«Tutti devono chiedersi: dove stiamo andando?»
Roma. Giovanna Melandri è sicura che «Hou Hanru farà volare il MaXXI ancora più in alto». La presidente della Fondazione MaXXI, che assieme alle altre due componenti del Cda, Beatrice Trussardi e Monique Veaute, ha scelto quale direttore artistico il cinquantenne curatore cinese (cfr. lo scorso numero, p. 16), ritiene infatti che Hou Hanru rappresenterà quel volano che farà ancor più lievitare i visitatori, già in crescita, del museo romano: da gennaio ad agosto 2013, l’incremento di chi è entrato nell’edificio progettato da Zaha Hadid corrisponde a un +28% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno (153mila anziché 120mila). E, come a volersi difendere da eventuali critiche, le anticipa di- chiarando: «Qualcuno penserà: perché non un direttore artistico italiano? Be’, io rispondo che noi, nella lunga selezione che abbiamo fatto di candidati alla direzione artistica, non ci siamo posti il problema se fosse italiano o straniero, ma che fosse quello giusto per il MaXXI. E poi voglio ricordare che il primo direttore del Beaubourg non era francese, ma svedese, e che si chiamava Pontus Hulten».
Peraltro Hou Hanru non è nuovo all’Italia, e non solo per le due Biennali veneziane che lo hanno visto quale curatore del padiglione francese prima (nel 1999) e cinese poi (2007), ma per l’inizio dell’intera sua avventura nella curatela di grandi mostre internazionali (tra cui la direzione delle Biennali di Shanghai nel 2000, di Tirana nel 2005, di Istanbul nel 2007 e di Lione nel 2009): nel ’91, ventisettenne, Hanru frequentò un corso per curatori al Centro Pecci di Prato. Il suo italiano è ora incerto, ma il direttore cinese giura che appena sarà definitivamente in sella, tornerà a studiarlo.
Allora inizierà da subito?
Non proprio, perché sarò definitivamente operativo al MaXXI dal primo dicembre. A ottobre e novembre sarò a Roma una settimana al mese. Avevo precedenti impegni a San Francisco, devo portare a termine.
Che MaXXI ha in mente Hou Hanru?
Il MaXXI è, come dice il nome, un museo del XXI secolo. Bisognerebbe chiedermi che XXI secolo ho in mente. Ma tutti siamo chiamati a rispondere che cosa è e cosa sta diventando il XXI secolo. È una stagione di crisi e di grandi trasformazioni, e il MaXXI, con i suoi fratelli e le sue sorelle, che sono le grandi istituzioni museali nate negli ultimi decenni nel mondo, sono chiamati a rispondere, con gli artisti, gli architetti, i curatori, gli intellettuali, il pubblico e la società tutta, alla domanda: dove stiamo andando?
Dove stiamo andando?
Stiamo andando, per esempio, verso un’era totalmente tecnologica. Il XXI secolo sarà il secolo del trionfo delle nuove tecnologie. Ma questo significa che c’è l’urgenza di una ridefinizione radicale del concetto di realtà, imparando a distinguere bene tra quella «virtuale» e quella effettiva. Cambia la comunicazione, cambia l’economia, ma cambia anche il principio di identificazione del «reale» di ogni giorno. Poi c’è il problema dell’assordante che e mortificante strapotere della logica della società dello spettacolo e della mercificazione della produzione artistica e culturale. Per non parlare delle risposte che bisogna trovare ai danni prodotti dal prevalente capitalismo neoliberista ai principi di democrazia e di assistenza sociale, affermatisi dopo la seconda guerra mondiale. Il MaXXI e i suoi fratelli sbocciati come tanti fiori in questi ultimi tempi devono diventare dei ba- luardi critici, capaci di produrre progetti sociali e concetti sociali che prospettino soluzioni alla crisi globale che stiamo vivendo.
L’Italia e la Cina sono Paesi molto antichi. Per capire i tempi che stiamo vivendo, l’antichità è una zavorra o un aiuto?
Le grandi eredità offrono prospettive privilegiate. La contemporaneità è una grande rete in cui tutto è in connessione, anche le rovine romane. Di questa rete, che ha a modello la città (un concetto nato proprio qui a Roma), il MaXXI deve essere uno dei nodi. Ma attenzione, deve essere una rete internazionale.
È uno dei motivi per cui il Cda ha scelto lei.
Ma l’internazionalità non è garantita da una mostra che ha 20 artisti americani, 20 russi e 20 cinesi. Io intendo un’internazionalità più profonda. Kant non ha quasi mai lasciato la sua Königsberg, eppure è stato capace di reimmaginare il mondo. Gramsci, da una cella di un carcere, è stato capace di produrre un pensiero che ancora ci influenza.
Il Ministero dei Beni culturali sta progressivamente riducendo il finanziamento al MaXXI e i privati, per ora, non accorrono in massa a sostituire il pubblico, eccetto interessanti partnership con Eni e Bnl. Si può fare un grande MaXXI anche con pochi soldi?
C’è un dato di fatto: per tenere il MaXXI aperto ci vogliono 5.700.000 euro. È un problema materiale, collegato anche ai suoi ingenti costi di gestione.
Il ministro Bray per ora ne ha promessi 3.
Con tutto il team del museo lavoreremo per fare del MaXXI un grande MaXXI, per far sbocciare tutte le potenzialità di questo fiore, per far pacificamente esplodere questo vulcano con messaggi di cultura e socialità.
A proposito: che tipo di rapporto instaurerà la sua direzione artistica con le direttrici di MaXXI Arte e MaXXI Architettura, ovvero Anna Mattirolo e Margherita Guccione?
Sarà un dialogo continuo, una discussione aperta, un coordinamento che coinvolgerà tutti i lavoratori del MaXXI.
Lei è nato in Cina, è cittadino francese, ora vive in America e dirige un museo in Italia: qual è la sua vera patria?
La mia patria dell’intimo è la mia famiglia. Poi c’è la famiglia allargata del mondo dell’arte. Ma ogni luogo in cui ho lavorato è stato la mia patria di quel momento, anche se devo ammettere che culturalmente mi sento parigino.
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Specializzato in Biennali
da Il Giornale dell'Arte numero 335, ottobre 2013