Sharing, circular, innovative and creative: la morte o la rinascita dell’economia della cultura?
Il passaggio dall’economia industriale all’economia della conoscenza ha segnato un cambio di paradigma nell’epoca globale. L’Economia della Cultura ha posto in evidenza in modo anticipatorio tendenze di profondo cambiamento in atto, poi sfociate in una strutturazione articolata di saperi e conoscenze. I nuovi modelli di sviluppo ci presentano una nuova svolta. Come evidenza il libro “Sharing Cities”, di Duncan McLaren e Julian Ageyman, pubblicato da MIT Press, “infatti il paradigma di riferimento della sharing economy è tutt’altro che limitato al solo consumo, o meglio non si limita alla sola economia”. I confini tra l’economia della cultura e i nuovi modelli di sviluppo (Sharing, Circular, Innovative, Disruptive, Creative) siano molto labili e sottili. Ne parla Stefano Monti
È innegabile. L’economia della cultura ha rappresentato uno dei filoni di ricerca più interessanti nel passaggio tra il XX e il XXI secolo. Grazie alla nascita di questa disciplina sono emerse delle evidenze economiche prima impensabili e, a partire dai lavori dei più illustri esponenti della cultural economics, sono stati profondamente ripensati molti approcci di policy (Throsby, 2010).
Di fatto, la nascita e l’affermazione dell’economia della cultura ha creato una fortunata congiunzione tra una serie di nuovi interessi, soprattutto scientifici e accademici e un nuovo approccio economico-politico globale (Flew, 2009).
Sul versante accademico, infatti, l’economia della cultura nasce come una disciplina disruptive in grado di recepire all’interno dei modelli economici una serie di tendenze culturali verso le quali, da tempo, ricercatori mostravano un interesse crescente. Dagli studi classici legati alla funzione di produzione della cultura (Throsby D. , 2005), all’ingresso delle dinamiche di asimmetria informativa all’interno dei processi decisionali (Akerlof, 1970).
Sul versante politico, invece, il passaggio che ha visto con grande favore l’emergere di questa disciplina è stato caratterizzato da una nuova forma di capitalismo (Time, 1964) che avrebbe poi generato quello che è stato definito in alcuni paesi come un “Nuovo Rinascimento” (Blaug, 2001).
Tale unione ha dato vita a molteplici effetti positivi: da una minore concentrazione del comparto culturale (KEA European Affairs, 2006) (The European Cluster Observatory, 2011) (Di Maggio, 2009), fino all’enorme diffusione del Cluster delle Imprese Culturali e Creative, il cui affermarsi ha creato, pur con tutti i limiti che questo cluster attualmente presenta (Monti, 2016), un notevole interesse anche in virtù della rilevanza che queste hanno non soltanto in termini di fatturato e occupazione nominale, ma anche in termini di connessione con gli altri settori dell’economia. (British Countries Creative Industries Unit, 2004) (Commissione Europea, 2010) (Fondazione Symbola, 2012) (Eurostat, 2016) (ISTAT, 2016) (Ernst&Young, 2014)
Complice di questo passaggio, ovviamente, il cambio di paradigma economico che da un’economia globale a prevalente componente industriale si è convertita in un’economia a prevalente componente di conoscenza (Foray, 2006) e dell’informazione (Shapiro & Varian, 1999), che hanno notevolmente modificato l’approccio dei policy-maker nei riguardi delle infrastrutture intangibili. (Kapferer, Koch, & Sedmak, 2013)
Questa fortunata serie di circostanze ha cambiato enormemente non solo il mondo accademico, ma anche i nostri tessuti sociali ed urbani. Nuovi musei, che siano essi pubblici o meno, vengono progettati ogni giorno nel mondo (Larry's List, 2016), le città sono sempre più viste come network dalla forza centripeta (World Economic Forum, 2016) in cui avviare una politica di sostegno alla creatività (Maldera, 2016) può portare all’affermazione del territorio cittadino sui mercati internazionali (Monti, Bernabè, Casalini, Marchese, & Stuto, 2014).
Tutto questo non è certo merito esclusivo dell’Economia della Cultura, ma questa disciplina ha risposto in modo anticipatorio a quelle tendenze di cambiamento culturale che erano in atto, e che sono poi sfociate sempre più in una strutturazione articolata di saperi e conoscenze.
Al modello economico dapprima prospettato, piuttosto utopicamente, dai primi studi sull’argomento (Florida, 2002), si sono create notevoli e molteplici diramazioni, che hanno portato all’affermazione di sempre più “paradigmi di sviluppo”, creando, di fatto, un set di strumenti a disposizione di chi oggi è chiamato a governare un territorio.
Al punto che, oggi, per quanto strano possa sembrare, definire l’oggetto dell’Economia della Cultura è diventato ancora più difficile di quanto già fosse ai suoi esordi. Chi si occupa di questa disciplina oggi si trova a far fronte, necessariamente, ad aspetti molto divergenti tra loro, quali la redazione di piani di gestione di Musei e Luoghi della Cultura e la definizione di innovation paths per start-up tecnologiche in ambito culturale (Krishnan, 1979), passando per Editoria (Szenberg & Lee, 1994), Immobiliare (Casalini, 2015) e Coesione Sociale (Agenda 21 for Culture - UCLG; Culture Action Europe, 2016).
L’Economia della Cultura è, in altri termini, divenuta parte di un processo molto più ampio, attraverso il quale far convergere le infrastrutture materiali ed immateriali presenti nel territorio, come ampiamente dimostrato dalle recenti novità apportate dall’affermazione della Sharing Economy non solo dal punto di vista del consumo, ma come vero e proprio modello economico e sociale di riferimento.
Secondo gli autori del recente libro Sharing Cities, pubblicato da MIT Press, infatti il paradigma di riferimento della sharing economy è tutt’altro che limitato al solo consumo, o meglio detto, secondo tali autori (McLaren & Agyeman, 2016), le potenzialità del paradigma “sharing” non si limitano alla sola economia.
Le attività che rientrano in questo paradigma sono infatti molteplici, e possono essere classificate sia per la loro natura che per il loro livello di intermediazione, posizionando ad un lato attività commerciali intermediate (in cui rientrano gli esempi più famosi del consumo condiviso, da AirBnB a eBay) e dall’altro attività non-for-profit e non intermediate (a esempio l’approccio seguito dalla Core Economy[1]).
Le connessioni tra sharing economy ed economia della cultura, tuttavia, pur presentando similarità sul profilo teorico, sono profondamente relative alla loro implementazione. Nel definire il pensiero “condiviso” gli autori di questo testo citano alcune città come veri e propri case-studies in cui una determinata “forma” dello “sharing paradigm” si è affermata. Guardando San Francisco, a esempio, o Seoul, non si può non notare come le estensioni dell’economia della cultura si vadano profondamente a relazionare con quelle che gli autori attribuiscono all’economia condivisa: dalle iniziative di House-Sharing proposte dal The Open Door Development Group[2] a San Francisco e Woozoo a Seoul, o ad app come SF POPOS (acronimo per San Francisco Privately Owned Public Spaces) che permettono di trovare luoghi privati-pubblici al visitatore al cittadino, o ancora il Soeul Sharing City Project (Seoul Sharing City, 2015) che prevede l’apertura di spazi cittadini per meeting o il food-sharing, o ancora, sempre nella capitale sudcoreana, il Resident’s Participatory Budgeting System, uno strumento di budgeting condiviso che ha allocato risorse sulla base di un processo bottom-up pari a circa 47 milioni di dollari (Choi, 2014).
Ma le evidenze non provengono soltanto dall’economia partecipativa proposta dal paradigma della condivisione: se le aziende creative o innovative sono normalmente associabili ai modelli avanzati dall’Economia della Cultura, sorprende come l’Unione Europea inserisca tra i progetti finanziati con maggior successo legati alla Circular Economy[3], un online store che vende abiti usati. Tutte queste iniziative dimostrano come, in realtà, i confini tra l’economia della cultura (così come si è estesa nei suoi ultimi anni) e i nuovi modelli di sviluppo (Sharing, Circular, Innovative, Disruptive, Creative) siano molto labili e sottili.
Perchè tale reciproca influenza non porti, tuttavia, alla morte dell’Economia della Cultura, così come si è evoluta nel tempo, è necessario che questa impari i nuovi linguaggi e le nuove evidenze che questi paradigmi apportano non soltanto in termini di conoscenza (cosa che all’estero è più chiara di quanto possa essere nel nostro Paese), ma anche in termini di fatturato.
Bibliografia
Agenda 21 for Culture - UCLG; Culture Action Europe. (2016). Culture, Cities and Identity in Europe. Bruxelles: European and Social Committee.
Akerlof, G. (1970). The Market for "lemons": quality uncertainty and the market mechanism. Quarterly Journal of Economics.
Blaug, M. (2001). Where Are We Now on Cultural Economics. Journal of Economic Surveys.
British Countries Creative Industries Unit. (2004). Creative Industries. British Council.
Casalini, A. (2015). Measuring Cultures. Tafter Journal.
Center for Creative Communicty Development. (s.d.). Culture and Revitalization: The Economic Effect of Mass MOCA on its Community.
Choi, I. (2014). What Explains the Success of Participatory Budgeting? Evidence from Seoul Autonomous Districts. Journal of Public Deliberation.
Commissione Europea. (2010). Libro Verde - Le industrie culturali e creative, un potenziale da sfruttare. Bruxelles.
Consiglio Europeo. (2015, Maggio 27). Conclusioni del Consiglio in merito agli scambi culturali e creativi per stimolare l’innovazione, la sostenibilità economica e l’inclusione sociale. GAZZETTA UFFICIALE.
Coote, A. (2010). The Great Transistion: Social Justice and the core economy. London: Nef - Economics as people and the planet mattered.
Di Maggio, P. (2009). Organizzare la Cultura. Imprenditoria, istituzioni e beni culturali. Bologna: Il Mulino.
Ernst&Young. (2014). Creating Growth - Measuring Cultural and Creative Markets in the EU. Ernst&Young.
European Commission. (2015). Circular Economy: closing the loop. From Waste to Resource. Bruxelles: European Commission.
European Union. (2001). Green paper - Promoting a European framework for corporate social responsibility.
Eurostat. (2016). Culture Overview. Tratto da Eurostat: http://ec.europa.eu/eurostat/web/culture/overview
Flew, T. (2009). The Cultural Economy Moment? Cultural Science.
Florida, R. (2002). The rise of the Creative Class. The Washington Monthly.
Fondazione Symbola. (2012). L'Italia che verrà: Industria Culturale, made in Italy e territori. Fondazione Symbola.
Foray, D. (2006). Economia della conoscenza. Bologna: Il Mulino.
Global Reporting Initiative. (2013). G4 Sustainability Reporting Guidelines. Global Reporting Initiative.
Interarts. (2016, January). Culture and Arts Supporting Social Cohesion in Latin American Cities. Tratto da http://www.interarts.net/en/encurso.php?p=445
International Congress on Culture and Sustainable Development. (2013). How does culture drive and enable social cohesion and inclusion? Hangzhou: People's Republic of China.
ISTAT. (2016). Noi Italia, Spesa delle famiglie per consumi culturali e ricreativi. Tratto da Noi Italia: http://noi-italia.istat.it/index.php?id=7&user_100ind_pi1%5Bid_pagina%5D...
Kapferer, E., Koch, A., & Sedmak, C. (2013). Strenghtening Intangible Infstastructures. Newcastle: Cambridge Scholar Publishing.
KEA European Affairs. (2006). The Economy of Culture in Europe. Bruxelles: KEA.
Krishnan, V. (1979). Cultural Change Technolgy and Indian Economic Development. The Journal of Cultural Economics, 73-84.
Larry's List. (2016). Private Art Museum Report.
Maldera, D. (2016). It Happens in Turin. From Cascina Roccafranca to the "Case del Quartiere" network. Tafter Journal.
McLaren, D., & Agyeman, J. (2016). Sharing Cities: A case for truly Smart and Sustainable Cities. Cambridge: The MIT Press.
Monti, S. (2016). Rapporti Sulla Cultura. Basta con le Approssimazioni. Artribune.
Monti, S., Bernabè, M., Casalini, A., Marchese, R., & Stuto, G. (2014). Italia. Brand e Destinazione. (S. Monti, A cura di) Napoli: Graus Editore.
Parlamento del Regno Unito. (s.d.). Culture, Media and Sport Committee - Written Evidence. Tratto da http://www.publications.parliament.uk/pa/cm201213/cmselect/cmcumeds/writ...
Seoul Sharing City. (2015). Seoul Sharing City Executive Summary. Seoul.
Shapiro, C., & Varian, H. R. (1999). Infomation Rules: A strategic guide to the network economy. Boston: Harvard Business School Press.
Szenberg, M., & Lee, E. (1994). The structure of the American book Publishing Industry. Journal of Cultural Economics, 312-322.
The European Cluster Observatory. (2011). Priority Sector Report: Creative and Cultural Industries. Europa Innova Paper.
Throsby, D. (2005). Economia e Cultura. Il Mulino.
Throsby, D. (2010). The economics of Cultural Policy. Cambridge: Cambrdige University Press.
Time. (1964). Western Europe: Neocapitalism. Time.
UNESCO. (s.d.). Culture: A Driver and Enabler of Social Cohesion.
World Economic Forum. (2016). Improving the Quality of life in Megacities. WEF.
[1] Core Economy è la definizione che viene data ad una teoria economica che si concentra sugli aspetti più “umani” della società. Per maggiori informazioni legate al tema si veda (Coote, 2010)
[3] La Circular Economy è un modello economico emergente che mira a creare una catena di produzione del valore circolare, che possa portare al completo recupero dei rifiuti e al loro re-inserimento all’interno dei processi di produzione. (European Commission, 2015). In realtà, nella quasi totalità dei casi attiene progetti legati all’utilizzo dei materiali, alla gestione intelligente dei rifiuti.