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Le imprese si culturalizzano

  • Pubblicato il: 21/03/2016 - 10:11
Autore/i: 
Rubrica: 
OPINIONI E CONVERSAZIONI
Articolo a cura di: 
Catterina Seia

E’ in preparazione il sesto Rapporto annuale Symbola-UnionCamere Io sono Cultura sulle industrie culturali e creative, che verrà presentato martedì 5 luglio presso l'Università di Macerata nella giornata inaugurale del Festival della Soft economy. L’edizione 2016 del documento di riferimento in tema, amplia e rafforza la cornice metodologica di indagine per favorire confronti internazionali. Conversiamo delle novità dei lavori in corso con Fabio Renzi, Segretario Generale della Fondazione Symbola
  
E’ in preparazione il sesto Rapporto annuale Symbola-UnionCamere Io sono Cultura sulle industrie culturali e creative, che verrà presentato martedì 5 luglio presso l'Università di Macerata nella giornata inaugurale del Festival della Soft economy. L’edizione 2016 del documento di riferimento in tema, amplia e rafforza la cornice metodologica di indagine per favorire confronti internazionali. Conversiamo delle novità dei lavori in corso con Fabio Renzi, Segretario Generale della Fondazione Symbola
 
 
Ambizioni sempre forti, quelle di Symbola, nella promozione del nuovo made in Italy a base culturale. La vostra ricerca potrebbe fare un salto per comparare la dimensione domestica- con un perimetro di analisi sempre discusso- a quella europea? 
Le discussioni ,devo purtroppo dire, sono generate dal provincialismo e dalla superficialità di molti degli attori che a vario titolo si occupano di Cultura in Italia. Il precursore in Italia sui temi delle Industrie Culturali e Creative è stato il prof. Walter Santagata che affrontò uno studio sistematico già dal 2007, studio che sfociò nel 2009 “Libro Bianco sulla Creatività in Italia”. Per Santagata l'intera filiera produttiva del macro settore, nel 2004, dava il 9,31% del PIL. Secondo noi – accusati di aver ampliato oltre le colonne d'Ercole l’analisi del sistema produttivo e culturale- all'inizio del 2010, quando siamo partiti, valeva il 4,9% del PIL. Nel libro postumo "Il governo della cultura", uscito nel gennaio del 2014, al paragrafo "Aggregazioni e stima dei dati statistici", Santagata cita come modalità di calcolo del peso della cultura sull'economia nazionale il suo studio, naturalmente, e il nostro, come i due approcci che in Italia stanno in campo.
Noi monitoriamo, in partnership con Unioncamere, il cambiamento intercorso e possibile del Made in Italy, un cambiamento profondamente culturale. Agiamo con diversi rapporti, oltre agli annuali Io sono Cultura Greenitaly, con i biennali Coesione è Competizione e il Rapporto Italia. Il nostro Rapporto Cultura si è arricchito della collaborazione con la Fondazione Fitzcarraldo e con SICamera, la società diUnioncamere che elabora i dati e fa analisi econometrica, oltre al sostegno della Regione Marche. Creiamo reti.
 
 
 
Le nuove idee fanno una lunga strada prima di affermarsi e hanno necessità di “apostoli”. 
In sintesi, abbiamo continuato sul solco di una tradizione di ricerca, con un dialogo vivo con lo studio di Santagata, purtroppo scomparso. Ci caratterizza un confronto fenomenologico rispetto alle categorie. Se la Norvegia include la pesca al salmone nelle attività culturali, è chiaro come ogni paese abbia una propria specificità, articolazione e declinazione. Ciò che cerchiamo di fare è rileggere alcuni tracciati che emergono dalla realtà economica, indagandoli e concettualizzandoli, includendo progressivamente  saperi creativi di più culture in attività economiche che una volta si ritenevano distanti dal perimetro culturale, intercettando ad esempio imprese del settore agro alimentare e manifatturiero, che incorporano sempre di più la creatività.
 
 
 
Avete evidenziato, attraverso casi, una pluralità di spinte che non sarebbero state lette nemmeno come una tendenza o una possibilità. 
E’ sufficiente andare al Salone del Mobile per capire che non si tratta solo di un evento commerciale, ma uno degli appuntamenti del design più importanti, a livello nazionale, frequentato da commercianti, architetti, designer e da quelle figure straordinarie che sono gli artigiani che esprimono saperi che sono la traduzione, la cerniera, tra il disegno e l'applicazione.
Al Salone del Gusto si incontrano agricoltori evoluti che sono consapevoli che, per parlare al mercato, oggi occorrono contributi da altri mondi come l'editoria, la comunicazione.
Vinitaly, a Verona, si comprende che con la materialità del vino,c'è altrettanta immaterialità.
Al Salone Nautico, è evidente come l’Italia sia il leader mondiale nelle imbarcazioni da diporto e che i grandi yacht non sono altro che case che navigano con la cultura dell'architettura e del design, con molto progetto.
Osservando questi macrosettori, si comprende che il Made in Italy negli ultimi 15 anni si è trasformato per competere, superando il passaggio dalla svalutazione competitiva della lira, agli apprezzamenti dell'Euro, al cambiamento degli stili di vita dei consumatori, ottimizzazione dei costi….
La nostra ricerca nasce da un progetto, da una visione: comprendere come creare valore dal retroterra antropologico del saper fare, dalla creatività nella produzione per generare valore aggiunto, piuttosto che quantità.
Marco Caprai, il nostro amico del vino, ha fatto realizzare una app che invia informazioni sui filari che hanno necessità di trattamento in relazione alla fotocromia non riduce soltanto del 50% l’utilizzo dei principi attivi chimici e i costi, facendo lavorare degli informatici che secondo il codice ATECO afferiscono all'insieme delle industrie culturali. Quando Marco Caprai lancia una manifestazione per il Sagrantino, e convoca diversi gestori delle piattaforme social con i loro follower che twittano e postano immagini dell’iniziativa, sta facendo lavorare soggetti che fanno parte del sistema delle industrie culturali. Nello stand al Salone del Vino, come nella sua cantina lavora con artisti, designer e cuochi.
Questa è stata la nostra intuizione, confermata dalla ricerca.
 
 
 
Piccole e medie imprese che innovano guardando all'ambiente, alla qualità dei processi e dei prodotti. 
Abbiamo intercettato i segnali del nuovo che stava emergendo e che andava interpretato, segnali che i “puristi” della Cultura negavano. Vedevamo che le imprese più coesive, attente al welfare, sono le più sociali e le più competitive; che stavano crescendo gli eco-investimenti e l’attenzione ai processi ambientali; che i nuovi prodotti erano sempre più frutto di nuove modalità di realizzazione, di progettazione, di comunicazione. Segnali positivi. Tutte le nostre rilevazioni ci dicono che le imprese che investono in Cultura hanno le migliori performance nell'export.
Il nostro lavoro sulla Cultura è frutto di questa visione.
L’analisi in corso per la quinta edizione cerca di rendere più raffinata la capacità di lettura analitica, ma sempre su queste piste.
 
 
 
Le specificità dell’Italia, sia nella sua Cultura che nei poli manifatturieri, non si riscontramo altrove. 
Qual è il nostro “salmone”? E’ quel complesso di attività manifatturiere che sempre più incontra la creatività? 
Parlo del vino perché il vino è stato lo spartiacque. Lo scorso marzo è ricorso il trentennale dello scandalo del metanolo che ha portato ad una crisi profondissima, dalla quale è partita la svolta che ha portato a quello che è stato chiamato il Rinascimento del vino italiano e due anni fa, al riconoscimento delle Langhe, Roero e Monferrato come sito patrimonio UNESCO dell’Umanità, proprio per il particolare rapporto virtuoso tra produzione vitivinicola e costruzione e qualità del paesaggio.
Questo paesaggio non ha testimonianze della civilizzazione umana così eclatanti come Agrigento, Selinunte, Paestum,  è un paesaggio agrario che nel 1986, all'epoca del metanolo, non sarebbe mai stato inserito nella lista dei siti patrimonio dell'umanità. La qualità, oggi premiata e riconosciuta, di questo paesaggio è il frutto della scelta del mondo del vino di abbandonare la strada della competizione al ribasso, il vino come commodity, per intraprendere quella della qualità dove il vino diventa non solo prodotto ma anche rappresentazione, testimonianza e metafora del territorio. Se l'esito è culturale, il riconoscimento Unesco, forse anche il processo che c'è dietro, competere sul terreno della qualità vitivinicola, ha a che vedere con la cultura. Il drastico cambiamento ha causato fratture generazionali; padri che hanno diseredato i figli che hanno tagliato le vigne alla maniera dei francesi, diradando il 50% dei grappoli e togliendo legno dalle vigne per avere un'uva migliore, con maggior valore zuccherino. Con il successo della produzione sono nati i resort, gli agriturismi, i centri urbani sono stati riqualificati.
E’ stato un processo economico a base culturale che ha trasformato un paesaggio “a perdere”, marginale, in un paesaggio, un territorio "a vincere".
All’epoca, l'export del vino italiano valeva a prezzi attuali 700 milioni di euro. L'anno scorso l'Italia ha fatturato 5,4 miliardi di euro di export di vino, producendo il 50% in meno di ettolitri rispetto a 30 anni fa.
 
 
 
Da questo è nata un’industria culturale del cibo. Slow Food. Nuovi stili di vita, di produzione e di consumo. 
Le resistenze che ci sono state rispetto al nostro approccio, negavano che alcune modificazioni di costume fossero culturali. Il cambiamento della domanda va letto non solo in modo epidermico; è un cambiamento di orizzonte culturale di stili di vita, di orientamenti etici.  E non è un caso che proprio nel Piemonte delle Langhe sia nato Slow Food ad ulteriore dimostrazione dell'intreccio tra dimensioni culturali e produttive. 
 
 
 
Il design è una lezione. E’ un punto chiave della riconoscibilità internazionale e della nostra economia e nulla è più palese di un'idea che si sviluppa dal mondo artistico e che, attraverso la produzione, arriva nelle case delle persone, tra i piedi della gente e cambia la loro vita. 
I consumi sono cambiati, abbiamo nuovi materiali, c'è una sfida della nostra contemporaneità, che è quella della sostenibilità. Consumeremo in modo diverso. Il consumismo è finito, ma i consumi non moriranno. C'è una richiesta di interpretazioni in sintesi formali, di estetica nuova. Ogni epoca ha avuto forme di cambiamento sociale e di nuove opportunità tecnologiche e poi è intervenuta la capacità di creare una sintesi formale. Questo significa che oggi abbiamo uno spazio enorme di progettazione culturale. La ricerca è una rilevazione, ma anche una rivelazione delle tante esperienze che in giro per l'Italia danno nuove forme e rappresentazione al cambiamento sociale, all'emergere di nuovi orientamenti più sobri, ad una globalizzazione che non è più solo nel segno dei "container" ma anche dei contenuti. 
 
 
 
Una rivelazione che porta a prospettive strategiche. Come si intreccia questo percorso con la programmazione comunitaria? A grandi progetti come Horizon 2020?
Stiamo spingendo affinché le imprese guardino a questi temi e non lo facciano solo i progettisti della cultura. Se le imprese colgono queste opportunità comunitarie, se apprendono ad interpretare anche fondi strutturali tradizionali in modo nuovo, arriveranno più risorse per la Cultura, che vanno ben oltre gli stanziamenti dedicati al settore dal Ministero e dagli Assessorati regionali competenti.
 
 
 
Oltre a nuove legittimazioni per la Cultura.
Porre la questione significa rompere gli altari di coloro che avevano il monopolio del settore. La nostra ricerca all’inizio è stata, da questo punto di vista, un cambio di paradigma.  Se il 70% del PIL italiano è fatto di servizi, con le nostre ricerche affermiamo che quando si taglia la Cultura si dà un colpo alla stessa economia italiana. Anzi, il nostro Rapporto evidenzia e sottolinea quanto il finanziamento pubblico sia importante e fondamentale, proprio perché l'investimento in cultura ha un effetto moltiplicatore. Per ogni euro prodotto se ne attivano 2,2 nelle industrie creative, 2 nel patrimonio storico e artistico, 1,3 nelle industrie culturali e 1,2 nelle performing arts. Tuttavia è sempre più importante capire che molte delle risorse apparentemente non destinate alla cultura possono essere "intercettate" per progetti ed iniziative ad essa legati.

 
Come si svolge il vostro lavoro di indagine? 
Utilizziamo dati Istat e naturalmente di Unioncamere. Abbiamo scelto di aggiungere quesiti al questionario Unioncamere per il progetto Excelsior sull'occupazione, che va ad un campione grande di imprese, consolidato da oltre dieci anni su oltre 100mila unità attinte al registro delle imprese, fonte fantastica di informazioni.
Se i quesiti sulla cultura sono inseriti in un questionario più ampio aiutano l’emersione dei dati e sciolgono le inibizioni nelle dichiarazioni.
La platea è molto interessante. Il 97,4% delle imprese extra agricole italiane - manifatturiero, servizi  - ha meno di 9 addetti. È un universo, meno strutturato  rispetto alla grande impresa che ha figure specializzate, negli aspetti più creativi e culturali della produzione . Il fatto che queste piccole imprese siano ricorse - più sulla base di un'intuizione  che di una maturata consapevolezza -  sempre di più all'industria creativa, alle industrie culturali, per migliorare le proprie produzioni, è  la conferma della famosa frase di Victor Hugo, “c'è una cosa più forte di tutti gli eserciti del mondo, e questa è un'idea il cui momento è ormai giunto”.  
L'idea che i prodotti e i servizi devono essere sempre più pensati, realizzati, incorporare e trasmettere valori e messaggi, sono apparati e strumenti simbolici, e per questo culturali. Gli italiani hanno sempre fatto le cose ad alto valore d'uso e ad alto valore estetico simbolico, allo stesso tempo. È giunto il momento di un progetto di culturalizzazione sempre più forte nel mondo dell'economia, perché è cambiata la società, perché sono cambiati gli stili di vita, perché sono cambiati gli orientamenti e c'è una domanda diversa.
Da questa edizione affineremo metodologicamente i settori, avremo una maggiore comparazione internazionale, affinché il perimetro che proponiamo come lettura del sistema produttivo culturale si affermi ulteriormente. Attiveremo un confronto a più a largo raggio, chiamando molti portatori di interesse a dialogare, per far capire ancora più chiaramente alla politica e all'economia che questa rilevazione è coerente e rappresentativa delle dinamiche che attraversano l'economia e la società.
 
 
Come è definito il perimetro? 
Il core è chiaro. Sono cinque classi di attività economica che stanno nel 100% degli studi che abbiamo esaminato, poi ci sono 20 classi di attività economica che stanno nel 75-99% dei casi esaminati, 17 classi di attività economica nel 50-75% degli studi esaminati e 106 classi di attività economica sotto il 50% degli studi esaminati.
E’ interessante capire e individuare quali sono le industrie  trazione creativa - come l’esempio che abbiamo fatto su Caprai, le agroalimentari e manifatturiere -, conoscere quanto investono mediamente in cultura. Lo faremo attraverso un lavoro a carattere statistico. Analizzeremo i bilanci di alcune imprese per comprenderlo e le figure professionali coinvolte nelle varie fasi produttive.
 
 
Avete già evidenze?
La principale evidenza emersa nei rapporti precedenti di Unioncamere, Fitzcarraldo e Unioncamere è quella che vede il patrimonio storico-artistico rappresentare solo l'1,5% del valore aggiunto del sistema produttivo culturale italiano, rispetto al 46,5% delle industrie creative, al 46,8% di quelle culturali e al 5,3% delle arti visive e delle performing arts. Forse è un problema di mancanza di creatività contemporanea. Se Rainbow fa il film di animazione sul bambino gladiatore e stravende in tutto il mondo, Asia compresa, è possibile che non facciamo app con giochi sulle aree in cui in Italia dove i gladiatori ci sono realmente stati? Dal Colosseo, all'anfiteatro campano di Capua dove si esibiva Spartaco. Oggi i bambini imparano in questo modo. Ci sono opportunità per l'industria digitale, ma si porterebbero così i nostri beni nel mondo, facendoli conoscere anche attraverso delle forme di apprendimento contemporaneo.Il digitale è una grande occasione per conoscere e far conoscere il patrimonio storico culturale, basti pensare alle possibilità offerte dall'edutainment.

 
È una partita pesante, che impatta sulle politiche di audience engagement e rivede completamente il ruolo delle istituzioni culturali mainstream. 
Porto un altro esempio, nelle Marche. Urbisaglia. Come farla conoscere nel mondo? L’Italia è densa di luoghi rilevanti dal punto vista storico e archeologico, ma Urbisaglia ha una peculiarità: in un passaggio della Divina Commedia Dante scrive " Se tu riguardi Luni e Urbisaglia come sono ite, e come se ne vanno di retro ad esse Chiusi e Sinigaglia, udir come le schiatte si disfanno non ti parrà nova cosa né forte poscia che le cittadi termini hanno." Una potente metafora della distruzione, della caducità. Probabilmente si potrebbero raggiungere i numerosi dantisti nel mondo attraverso la rete per dare un volto, un profilo, un'immagine a quello che altrimenti rimane solo un nome di città perduta nei giri della storia. Quanti di questi testi e "pretesti" possono stimolare una interpretazione creativa e contemporanea del nostro patrimonio storico e culturale? Sono stato recentemente a Nuoro, un esempio di come la letteratura, da Grazia Deledda agli altri scrittori che quella terra incessantemente produce, può trasformare un patrimonio antico, arcaico, denso di valori e di simboli, in un'esperienza contemporanea. Saranno sempre di più quelli che "Nuoro" raggiungerà nel mondo di quelli che raggiungeranno fisicamente Nuoro. Dobbiamo andare oltre la logica della bigliettazione e capire come proiettare il nostro grande patrimonio storico culturale nel mondo, essere meno retrospettivi e più proiettivi, come raggiungere, parlare e sedurre chi poi verrà a trovarci e allora si, acquisterà anche un biglietto e qualche altro prodotto e servizio, nella maggior parte dei casi ancor oggi assenti dai nostri musei e aree archeologiche, anche importanti.
 
 
Queste vostre riflessioni arrivano ai tavoli della politica? Come si integrano con il gruppo di lavore creato da Franceschini sulle ICC? 
Noi siamo una nave pirata, non una flotta ammiraglia. Tagliamo le rotte. Diamo contenuti alle politiche, costruendo contesti di rappresentazione e di interpretazione.
Troviamo nella società delle esperienze positive, frutto di talenti, ma i talenti sono soggetti a variabili,  sono espressione della libertà della società, un vero e proprio bene comune. La libertà della società si basa anche sulle diseguaglianze e produce diseguaglianze, il più bravo, quello che ha più soldi, quello che opera in un contesto culturale più evoluto, quello più condizionato da un fattore di sottosviluppo. Cosa chiediamo alla politica? Che  costruisca le condizioni per rendere replicabile ciò che nella società emerge e si afferma come caso di successo. Rendere democratico il talento, costruire le condizioni per diffondere quello che nasce come esperienza singolare, puntuale, spesso geniale. La nostra non è mai un'azione prescrittiva, ma indichiamo subliminalmente le potenzialità delle direttrici, sulla base delle esperienze che riconosciamo dalla società in un continuo passare dalla rivelazione alla rilevazione e viceversa. Con il gruppo di lavoro di Europa creativa insediato da Franceschini c'è un confronto e un dialogo, facilitati dal fatto che con diversi suoi componenti collaboriamo e riflettiamo da tempo su questi temi, soprattutto  sul perimetro del sistema produttivo culturale italiano che è la cornice fondamentale dei nostri rapporti.
 
 
 
Il rapporto verrà presentato il 5 luglio a Macerata, ma ci sarà una discussione precedente a Milano su questi temi a maggio, organizzata con Voi da Fitzcarraldo.
Discuteremo l’affinamento del perimetro in un attivo confronto internazionale.
 
 
 
Con quale messaggio di ispirazione ci salutiamo? 
La lezione che tenne Garcia Lorca a Buenos Aires, negli anni ‘30, poco prima della sua morte, sulla teoria del duende. Penso che occorra avere un fuoco profondo dentro e ritengo che l’Italia lo abbia al di sopra e al di là di tutte le sue contraddizioni e insufficienze e come diceva Gustav Mahler  "La tradizione non è il culto delle ceneri, ma la cura del fuoco".  La creatività e l'innovazione sono la cura del nostro fuoco profondo.
 
 
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