Superare la frammentarietà
SPECIALE VALORIZZAZIONE DEGLI IMMOBILI PUBBLICI E SVILUPPO TERRITORIALE. Il Commento di Giovanni Vetritto, Direttore Ufficio Attività Internazionale e Relazioni istituzionali del Dipartimento Affari Regionali della Presidenza del Consiglio dei Ministri, al volume Strategie e strumenti per la valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico
La valorizzazione degli immobili pubblici torna spesso all’onore delle cronache, di norma nei momenti di difficoltà della finanza pubblica, quando la dismissione pare una via per ridurre il debito pubblico che grava sulle scelte dei governi, immobilizzando una quota rilevante della spesa per il servizio del debito stesso.
Si tratta di una semplificazione per più versi non accettabile.
In primo luogo, le stime della stampa paiono piuttosto fantasiose; sovrastimano l’interesse dei privati; sottostimano i vincoli sul riutilizzo dei beni (come quelli di interesse artistico); eludono la questione della massa di invenduto creatasi da anni, a causa dell’urgenza di troppi sindaci di usare “moneta urbanistica” (la concessione di permessi a costruire senza valutazione dello stato dell’edilizia, per incassare oneri di urbanizzazione).
In secondo luogo, questa tirannia del “fare cassa” fa passare in secondo piano le attività di valorizzazione alternative alla vendita secca: attività complesse, ma che possono produrre valore pubblico e miglioramento delle condizioni generali di attrattività dei luoghi, senza immediati afflussi di cassa ma con più rilevanti effetti di medio periodo sulla capacità dei luoghi stessi di produrre reddito, attraverso un sistema produttivo sostenuto da condizioni di contesto favorevoli.
In terzo luogo, il modo in cui la questione è posta pare non tenere in nessun conto un pesantissimo handicap che si frappone allo sviluppo di progettualità redditizie (nel senso finanziario o di politiche integrate da ultimo accennato) da parte degli enti locali, che possiedono la quantità maggiore dei beni immobili potenzialmente valorizzabili.
Si tratta dell’handicap istituzionale implicito nel numero, nella dimensione e nell’organizzazione degli enti locali.
L’Italia ha più di 8.000 comuni, poco meno di 6.000 dei quali di popolazione inferiore ai 5.000 abitanti; circa la metà addirittura di popolazione inferiore ai 3.000. Irragionevole perpetuare un simile sistema nell’età dei sistemi di rete e della velocità dei collegamenti, e della ricerca di livelli di efficacia e di efficienza consentiti da una massa critica di cittadini serviti adeguata alla tecnologia e alle possibilità di ottimizzazione servizi. Illusorio pensare che ciascuno degli 8.000 Comuni possa avere un ufficio tecnico autosufficiente e di qualità, in grado di fare le progettazioni e i calcoli di convenienza prodromici alle operazioni di public-private partnership che sarebbero possibili.
Per uscire da una empasse che penalizza questa come altre politiche pubbliche, la legge 56 del 2014 ha reso possibile un processo di aggregazione, integrazione nei contesti metropolitani, cooperazione integrata e di rete tra comuni piccoli e medi che rappresenta la condizione per poter fare sul serio, un giorno, operazioni di valorizzazione.
Finché si resterà aggrappati all’odierna frammentarietà ogni ragionamento rischia di restare soltanto un wishful thinking.
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Giovanni Vetritto è attualmente Direttore Ufficio Attività Internazionale e Relazioni istituzionali del Dipartimento Affari Regionali della Presidenza del Consiglio dei Ministri