L’Expo: un «Vivaio» di opportunità, parte II
Dopo l’approfondita narrazione su come sarà il Padiglione Italia, passiamo dal particolare al generale, guardando alle aspettative e alle conseguenze di Expo 2015. Sul lungo periodo quali effetti di ricaduta può avere sull’Italia?
Potrebbe avere una grande ricaduta ma non sono dell’idea che sia l’Expo da solo a condurre tutta questa attività. Più che una rete, che dà l’idea di una compresenza spazio-temporale, credo che abbiamo bisogno di un piano strategico diacronico.
Nel 2009 ho scritto un documento, pubblicato dal Sole24ore, sul sistema dei grandi eventi italiani. Nel 2009 dicevo: nel 2011 abbiamo il 150° dell’Unità d’Italia, nel 2013 abbiamo il Forum Universale delle Culture a Napoli, nel 2015 abbiamo l’Expo, nel 2016 siamo candidati (ma poi abbiamo perso) ad avere gli Europei di calcio, nel 2017 siamo candidati per la Capitale Europea dei Giovani, nel 2019 abbiamo la capitale Europea della Cultura e il V centenario della morte di Leonardo, nel 2020 (all’epoca) avremmo potuto ospitare le Olimpiadi e nel 2021 ricorre il VII centenario della morte di Dante. Dieci anni di alleanze tra i territori e tra pubblico e privato avrebbero potuto cambiare il Paese. Perché non ha senso che tutte le cose vengano fatte in contemporanea. Non possiamo pensare di mettere l’intero Paese a posto e che poi vada sempre tutto bene. Bisogna avere delle temporalità diverse, prendere delle macro-aree, lavorarci e farle crescere. L’Expo ha il compito di far crescere la macro-area del nord-est. Così come le Olimpiadi invernali di Torino e il 150° dell’Unità hanno lavorato sulla macro-area del nord-ovest. Poi abbiamo a disposizione il VII centenario della morte di Dante per Ravenna e per Firenze, perché ovviamente sono le due città sulle quali andare a lavorare per questo evento. Per quanto riguarda la Capitale Europea della Cultura, grazie al progetto «Italia 2019», qualsiasi sarà la città vincitrice, tra le sei candidate, avrà il compito di trainare le altre a investire sulla cultura e a fare un piano strategico per il territorio.
Quale sarà la legacy dell’Expo?
Ce ne sono tre, di diversi tipi: c’è la legacy per Milano, c’è quella dell’area dell’Expo e quella dell’Italia.
La legacy per Milano secondo me deve ancora essere costruita. Si sta lavorando a un’ipotesi di brand Milano per il futuro dove però emergono molte divergenze tra quello che dicono i giovani e quello che dicono le persone con più di 50 anni. Da un’indagine IPSOS si vede proprio come i giovani chiedano certe cose e come le persone di una certa età ne chiedano delle altre completamente diverse. Milano è una città che può essere molto innovativa sul tema della coesione sociale e del verde. Il valore aggiunto sta nella possibilità di mettere le grandi esperienze del design e della cultura al servizio di questi elementi.
Quindi la prima legacy è quella del territorio. Anche se, mi sembra, che in questo ambito non si sia ancora arrivati a una sintesi.
C’è poi la legacy dell’Expo in sé per sé, cioè come verranno riutilizzati i territori di Expo. Siamo in una zona molto delicata della Pianura Padana, con un eccesso di infrastrutturazione: la fiera, l’alta velocità, l’autostrada, la ferrovia tradizionale, la Ferrovia Nord, le poste, il carcere, ecc. È evidente che anche in questo caso si può avere un’attitudine conservativa o un’attitudine fortemente innovativa. Diventare un grande polmone verde, un grande parco a disposizione di tutti è più difficile che trasformare questo spazio in un’area di ulteriore infrastrutturazione. Ad ogni modo dobbiamo immaginare Milano non come comune ma Milano come metropoli. Quindi la riflessione sul futuro e della legacy di Expo si lega molto alla legacy di Milano, come area metropolitana.
Nell’area occupata da Expo solo il Padiglione Italia rimarrà in permanenza. Si è già pensato a come impiegarlo dopo l’evento?
Ci sono proposte diverse. C’è una società che si chiama Aree Expo che sta lavorando proprio sulla legacy post-Expo. Però, ribadisco, secondo me al di là della vicenda immobiliare in sé, è una questione di progetto, bisogna vedere cosa vuole essere Milano per il futuro.
Quale sarà invece l’eredità dell’Expo per l’Italia?
Questo è il terzo elemento di cui parlavo prima, che paradossalmente è quello che mi trova più fiducioso intorno alla legacy dell’Expo, cioè il posizionamento dell’Italia. Credo che attraverso il semestre italiano di Presidenza del Consiglio dell'Unione europea e attraverso l’Expo l’Italia possa prendere la leadership di una serie di idee rispetto al futuro dell’Europa. Questa è una possibilità reale, che peraltro non è neanche particolarmente costosa, ma ha un solo grande problema: l’essere noi a volerlo e a crederci. Per questo ci vogliono delle classi dirigenti responsabili che si rimbocchino le maniche e vadano all’unisono nella stessa direzione. È l’unica cosa sulla quale possiamo contare per farcela. Dobbiamo individuare poche cose verso cui convergere tutti altrimenti, come sempre, in nome del divide et impera e del particolarismo, la sconfitta del Paese è inevitabile quanto evidente.
Quindi sia attraverso l’Expo che attraverso la politica si può veramente riposizionare il Paese.
Assolutamente sì. L’Expo è una grande occasione. Va ricordato, però, che non è un metodo, è solo uno strumento e un grande amplificatore. Come è successo per Torino rispetto alle Olimpiadi, ancora di più con l’Expo si potrà dire che gli italiani sono in grado di organizzare delle cose in maniera ben fatta. Fare qualcosa che rimanga e che sia funzionale a un territorio secondo me è una grande vittoria da parte del Paese, capace di dare un rilancio evidente, sia di turismo che d’identità.
Come agirà il «fattore Expo»sul posizionamento turistico dell’Italia?
L’Expo ha un ruolo molto importante nel riposizionamento del Paese. A mio giudizio è straordinariamente necessario che ci siano almeno tre tipi di promozione. La campagna promozionale di Expo credo che debba essere affiancata da altre due campagne in parallelo: una dedicata a «vieni a visitare l’Italia in occasione di Expo»e una orientata a «vieni a visitare Milano in occasione di Expo». Ci sono i due estremi: il paese e la città. Io spero che entrambi i soggetti preposti, ossia l’Italia con il Ministero insieme all’Enit, e il Comune di Milano con tutti i partner pubblici e privati, facciano campagne internazionali in tal senso. L’Enit ha appena lanciato il video «Piazze d’Italia», realizzato da Michela Bandini, che è visibile on-line. È già un passo in tale direzione ma credo che questa cosa debba essere ulteriormente esplicitata. Dobbiamo mettere a frutto, ad ogni livello, questa opportunità.
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