AGGREDIRE LA POVERTÀ EDUCATIVA CON LA CULTURA?
Dal rapporto di Save the Children emerge lo scenario noto ma comunque inquietante della povertà educativa minorile, vera ipoteca sul futuro sociale del Paese. Eppure la prima metà del 2016 ha visto proliferare molte iniziative strategiche finalizzate al contrasto del fenomeno. Le istituzioni e le organizzazioni culturali sono pronte per la sfida?
Una tarda primavera all’insegna della lotta alla povertà educativa, quella del 2016. Almeno tre iniziative rilevanti che è interessante rileggere insieme, per comprendere cosa il settore culturale possa fare per dare il proprio contributo in questa che si preannuncia una delle battaglie centrali del Paese.
Partiamo dalla fine: il 24 maggio il ministro dei Beni e Attività Culturali e Turismo, Dario Franceschini, ha firmato a Roma il “Patto per la Lettura” con il direttore generale Rai, il presidente Mediaset, l’Amministratore Delegato di La7, l’Executive Vice President Sky Italia e l’Amministratore Delegato di Discovery Italia. L'impegno assunto dalle emittenti televisive con il Ministero è stato quello di pubblicizzare e diffondere i progetti nazionali di promozione della lettura realizzati del Centro per il libro e la lettura, al fine di raggiungere anche l’ampia gamma di “non lettori” (il 58% degli italiani) che però guardano programmi in tv (il 95% della popolazione). L’accordo parte dal presupposto che la lettura sia uno strumento indispensabile «per la conoscenza e la condivisione delle idee, per lo sviluppo del pensiero e la partecipazione sociale del cittadino […] e un diritto dell’essere umano». Vedremo più avanti che la capacità di lettura è anche un indicatore centrale per l’analisi della povertà educativa.
Quasi in parallelo, qualche giorno prima (il 18 maggio) veniva sottoscritto il Protocollo d’intesa per la costituzione del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile previsto dalla Legge di Stabilità 2016, e costituito dal Governo insieme alle fondazioni di origine bancaria (Fondazione CON IL SUD sarà il soggetto attuatore) e al Forum del Terzo Settore. Alimentato dalle fondazioni con 120 milioni l’anno, il Fondo è destinato «al sostegno di interventi sperimentali finalizzati a rimuovere gli ostacoli di natura economica, sociale e culturale che impediscono la piena fruizione dei processi educativi da parte dei minori». Povertà delle famiglie, abbandono scolastico, servizi insufficienti: su queste criticità le organizzazioni del Terzo Settore verranno chiamate ad agire grazie a bandi specifici, e già il comitato d’indirizzo strategico è al lavoro per stabilire destinatari, tipologie di azioni, comunicazione (anche con la finalità di creare una circolazione di dibattito scientifico per incrementare la qualità dell’intervento), e sistemi di valutazione e monitoraggio: sistemi, questi ultimi, che dovranno essere innovativi, data la novità dell’intervento e la necessità di aumentare l’efficienza delle strategie messe in campo.
Intanto, dall’inizio del mese di maggio, Save the Children lanciava la sua campagna nazionale “Illuminiamo il Futuro”, per il contrasto della povertà educativa in Italia. La manifestazione ha contato 465 eventi realizzati da 390 organizzazioni e istituzioni in tutte le regioni italiane, portando grande attenzione sul tema. Il rapporto “Illuminiamo il futuro 2030 - Obiettivi per liberare i bambini dalla Povertà Educativa” riprende gli sconcertanti dati sul fenomeno in Italia, per arrivare ad obiettivi e proposte su cui lavorare, e che certamente potranno trovare nel Fondo un valido strumento operativo, se correttamente impostato.
Guardando ai numeri giusto per capire le dimensioni del problema, Save the Children ci ricorda che in Italia ben il 64% dei minori nell’ultimo anno non ha svolto almeno quattro attività tra: andare a teatro o ad un concerto, visitare musei, siti archeologici o monumenti, svolgere regolarmente attività sportive o utilizzare internet. E che il 48% dei minori tra 6 e 17 anni non ha letto neanche un libro. Le cause? Di nuovo: povertà della famiglia di appartenenza, insufficienza delle strutture scolastiche, inadeguatezza dell’offerta formativa, disparità tra Nord e Sud del Paese, disparità di opportunità tra i generi. Laddove le famiglie versano in condizioni di insufficienza economica, il numero dei bambini che non leggono sale al 56%, confermando un “carattere ereditario” della povertà educativa. Questi “numeri” proiettano le loro oscure ombre anche sulle cosiddette “capacità non-cognitive” come la indispensabile socializzazione, producendo isolamento e abbandono scolastico tra bambini e ragazzi. La “prova del nove” dello scenario appena descritto sta nei dati dei casi in cui invece l’offerta educativa c’è ed è efficiente: dove c’è internet, l’insufficienza di competenze in lettura (uno degli indicatori della povertà educativa) scende dal 41 al 28%; dove si fa sport, dal 43 al 29%; dove si posseggono tanti libri a casa (più di 26!), dal 42 al 22%. Gli obiettivi individuati da StC sono chiari e semplici: entro il 2030 devono essere azzerati i gap di apprendimento e sviluppo, di offerta educativa e di povertà minorile. E gli strumenti sembrerebbero esserci.
Save the Children ci fa riflettere sulla imprescindibilità della riorganizzazione del sistema educativo che parte dalle case e arriva nelle scuole, passando da quei luoghi indispensabili per la vita sociale e cognitiva dei bambini, come le strutture sportive, le biblioteche, i musei, i teatri. Anzi, piuttosto che riorganizzazione dovremmo parlare di ripensamento. Siamo infatti sicuri che il problema delle scuole italiane sia esclusivamente legato alla scarsità delle risorse, fattore seppur in cima tra le criticità che producono uno scenario così grave? E la stessa domanda potremmo porcela per le biblioteche e i musei, su cui l’intenso dibattito di rinnovamento fa piuttosto emergere una inadeguatezza di visione e missione rispetto al contesto sociale in cui quei luoghi della cultura sono immersi. C’è da chiedersi infatti se la missione consolidata del museo possa essere rivista ed estesa (come auspicato da ICOM, 2016): oltre alla ricerca sulle testimonianze, oltre la conservazione, oltre la comunicazione e l’esposizione, i musei possono avere un ruolo nella battaglia alla povertà educativa (non solo minorile), possono essere luoghi di nuove re(l)azioni sociali, possono essere luoghi di educazione CON il patrimonio e non solo AL patrimonio?
Dalle pagine de Il Giornale delle Fondazioni emergono confortanti segnali in questa direzione. Ne ha parlato ad esempio Massimiliano Zane, che invita a superare l’approccio da “deportazione scolastica” conferito spesso al ruolo educativo dei musei, per andare piuttosto verso una dislocazione scolastica, dove promuovere il pensiero critico dei ragazzi: una visione del museo come istituzione educativa parallela (se non gemella) della scuola, dove superare la didattica museale, verso la pedagogia del patrimonio.
Ne parla Maria Chiara Ciaccheri (intervistata da Neve Mazzoleni), che solleva (tra l’altro) la questione della reciprocità della comunicazione tra museo e visitatore/utilizzatore, ragionando (al di fuori di facili retoriche) sul significato della partecipazione, della tenuta dell’attenzione, sulle modalità di apprendimento: aspetti imprescindibili nella ridefinizione dei musei che vogliano contribuire alla lotta contro la povertà educativa.
Ne parla Antonella Agnoli (intervistata da Roberta Bolelli) che immagina le biblioteche del domani come «centri civici culturali», «piazze del sapere» in cui accrescere la qualità delle relazioni tra le persone così da rompere isolamento e solitudine, dentro cui i «bibliotecari» assumano il ruolo di consulenza proattiva nei confronti del cittadino utente.
Ne parla Sendy Ghirardi, che – a proposito del convegno «Educare con l’arte contemporanea. Nuove forme di partecipazione. Scuola, musei e università per un alleanza educativa» –, riflette sulla necessità del rimodellamento dei codici dell’arte: passaggio essenziale per «rileggere la realtà, promuovere lo sviluppo del senso critico e di quello civico e ampliare la propria conoscenza attraverso metodi non formali e convenzionali».
Al convegno appena citato ha partecipato, tra le altre, Martina De Luca, funzionaria della Direzione Generale Educazione e Ricerca del MiBACT, impegnata in questi ultimi mesi nella presentazione del Piano nazionale per l'Educazione al patrimonio culturale, di cui ha parlato qui Emanuela Gasca. Il Piano si identifica in un’azione che «comprende il patrimonio quale obiettivo e quale strumento formativo poiché può essere finalizzata alla conoscenza di un specifico segmento di patrimonio, oppure allo sviluppo di conoscenze in altre discipline», cosicché «La fruizione consapevole del patrimonio culturale [contribuisca] a sviluppare il senso di appartenenza a una o più culture, ad acquisire la coscienza di un identità culturale e il senso di appartenenza dei beni alla comunità». Uno strumento che costituisce una nuova e importante base per riscrivere le grammatiche del rapporto tra patrimonio, educazione e protagonismo civico.
Insomma, i dati, le idee, le visioni e gli strumenti ci sono affinché i luoghi della cultura, musei in testa, possano concretamente assumere la lotta contro la povertà educativa come uno degli obiettivi di missione principali. Una assunzione che comporterà la fatica di una ristrutturazione di quel pensiero che ancora oggi pone il museo al centro di un processo di conservazione e comunicazione erudita; una ristrutturazione che forse dovrà portarci anche al di là del concetto di didattica museale: non si tratta solo di sapere comunicare il senso dell’arte o della scienza, ma anche di attivare processi di acquisizione di competenze altre e di consapevolezza sociale attraverso l’arte, la scienza, la storia, la memoria. Una ristrutturazione che ci porterà certamente su un piano completamente alieno rispetto ai cosiddetti servizi aggiuntivi, spesso incaricati di rispondere a questi bisogni e non sempre adeguati a saperli interpretare olisticamente.
Se davvero i musei e le biblioteche vorranno rispondere alla visione che Save the Children assume ambiziosamente per il 2030, data alla quale tutti i quindicenni dovranno raggiungere i livelli minimi di competenze in matematica e lettura, svolgere almeno 4 attività extra-scolastiche annue, scendere sotto il 5% della dispersione scolastica, i musei e le biblioteche dovranno ascoltare quelle voci e quelle visioni che li proiettano in un nuovo scenario, verso un “cosa”, un “per chi” e un “come” futuri in cui le attività educative e aggregative saranno al centro della missione e della progettazione, e non più mera funzione di institutional social responsibility da esibire nei report annuali (quando si fanno). Un cambiamento di paradigmi che il contesto sociale comincia a chiedere sempre più alle istituzioni culturali, e che potrebbe rendere musei e biblioteche dei posti ancora più interessanti, inclusivi e coesivi.
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Foto: attività educative di Officine Culturali presso il Museo Civico Castello Ursino - Catania