L’invenzione delle Alpi: uno spazio pulsante a fisarmonica dove sperimentare i nuovi paradigmi dell’innovazione
Dal nuovo libro di Antonio De Rossi recentemente vincitore del Premio Rigoni Stern e del Premio Acqui Storia un’attenta analisi sul processo storico che ha condotto alla costruzione dell’area montana nel cuore d’Europa
La recente nascita della Macroregione Alpina è evento certamente significativo per la storia futura di un’area che intende investire in ricerca ed innovazione, connettività, ambiente ed energia. Tuttavia, per quanto paradossale possa a prima vista sembrare, le Alpi, così come oggi noi le conosciamo e le percepiamo, non sono sempre esistite. La conoscenza del processo di loro costruzione risulta oggi fondamentale al fine di dare le giuste coordinante per il futuro di un territorio troppo spesso caricato di forti valenze simboliche. Ne parliamo con Antonio De Rossi, professore ordinario di Progettazione architettonica e urbana e direttore del centro dell’Istituto di Architettura Montana presso il Politecnico di Torino, autore del libro “La costruzione delle Alpi” (1773 – 1914)
A prima vista l’idea di scrivere un saggio storico che abbia ad oggetto la costruzione dello spazio alpino potrebbe sembrare singolare e avere quasi un intento celebrativo. Addentrandosi via via nella lettura ci si accorge che la narrazione dei processi e la scelta degli esempi addotti nascondono un intento molto più profondo. Da dove muove, dunque, l’intento di ri-costruire la storia delle Alpi?
I libri storici sovente nascono dalle domande poste dalla contemporaneità. Questo testo si propone di dare una rappresentazione corale e d’insieme dei processi che prendono le mosse dalla scoperta e invenzione delle Alpi da parte delle società urbane europee a partire dalla seconda metà del ‘700. C’erano già alcuni studi su questo momento inaugurale, che ha valenza decisiva se pensiamo che fino ad allora le Alpi erano considerate una mera imperfezione della natura. Il libro si concentra sulla descrizione e l’analisi del cambiamento del concetto di paesaggio alpino e della costruzione tout court della montagna. Col procedere dello studio del tema ci si rende però conto che non si tratta solo di una questione di paesaggio, ma di tutta una serie di processi ben più articolati. L’intento è stato quindi quello di assemblare diversi piani di lettura: paesaggio e sua rappresentazione, turismo e alpinismo, storia delle architettura e delle infrastrutture, arte e letteratura, geologia, storia economica e sociale. Argomenti e discipline che posti in “tensione” tra loro vengono a delineare una storia di fatto molto differente a seconda della località geografica che si intende analizzare, dalle Alpi francesi a quelle svizzere, da quelle orientali a quelle piemontesi-valdostane. Ne emerge così una vicenda molto più articolata e complessa rispetto a quella tradizionalmente raccontata, che ci induce a pensare che le Alpi siano state «costruite» attraverso un duplice processo: da un lato la trasformazione del territorio, con l’elaborazione e la realizzazione di progetti e manufatti umani; dall’altro la conoscenza e la ricerca scientifica e artistica, che hanno analizzato, immaginato e «messo in scena» le montagne. Il processo è stato fortemente biunivoco. Gli immaginari guidano la trasformazione fisica, mentre quest’ultima, a seconda del suo grado di riuscita ed efficacia, influenza l’immaginifico temporalmente successivo. Si tratta di un doppio registro di lettura con un meccanismo estremamente stratificato e complesso che va compreso molto bene per interpretare la contemporaneità che rischia altrimenti di risultare ai nostri occhi estremamente riduttiva.
Un meccanismo certamente non lineare nel corso degli ultimi tre secoli che hanno visto trasformarsi lo Spazio Alpino. Quali differenze sono emerse nell’analisi delle varie epoche e a che punto di questo processo evolutivo ci troviamo oggi?
Uno degli obiettivi che mi sono posto scrivendo il libro era quello di analizzare il periodo dell’800, ancora poco indagato a differenza di quello del ‘700. Un periodo dimenticato per il quale è invece importante far emergere alcuni processi specialmente legati all’infrastrutturazione e allo sviluppo turistico. È una visione di carattere retrospettivo tra momenti di invenzione anche sincronici e momenti più complessi che sovente hanno carattere non lineare. Da questo punto di vista le Alpi sono una sorta di spazio pulsante a fisarmonica, con momenti di successo che si alternano a momenti di oblio, e con forti cesure, come la fine del modello turistico della Belle Époque determinata dalla prima guerra mondiale o la nascita del turismo di massa alla fine degli anni ’50. Al contempo tutta la storia delle Alpi dall’invenzione settecentesca a oggi è dominata da alcuni paradigmi di lunga durata: il Pittoresco alpino nell’800, che è la lingua visiva dei turisti del periodo, a cui segue dopo la Grande guerra la fase di quello che definisco Modernismo alpino, ossia il progetto di trasformare le Alpi in una sorta di laboratorio e civilizzazione d’alta quota capace di incarnare gli ideali della modernità: la salute, lo sport, il tempo libero, i consumi diffusi, interpretando valori (si pensi allo sci) come il movimento e la velocità. A partire dalla fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ‘80 il Modernismo entra in crisi, e si assiste invece ad un processo di patrimonializzazione delle Alpi (natura, culture materiali, storia, reinvenzione delle tradizioni) che forse oggi sta già lasciando spazio ad una fase in cui i temi del patrimonio non sono più sufficienti. C’è, infatti, bisogno di una riattivazione della montagna attraverso processi economici e sociali che vedano protagoniste le Alpi stesse, e che al contempo siano capaci di fare i conti con le grandi sfide climatiche, ecologiche, culturali del presente. L’innovazione tecnologica e culturale, se giocate insieme, possono in questo avere un ruolo decisivo.
Per la quarta volta l’immaginario delle Alpi sta quindi cambiando e con esso le modalità con le quali il loro paesaggio e la loro vitalità vengono trasformati. Trattandosi di un processo declinato a seconda dell’area alpina di volta in volta indagata, quali elementi comuni possono ritrovarsi oggi tra le varie zone dell’arco alpino specie se viste sotto la lente della patrimonializzazione?
Ciò che è certo è che la vicenda delle Alpi dal ‘700 a oggi non è stata linearmente evolutiva. La storia delle Alpi è costellata di processi a parabola che possono vedere partenze elettrizzanti, ma che poi si interrompono, involvono per poi magari trasformarsi e quindi riemergere. Alcuni luoghi hanno avuto la capacità di continuare la loro storia in modo abbastanza lineare come Zermatt, che ha avuto un avvio estremamente difficile, e che è stata riconosciuta come luogo turistico solo a metà dell’800, ma la cui fortuna continua fino ad oggi. Esattamente il contrario delle Valli di Lanzo, che durante tutto l’800 sviluppano percorsi di rilievo nel turismo e nell’industria, ma che mancando di elementi forti come lo sci o di comunità locali in grado di individuare settori di sviluppo coerenti e perseguibili, perdono di importanza e di significatività. Negli ultimi anni il paradigma della patrimonializzazione si è avvalso di finanziamenti europei e nazionali legati ai temi della memoria, delle culture locali, che erano state interrotti dall’avvio della modernità. Si è trattato di una sorta di atto di risarcimento dovuto, che però oggi sta esaurendo la sua spinta propulsiva. Una visione tutta costruita sulla patrimonializzazione, sia da un punto di vista naturale e ambientale, ma soprattutto da quello culturale inteso nella sua più ampia accezione oggi rischia di non essere più all’altezza delle questioni poste dalla contemporaneità. Il patrimonio da solo non è più sufficiente, e per certi versi si tratta di una fase che forse possiamo vedere già come storicizzata. Oggi le montagne devono sviluppare nuovi valori d’uso e simbolici, da trasformare in inediti valori di scambio. Diventando un laboratorio d’eccellenza per i global challenges. Ci sono infiniti temi che intrecciando mutazioni in atto, innovazione tecnologica e culturale, risorse della montagna e savoir faire locali, potrebbero diventare potenti asset di sviluppo: pensiamo ad esempio all’edilizia ecosostenibile in rapporto alla risorsa legno, come avviene ad esempio sulle Alpi di lingua tedesca. O all’ingegneria naturalistica. Ma qui sulle Alpi occidentali non sembra accorgersene nessuno, e si continua a puntare solo su tradizioni e prodotti tipici. Cose importanti, ma certamente non sufficienti.
Tutto ciò è forse anche dovuto ad una riscoperta della montagna da parte delle comunità, specie quelle giovanili, che intravedono nuove possibilità di sviluppo occupazionale legate in particolar modo all’agricoltura. Le Alpi sono realmente pronte a questa nuova sfida?
Bisogna certamente premettere che in molti momenti di crisi evolutiva delle pianure e delle città le montagne hanno acquisito un portato relazionale caratterizzato da aspettative e da significati simbolici molto forti. Nei momenti di cambiamento, le Alpi sono sempre state considerate una sorta di terra franca dove poter sperimentare nuovi paradigmi. Quantomeno dal punto di vista simbolico, le Alpi sono quindi considerate oggi come uno spazio molto potente di progettazione del presente e del futuro.
Ecco che allora diventa ancora più importante avere uno sguardo retrospettivo sulla storia che eviti di caricare eccessivamente di simbolismi un territorio che ha comunque delle caratteristiche proprie da non sottovalutare, e che non può semplicemente tradursi in una proiezione dell’urbano sulla montagna. Al tempo stesso non bisogna cadere nell’errore di vedere la montagna in contrapposizione alla città. Ciò è evidente specie nel modo di abitare le Alpi oggi, che poco ha a che fare con la marginalità e l’eremitismo e che al contrario può sfruttare gli strumenti digitali per coniugare la montagna con le esigenze del mondo contemporaneo. Al centro vi è una diversa interpretazione dell’abitare e della mobilità, ma soprattutto una diversa concezione dell’abitante alpino che storicamente, e più che mai oggi, non va considerato come elemento statico e privo di capacità innovativa. Basta guardare a certe regioni dell’Austria, della Svizzera, dell’Alto Adige. I nuovi abitanti delle Alpi spesso sono portatori di progettualità particolarmente innovative.
Del resto la contaminazione tra città e montagna è un fatto già avvenuto nel ‘900. Si tratta di un processo per il quale il cittadino ha introiettato elementi caratterizzanti del mondo alpino a tal punto che chi oggi vorrebbe tornare in montagna ha un immaginario che spesso travalica per incisività quello degli stessi abitanti. Ormai le contaminazioni fanno parte del modo di vivere contemporaneo. Oggi il vero problema è semmai costituito da una certa idea di modernizzazione della montagna, perpetrata all’infinito dalle burocrazie e dagli apparati pubblici, oramai fuori tempo massimo e non più all’altezza delle trasformazioni dell’ambiente e dell’immaginario sociale.
Quali sono dunque le strategie auspicabili per favorire questo nuova fase?
Oggi la grande sfida è quella di creare le condizioni perché i tendenziali processi in atto, come quello del reinsediamento in montagna, possano evolvere in modo costruttivo. Un banale esempio: tutto il ‘900 si è confrontato con il tema della frammentazione fondiaria che oggi assume più che mai un ruolo fondamentale rispetto la possibilità di dare vita a un vero sviluppo del territorio montano. Se non si riesce a mettere mano a questo problema tutte le aspettative sull’agricoltura, ma non solo, rischiano di rimanere lettera morta. Sembra una questione secondaria, ma non si tratta solo di frammentazione della proprietà, ma di vera e propria inerzia che non consente l’affermarsi di processi virtuosi. Diventa fondamentale trovare formule più adatte al contesto attuale. Il potere pubblico e le grandi istituzioni dovrebbero prendersi in carico il problema non di cosa le persone devono fare, ma di come facilitare la costruzione di un contesto che favorisca la nascita e l’evolversi spontaneo di iniziative imprenditoriali.
Anche il tema della legislazione e delle normative concernenti la montagna è centrale. Purtroppo il suo adeguamento alle mutate esigenze sociali non pare essere preso così in considerazione da chi detiene il potere legislativo e amministrativo. Si assiste quindi ad una discrasia sempre maggiore tra esigenze di libertà e mobilità che emerge nella società e questa perdurante tendenza all’omologazione frutto di una concezione, in questo caso dello spazio Alpino, ancora troppo conforme a quella cittadina. La parola chiave dunque è deburocratizzazione consapevole, e accompagnamento dei processi in atto, al fine di rendere nuovamente le Alpi un vero territorio dell’abitare.
«La costruzione delle Alpi» (1773 – 1914) (Donzelli, 2014, pp. 424. Euro 38,00)
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