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L’economia culturale e creativa – Europa e Italia a confronto

  • Pubblicato il: 15/07/2016 - 16:47
Rubrica: 
STUDI E RICERCHE
Articolo a cura di: 
Valentina Montalto

Quanto pesa l’economia culturale e creativa nell’economia europea? Da anni si prova a rispondere a questa domanda. Valentina Montalto offre una prospettiva europea, analizzando i numerosi studi che hanno cercato di quantificarne l’impatto

Quanto pesa l’economia culturale e creativa nell’economia europea? Da anni si prova a rispondere a questa domanda. Secondo il primo studio europeo sul settore, nel 2003 l’industria culturale e creativa contribuiva a quasi 6 milioni di posti di lavoro e a circa il 3% del PIL europeoi. Negli anni successivi, numerosi altri studi hanno cercato di quantificarne l’impatto. Secondo le stime della Commissione europea, nel 2007 l’industria culturale e creativa contribuiva al 3,3% del PIL e al 3% dell’occupazione totaleii. Nel 2014 TERAiii ha stimato l’impatto del settore al 4,4% del PIL e al 3,8% dell’occupazione. Nello stesso anno, il team di EYiv è giunto a risultati molto simili – 4,2% del PIL europeo e 3,3% di occupazione.
Le cifre sembrerebbero suggerire che il settore è cresciuto notevolmente in questi anni, registrando un impatto sempre più importante in termini di occupazione e ricchezza prodotta. Tuttavia, le definizioni e le metodologie utilizzate per calcolare queste cifre sono molto diverse.
Le istituzioni europee hanno promosso e supportato la produzione di dati comparabili sulla cultura sin dal 1995, anno di adozione della prima risoluzione del consiglio UE sulla promozione delle statistiche culturali a sostegno della crescita economica. A partire da allora, diversi gruppi di lavoro sono stati istituiti a livello europeo tra cui, nel 2009, il gruppo ESSnet-Culture che ha definito il quadro concettuale e metodologico europeo per misurare i settori culturali e creativiv.
Il lavoro di ESSnet-Culture, che ha permesso di migliorare notevolmente la portata e la comparabilità delle statistiche culturali, è alla base delle nuove cifre recentemente pubblicate da Eurostat nell’ambito di un piano di lavoro quadriennale (2014-2018) che ha l’obiettivo di affinare le procedure di stima esistenti e così facilitare la produzione regolare di statistiche europee sul temavi.
I dati in generale confermano la dinamicità del settore ma anche un potenziale in parte inespresso. A livello di occupazione, tra il 2011 e il 2014 si registra un incremento del 4% (corrispondente a +230.000 occupazioni culturali in termini assoluti) con un tasso di crescita medio annuale dell’1,3%. L’Italia è leggermente sotto la media UE-28 con un tasso di crescita medio dell’1,18%. I dati confermano inoltre che gli occupati in professioni culturali e creative sono molto più istruiti della media: circa il 60% possiede infatti un diploma di istruzione terziaria (dato confermato anche per l’Italia con un 40% che possiede un diploma di istruzione superiore vs. il 20% nell’economia generale). Le attività culturali e creative si confermano dunque motore della knowledge economy.
Purtroppo, però, il settore attira meno giovani e donne di quanto ci si potrebbe aspettare. In media, i giovani sotto leggermente sottorappresentati rispetto alle quote nell’occupazione totale, con una percentuale di occupati nella fascia di età 15-29 molto variabile che va dal 10% in Italia (vs. 12% nell’economia generale) al 31% a Malta. Inoltre, gli uomini rappresentano la maggior parte degli occupati: 54% nell’economia generale e 53% nella cultura. L’Italia si colloca sotto la media UE-28 con un 58% di uomini nell’economia generale e 57% nella cultura.

Percentuale di giovani occupati nelle professioni culturali nella fascia di età 15-29, 2014.

Fonte: Eurostat

Percentuale di donne nella cultura e nell’occupazione totale, 2014

Fonte: Eurostat

Sono soprattutto le piccole e medie imprese (PMI) a contribuire alla creazione di impiego, almeno per quanto riguarda i settori per cui i dati sono disponibili (film, TV e musica, e attività di design specializzate). Nel 2013, la quasi totalità di posti di lavoro in questi due settori è concentrata nelle PMI, mentre le PMI nel settore dei servizi hanno generato “solo” due posti su tre.
In termini di fatturato, Regno Unito, Germania e Francia continuano a fare da traino: i tre paesi da soli rappresentano il 60% del totale. La crisi ha comunque avuto un impatto molto forte: nel 2013, la maggior parte dei 16 stati membri per cui i dati sono disponibili sono tornati ai livelli di perfomance del 2008. Fanno eccezione la Germania, l’Austria, la Svezia e il Regno Unito, ma anche questi non hanno comunque registrato gli stessi livelli di crescita del settore dei servizi. Il dato potrebbe sembrare in contraddizione con quello riferito all’occupazione, che è invece in crescita. Un’ipotesi è che il numero di occupati sia effettivamente aumentato ma non il fatturato a causa della caduta dei prezzi determinata dalla crisi.
Il commercio estero mostra un trend positivo con un +3,2% per le esportazioni e un -2,4% per le importazioni dal 2008 al 2014, e un surplus di 1.857 milioni di euro nel 2014. Il primato in termini di crescita spetta alla Lettonia, seguita da Cipro, Estonia e Polonia. Sono soprattutto le opere d’arte ad aver contributo al miglioramento della bilancia commerciale. I prodotti “giornali, riviste e periodici”, “film, video giochi e consoles”, “CD, DVD e dischi in vinile” hanno invece subito un forte calo sia nell’import che nell’export probabilmente dovuto alla digitalizzazione (n.b.: le cifre a disposizione riguardano solo i beni fisici e non i servizi a causa della mancanza di dati attendibili sulla circolazione di beni immateriali).
Prospettiva italiana
A livello nazionale, la Fondazione Symbola e Unioncamere studiano annualmente l’impatto della cultura e della creatività sull’economia nazionale. Ma l’approccio è molto diverso da quello seguito da Eurostat, come osservato su Nòva.

Il rapporto “Io Sono Cultura”, oggi arrivato alla sua sesta edizione, misura infatti l’impatto delle attività culturali e creative propriamente dette - per intenderci: dai musei all’audiovisivo al design - ma anche delle attività “creative-driven” ossia il manifatturiero detto “evoluto” e l’artigianato artistico che impiegano sempre più professionisti creativi, come designer o architetti. Lo studio permette così di fare il punto sia sui settori culturali e creative “core” fornendo dati abbastanza comparabili con quelli di altri paesi, sia di capire come la storia e la cultura italiana contribuiscano all’economia in senso lato.
Secondo i dati rilevati, il sistema produttivo alimentato dalla cultura e dalla creatività non solo contribuisce in maniera non indifferente alla ricchezza prodotta (17% del valore aggiunto italiano, per un totale di 249,8 miliardi di euro) ma è anche in crescita (+0,6% in termini di valore aggiunto e +0,2% in termini di occupazione dal 2011 al 2015). Una lettura più attenta, però, rivela che l’evoluzione positiva si registra quasi esclusivamente nei settori “creative-driven”. Non è vero dunque che il settore culturale e creativo è in piena forma, ma è vero che la “cultura” in senso lato continua ad alimentare diversi comparti dell’economia italiana...nelle regioni del Nord Italia (con il Piemonte, la Valle d’Aosta e il Trentino Alto Adige ai primi posti). Il divario tra Nord e Sud resta infatti notevole.
C i sono almeno altri due risultati che meritano attenzione: 1) i giovani, con una quota di occupati nella fascia 25-34 pari al 24,2%, rappresentano un +3,4% rispetto al 20,8% degli occupati in professioni “non-creative” nella stessa fascia di età – dato contrario a quello fornito da Eurostat probabilmente a causa del fatto che i dati Symbola tengono conto anche di tutti gli occupati (creativi e non) nei settori “creative-driven”; 2) i liberi professionisti nel sistema produttivo culturale e creativo sono il 17,6% contro il 5,1% nel resto dell’economia. Se da un lato, dunque, l’economia culturale e creativa sembra mobilitare i giovani, le forme di lavoro flessibili (spesso traducibili in nuove forme di precariato) sembrano prevalere.
Quali dati per quali politiche?
“Conoscere per deliberare” è il titolo della prima predica della collana “Prediche inutili” che Luigi Einaudi pubblicò nel 1955. Ma a quali dati dobbiamo affidarci di fronte alla molteplicità di fonti disponibili, spesso non comparabili?
La questione non è banale se vogliamo che i dati contribuiscano allo sviluppo di politiche cosiddette evidence-based o, quantomeno, a nutrire un dibattito pubblico costruttivo.
Nel caso delle statistiche culturali, considerata l’importanza che le professionalità creative stanno assumendo nell’ambito di un’economia sempre più guidata da capitale umano qualificato e innovazione, diventa d’obbligo produrre delle statistiche dettagliate che mostrino non solo cosa succede nei settori culturali e creativi “core”, ma anche come la cultura e la creatività contribuiscono a nuovi business nel resto dell’economiavii. Questo permetterebbe di capire in maniera più chiara cosa succede all’interno dei settori culturali (di competenza delle politiche culturali) ma anche le loro interazioni con il resto dell’economia (che rientrano invece tra le aree di competenza delle politiche industriali o di innovazione).
L’approccio di Symbola si rivela interessante proprio in vista di una “conoscenza” che ci permetta di sviluppare nuovi scenari di politica pubblica, più in linea con la nuova economia. Secondo i risultati rilevati, le politiche culturali dovrebbero guardare più attentamente, ai settori culturali in declino (la cui crisi potrebbe mettere in difficoltà l’intero sistema produttivo italiano), mentre quelle industriali dovrebbero cercare di stimolare ulteriormente gli scambi e le collaborazioni tra cultura e impresa al fine di alimentare quest’economia creativa “a trazione culturale” tipicamente italiana.

Valentina Montalto è una ricercatrice che ha lavorato per oltre sette anni sui temi della cultura e creatività quale motore di benessere economico e sociale. Attualmente lavora allo sviluppo di un indicatore di performance delle città culturali e creative presso il Joint Research Centre (JRC) della Commissione europea. In precedenza, ha collaborato con Kea, società attiva nel settore della cultura e delle industrie creative con sede a Bruxelles.

 

i KEA, The Economy of Culture in Europe, Brussels, European Commission, 2006.
ii European Commission, European Competitiveness Report 2010, Luxembourg, European Union, 2008.
iii TERA Consultants, The Economic Contribution of the Creative Industries to EU GDP and Employment - Evolution 2008-2011, 2014.
iv EY, Creating growth - Measuring cultural and creative markets in the EU, 2014.
v ESSnet-Culture, Bìna, V., Chantepie, P., Deroin, V., Frank, G., Kommel, K., Kotýnek, J., Robin, P., European Statistical System Network on Culture - Final Report. Luxembourg, ESSnet-Culture and European Commission, Eurostat (ESTAT), 2012.
vi Sulle statistiche culturali a livello europeo, vedi anche: KEA, "Feasibility Study on Data Collection and Analysis in the Cultural and Creative Sectors in the EU", Brussels, European Commission, 2015.
vii Il centro di ricerca Nesta, nel Regno Unito, ha fatto una proposta molto interessante volta a garantire una maggiore trasparenza nella produzione e pubblicazione di statistiche culturali, verso lo sviluppo di politiche culturali più pertinenti e coerenti. Ha inoltre sviluppato una nuova metodologia per studiare l’impatto delle professioni creative sull’economia in senso lato.