Fondazione De Felice: Impegno culturale oltre le polemiche
Era il 15 dicembre 2011 quando la amica Eirene Sbriziolo (vedova di Ezio De Felice, Ndr) mi chiamò con altri colleghi e con alcuni più giovani studiosi a prendere parte nell’ineffabile teatrino di palazzo Donn’Anna presso la Fondazione De Felice a un primo importante seminario sulla figura indimenticata di Ezio De Felice (1916-2000), architetto, restauratore, museografo e docente all’Università di Napoli Federico II.
Ricordo una certa sopresa di Eirene nello scoprire come gli studiosi della mia generazione guardassero all’opera di suo marito Ezio De Felice come a un qualcosa che appartenesse già alla storia della più nobile vicenda del Restauro e della Museografia italiana del secondo Novecento. D’altronde con il compianto amico e collega Benedetto Gravagnuolo, con Renata Picone, Sergio Villari e Claudio Grimellini avevo da poco coordinato gli studi sulla storia della Facoltà di Architettura napoletana, con un ampio volume che rendeva giustizia tra l’altro al calibro culturale e professionale di De Felice, con cui molti di noi studiosi ci eravamo piu volte imbattuti non solo per il celebratissimo allestimento di Capodimonte ma anche per altri monumenti e musei campani, dalla Rocca di Benevento al Museo di Paestum, al Duomo di Pozzuoli. Mi chiese di cominciare a pensare un convegno sul tema della Museografia italiana degli anni Cinquanta e Sessanta che coinvolgesse i migliori studiosi italiani sul tema, da realizzarsi non appena lo avessero permesso le condizioni finanziarie della Fondazione con cui aveva generosamente legato alla città e alla Regione un prezioso patrimonio non solo culturale ma anche economico, che comprende anche quel teatro di corte di Palazzo donn’Anna sul quale molti hanno messo gli occhi.
Non se ne riuscì a fare nulla. Dopo la morte di Eirene Sbriziolo, il 31 gennaio 2013, molte polemiche si sono abbattute sulla Fondazione: non voglio entrare nel merito, ma ne ebbi, come ancora ne ho, l’impressione che ci fosse una sostanziale disinformazione, che per un verso alimentava sincere preoccupazioni (come quelle di chi infondatamente temeva potesse accadere qualcosa di analogo a quanto era accaduto coi Gerolamini e la preziosa collezione De Felice di «cultura materiale» potesse depauperarsi) e per l’altro, come spesso succede, sollecitava plurime ambizioni personali sulla Fondazione e interessi non sempre limpidissimi malcelati dietro nobili preoccupazioni. Di recente sono state raccolte firme affinché, tra l’altro, la Fondazione si dotasse di un adeguato Comitato scientifico e avviasse finalmente attività culturali e scientifiche coerenti con lo statuto.
In questo clima, forse temerariamente ma anche consapevole di un'esperienza maturata in altri contesti extraregionali (dal Coordinamento nazionale delle manifestazioni relative al 150° anniversario dell’Unità, per conto della Presidenza del Consiglio al Comitato scientifico per lo studio del Vittoriano) ho accettato di buon grado l’invito del presidente del Consiglio di amministrazione della Fondazione di fare parte del Comitato scientifico.
Ho pensato che si potesse voltare pagina, e finalmente aprire a una nuova stagione culturale quella fondazione che è stata generosamente donata a Napoli e alla Regione, inserendola in un più vasto circuito di sinergie culturali, nella stessa prospettiva con cui a partire da un ampio convegno del novembre 2011 ho lavorato alla costruzione di un sistema «a rete» dei Musei minori, e nella medesima linea con cui di recente ho accettato di far parte dell’Osservatorio sul Centro Storico Unesco istituita presso il Comune di Napoli (palazzo Donn’Anna e la Fondazione rientrano nella perimetrazione Unesco).
Così ho pensato di organizzare un primo programmatico seminario con importanti studiosi napoletani sulla figura di Ezio De Felice in preparazione di una mostra e di un volume per celebrare l’anniversario nel 2016. Il primo seminario si tiene il 5 giugno alla Fondazione De Felice e vede numerosi importanti professori, a parlare tra l’altro della tradizione Museografica napoletana e italiana, di Capodimonte, di Pozzuoli, del rapporto antico/nuovo. Potevo ingenuamente immaginare che così si sarebbe finalmente realizzato il progetto civile a cui tenevano i firmatari degli appelli: con l’avallo di un progetto scientifico si inziavano le attività culturali, proprio a partire dalla figura di De Felice. E invece no. Io come organizzatore, e i tanti relatori che avevano già dall’inizio deciso di partecipare, sono stati variamente pressati, sconsigliati, scoraggiati, invitati quantomeno a rimandare, da alcuni dei promotori dei nobili appelli, preoccupati che ancorché preceduto da studi pluriennali questo seminario potesse risultare «frettoloso». Molti studiosi, tra cui il sottoscritto, hanno pensato che il coraggio civile sta nell’impegno culturale: e non ci siamo fatti dissuadere. Se il rischio è quello, come si dice a Napoli, di «finire sui giornali», eccomi pronto: chiedo a «Il Giornale dell’Arte» di pubblicare questa mia lettera.
Fabio Mangone
direttore del Centro interdipartimentale per i Beni Architettonici e Ambientali della Università di Napoli Federico II, professore ordinario di Storia dell’Architettura
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da Il Giornale dell'Arte, edizione online, 4 giugno 2014