Calvesi: nel 2015 Burri finalmente in America
Città di Castello (Pg). Dopo 12 anni, Maurizio Calvesi lascia la presidenza della Fondazione Burri, conservando comunque la carica di consigliere. Ai membri del Consiglio d’amministrazione, riunitosi lo scorso 2 settembre, il professore ha indirizzato una lettera in cui dichiara la propria indisponibilità a ricoprire nuovamente la carica già assunta. «Ragioni di salute» gli impedirebbero, almeno ufficialmente, di continuare a presiedere l’ente, nato nel 1978 come «Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri» per volontà dello stesso Alberto Burri, del quale, nel 2015, ricorre il centenario della nascita (era nato infatti nel 1915, il 12 marzo). Nell’ambito delle iniziative in programma, anche una grande retrospettiva presso il Solomon R. Guggenheim Museum di New York, promossa dalla Fondazione e affidata alla cura diEmily Braun che, in collaborazione con Calvesi, ha già selezionato le opere da esporre. «Una mostra molto importante, dichiara Calvesi al nostro giornale, alla luce del fatto che Burri è stato sempre boicottato in America, per via della questione di Robert Rauschenberg. Soprattutto Leo Castelli eIleana Sonnabend non ammettevano che si dicesse che Rauschenberg aveva visto Burri a Roma e si era ispirato al suo lavoro. Ma Rauschenberg stesso lo ha ammesso, per cui non c’è dubbio sull’influenza che Burri ha esercitato su di lui. Per gli americani, però, che non hanno avuto Leonardo o Caravaggio, Rauschenberg rappresenta un divinità. Allora sentire che era stato influenzato da un italiano, in anni in cui gli italiani erano considerati quasi una “razza inferiore”, non gli andava bene. Ora, invece, l’hanno capito e le quotazioni di Burri stanno salendo moltissimo. Come salgono tutte le quotazioni dell’arte italiana a Londra. Non purtroppo in Italia, perché qui non c’è un euro e nessuno compra più niente. Però da Sotheby c’è una vendita di arte italiana che va a gonfie vele, crescendo continuamente. E Burri è un po’ il capofila insieme a Fontana. Questo per noi è una grande soddisfazione.
Durante la mia presidenza abbiamo fatto tutta una serie di mostre tra cui quelle a Monaco, a Bruxelles, a Madrid. Una molto importante si è tenuta a cavallo tra 2005 e 2006, alle Scuderie del Quirinale, “Burri. Gli artisti e la materia 1945-2004”, che mostrava Burri e la sua eredità, organizzata insieme a Italo Tomassoni [cfr. «Il Giornale dell'Arte» n. 248, nov. ’05, p. 31]. Quindi il suo lavoro è stato conosciuto e apprezzato largamente, anche grazie a queste iniziative».
In passato la Fondazione ha dovuto affrontare non poche difficoltà legate all’eredità del Maestro.
Proprio così. Dopo la morte di Burri, la vedova pretendeva una parte importante della collezione nonostante fosse stata remunerata dal marito già in vita, tanto che Burri ci aveva rassicurati che sua moglie non avrebbe chiesto nulla. Invece ha scatenato una causa che si è protratta fin oltre la morte della vedova [Minsa Craig, scomparsa nel novembre del 2003, Ndr] e si è conclusa soltanto da qualche anno, tenendoci col fiato sospeso e facendoci spendere un sacco di soldi. Ma ormai è una questione superata. Grazie al sussidio che ricaviamo dalla vendita delle stampe di Burri, siamo riusciti a far fronte alle spese e adesso siamo in una situazione abbastanza tranquilla anche se nella Fondazione ci sono dei problemi, ci sono stati dei ricorsi, ma su questo non vorrei mettere bocca [sulla controversia cfr. n. 212, lug.-ago- ’02, p. 1, n. 244, giu. ’ 05, p. 15 e n. 245, lug.-ago. ’05, p. 13, Ndr].
Qual è il clima che si respira a Città di Castello?
C’è sempre stata una certa gelosia nei confronti di Burri e il sospetto che Roma volesse fagocitare la Fondazione. Il che è assurdo perché la Fondazione è composta da centinaia e centinaia di dipinti che tra l’altro sono notificati e non si possono muovere dal posto in cui sono. E poi ci sono i capannoni, talmente immensi: dove mai si potrebbe trovare altrove uno spazio così? E, infine, nessuno ha mai pensato di portar via da Città di Castello questo tesoro. Però c’è una tendenza locale che preferisce che nel Consiglio direttivo della Fondazione ci siano dei locali. Non è che questa sia stata la causa delle mie dimissioni, perché avevano stima di me; però, ovviamente, il fatto che al mio posto possa andare un locale non gli dispiace affatto.
Teme per il futuro della Fondazione?
Più che altro temo ci possa essere una provincializzazione del Consiglio, mentre qualche innesto di personalità prestigiose, che non siano soltanto locali, potrebbe essere una garanzia per la Fondazione. Ma questo si vedrà con le prossime elezioni, tra quattro anni.
Intanto, in occasione della prossima riunione del Cda, convocato per il 4 novembre, i consiglieri designati dovranno procedere all’elezione del presidente, vicepresidente e Comitato esecutivo. Dei 12 membri del Consiglio, otto sono stati riconfermati (Maurizio Calvesi, Bruno Corà, Giuseppe Fortuni, Fabio Nisi, Rosario Salvato, Tiziano Sarteanesi, Italo Tomassoni, Stefano Valeri) dai 4 enti che lo compongono (Comune di Città di Castello, Casse di Risparmio dell'Umbria, Associazione per la Tutela dei Monumenti dell'Alta Valle del Tevere e Università «La Sapienza»).
La situazione, tuttavia, è tutt’altro che definita, essendo stato depositato un ricorso al Tar contro le nomine comunali da parte della minoranza politica. Una questione che sarà risolta non prima di marzo e che non si esclude possa incidere sulle attività della Fondazione.
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