenuto attraverso strumenti del mondo della cultura.
Lo scopo del welfare culturale è di migliorare il benessere della comunità e dei suoi membri in vari modi, fra cui lo sviluppo e la fioritura delle capacità umane, la preservazione di simboli e pratiche identitari o eccellenti, la comprensione reciproca e la convivenza civile fra persone della comunità stessa e fra queste e quelle di altre comunità, la diversità degli interessi individuali.
Emanuela Gasca-ricercatrice
Se il welfare è l’insieme delle politiche pubbliche volte al miglioramento della qualità della vita dei cittadini in termini sociali, ambientali ed economici, il welfare culturale è un processo di consapevolezza dell’importanza della cultura nel migliorare la salute, intesa come benessere delle comunità e dei cittadini.
In questo senso si può manifestare attraverso espressioni artistiche, creative, performative e di fruizione volte al bene comune e, tramite queste, alla valorizzazione delle caratteristiche dei singoli individui, della società o di un territorio.
Si può sviluppare attraverso processi bottom up in cui i cittadini diventano parte attiva del cambiamento attraverso esperienze di partecipazione, di co creazione culturale in termini esperienziali e immersivi.
Patrizia Asproni, Presidente ConfCulture e Museo Marino Marini
La Cultura non è come il petrolio, ma è come l’acqua. E’ fondamentale per la vita e deve essere di tutti. Tutti hanno diritto di utilizzarla e il dovere di preservarla: non si deve sprecare, inquinare, distruggere perché, se venisse a mancare, l’umanità finirebbe con essa.
La scienza sta dimostrando che riunire sotto il segno della bellezza mente e corpo, magari anche con il contributo delle tecnologie, sia la strada maestra per riportare l’uomo e il suo benessere al centro.
In un momento storico in cui, soprattutto per via dell’invecchiamento della popolazione, tutti i sistemi sanitari sono in discussione, la promozione dell’approccio cosiddetto della well being culture, tutt’altro che velleitario, appare come un serio strumento alternativo per la sostenibilità e la prevenzione dei costi sociali, con l’effetto concreto di abbattere, attraverso gli strumenti della creatività e dell’arte, della relazione e della partecipazione, i confini imposti dal concetto clinico di cura.
La cultura che produce salute, la bellezza che opera come terapia, nel contesto più ampio di una fertilizzazione culturale diffusa attraverso spazi in cui l’arte viene interrogata e produce interpretazione, il dialogo tra scienza e discipline umanistiche genera nuove idee, la socialità produce inclusione per fondare quel "welfare della mente" che ha come diretta conseguenza l'innovazione sociale.
Marcella Mallen- Presidente di Prioritalia
Il welfare culturale è un processo di innovazione sociale secondo il quale l’arte, la bellezza e la cultura vanno a supporto delle comunità civili per liberarle dalle paure, dalle tensioni e dalle nuove fragilità , migliorando la qualità delle relazioni umane e creando le condizioni per il benessere individuale e collettivo.
Un buon modello di welfare culturale ha la capacità di sviluppare nelle persone le virtù della cittadinanza attiva e della partecipazione sociale, andando a stimolare l’apertura mentale alla novità e alle infinite possibilità offerte dal vivere umano, contribuendo al potenziamento sia delle capacità cognitive sia di quelle emotive.
Gli investimenti in buone pratiche e politiche culturali,volte a promuovere la produzione culturale e a facilitarne l’accesso e la fruizione, vanno considerati non in termini di costi ma di investimenti che devono, essere accresciuti perché generano valore sociale e civico e sono in grado di accelerare una rigenerazione degli spazi di convivenza e l’inclusione sociale .
Questa definizione parte dalla convinzione, maturata a livello globale, che è necessario intraprendere strade nuove per lo sviluppo sostenibile, in grado di tenere insieme, in modo virtuoso, crescita economica, diritti sociali e tutela dell’ambiente naturale. Oramai sembra essere in gioco la sopravvivenza del Pianeta, dal punto di vista della sua tenuta sociale, civile e democratica. Un riferimento in questo senso è costituito dall’AGENDA 2030 e dai 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile approvati dai 193 paesi aderenti alle Nazioni Unite.(cfr. Rapporto ASVIS Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile). È decisivo il ruolo del sistema educativo: dalla scuola per l’infanzia, fino all’università e lungo tutta la vita, in un percorso di apprendimento permanente volto a garantire l’accesso più ampio alla cultura.
La cultura è, in estrema sintesi, un elemento centrale di qualsiasi sistema sociale sostenibile, inclusivo e intelligente, in grado di offrire opportunità e accessibilità a tutti i cittadini di qualunque fascia di età.
Deborah Carè- Direttore Fondazione Ermanno Casoli
Per la FEC "welfare culturale" è rendere accessibile la cultura a chi per formazione, appartenenza, condizione ha difficoltà a usufruirne.
Alla base di tutte le nostre attività infatti, c'è la convinzione che la cultura sia un diritto universale in quanto strumento indispensabile per migliorare la qualità della vita personale e sociale.
Spinti da questa convinzione la FEC, da anni, ha scelto di sostenere l'arte contemporanea portandola nei contesti industriali, dentro le fabbriche, tra tutte quelle persone che normalmente non hanno la possibilità di averne accesso quotidiano. L'arte contemporanea diventa in questo modo lo strumento ideale per rompere i paradigmi tradizionali del pensare comune, in grado di abbattere pregiudizi e stereotipi che ostacolano cambiamento e innovazione. Con il progetto di formazione E-STRAORDINARIO, centinaia di dipendenti di importanti aziende italiane e non solo, vengono ogni anno coinvolti nella realizzazione di opere d'arte corali guidati da artisti di fama internazionale.
I potenti risultati del nostro modo di interpretare il "welfare culturale" vengono monitorati in Elica, l'azienda principale sostenitrice delle attività della FEC e sono questi a darci la forza per continuare a percorrere con determinazione la strada intrapresa.
Irene Sanesi-Dottore Commercialista, Economista della Cultura, Presidente Fondazione per le Arti contemporanee in Toscana
Per troppo tempo, e tutt'ora, la mancanza di risorse e ancor più di visione, ha concentrato l'attenzione degli operatori culturali sul prodotto. Nei casi maggiormente brillanti, insieme al prodotto il processo.
In pochi invece stanno occupandosi storicamente e fisiologicamente del seme come vero motore di welfare e quale presupposto per una forma mentis progettuale e di investimento versus un atteggiamento estemporaneo e occasionale. Seme: "organo indispensabile per la sopravvivenza della specie, solo apparentemente privo di vita, contiene al suo interno le cellule da cui potrà germogliare un nuovo frutto". È immediato da internauti imbattersi nella definizione raccontata ai ragazzi da una nota enciclopedia. Non a caso nell'ambito dell'istruzione, le istituzioni più illuminate si stanno adoperando per comprendere e interpretare le potenzialità intrinseche dello studente e dunque anche prevenire eventuali inabilità che molto hanno a che fare con l'ambiente (si pensi alla dilagante diffusione della dislessia e affini). Perché si può leggere prima di leggere; si può scrivere prima di scrivere: è fondamentale avere consapevolezza del valore di questa fase nel percorso di apprendimento di una persona per poterle garantire benessere in futuro.
Vi è nel nostro Paese un disperato bisogno emergente di alfabetizzazione: tornare al seme. Cultura non deriva forse da coltura?
Come? Non semplice a farsi.
Alcune significative risposte potranno arrivare da una profonda ed attenta lettura delle fonti (acquisire più informazioni possibili di varia e articolata natura), da una leadership inclusiva e consapevole, dalla qualità robusta degli operatori e da un rinnovato coraggio degli amministratori.
Nel confine tra sopravvivere e innovare albergano i semi del welfare culturale.
Adriana Polveroni - Direttrice di Exibart
Diversi studi attestano che la vicinanza all’arte allunga la vita. Che faccia bene anche al cervello lo ha capito da tempo il management aziendale più raffinato, allorché ha esposto gli elementi migliori alle sfide che pone l’arte, specie quella contemporanea: fronteggiare qualcosa che non si afferra immediatamente e da qui allenare il cervello a reagire verso situazioni impreviste e non facilmente decodificabili.
L’arte, insomma, giova alla salute. E quindi una campagna di welfare dovrebbe partire da questo assunto. Per fare cosa? Per esempio permettere a tutti gli studenti di qualunque grado – dalle elementari all’università – l’accesso gratuito ai musei. Perché l’arte si impara meglio, e fa stare meglio, se a un museo non ci si va solo una volta, ma ci si va e si torna e ci si ritorna.
Perché poi non mantenere i 500 euro dati da Renzi ai giovani per spenderli nell’acquisto di beni (non solo prodotti: biglietti per i cinema, il teatro ecc) culturali? Promuoverei anche l’ingresso gratuito ai musei per gli over 70 che il ministro Franceschini ha cancellato (prima era per gli over 65) e cercherei di aprire, almeno una volta, al mese un bel po’ dei magnifici luoghi dell’arte e della civiltà italiana che normalmente sono chiusi. In questo modo si darebbe anche lavoro a cooperative di giovani, riavviando il circolo virtuoso che fa capo alla cultura.
Anna La Ferla, Learning Department, Palazzo Madama - Museo Civico d'Arte Antica di Torino
Il museo: "The listening ear". Grande è la varietà di musei sotto il cielo: diverse sono le loro origini, il periodo e le istituzioni che li hanno fondati. La loro nascita si rintraccia in un momento, il Settecento, in cui i grandi pensatori iniziano a riflettere sulla salute terrena dell'uomo, a teorizzare nuovi modelli educativi, e a giungere alla conclusione che questo benessere può provenire anche dalle arti. Inizialmente sono i sovrani che per gentile concessione aprono le proprie collezioni ai sudditi; poi i musei industriali e di arti decorative o i grandi collezionisti mettono in scena per il pubblico le grandi conquiste del potere creativo borghese. Oggi i nostri musei sono chiamati a rimanere fedeli alla missione per cui sono nati, voluti da donne e uomini vissuti in altri tempi, ma hanno un dovere fondamentale verso gli uomini e le donne di oggi: ascoltarne i bisogni, le paure e le speranze; far percepire la cultura come un processo dinamico, iniziato un milione e mezzo di anni fa, al cui interno la persona trova il suo posto. Per fare questo il museo deve stringere alleanze con tutte quelle istituzioni in grado di collaborare a questo processo attraverso una condivisione dei saperi delle scienze e delle discipline umanistiche.
A distanza di cinquant'anni rimane di indubbia attualità il richiamo del grande museologo americano John Kinard "la gente parla e discute: il museo è l'orecchio che ascolta".
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