Il malinconico Catti
Palermo. Il capoluogo siciliano celebra uno dei più interessanti artisti di quel momento d’oro della storia culturale della città al passaggio tra Otto e Novecento, quando Palermo era un centro vivo, mondano, proiettato verso il progresso grazie allo slancio imprenditoriale dei Florio e assorbiva la vivacità della Belle Époque. L’artista è Michele Catti, di cui l’anno prossimo ricorrerà l’anniversario della morte, avvenuta nel 1914 dopo aver trascorso l’ultimo periodo della sua vita tra gli stenti, estremizzando quello stile esistenziale da bohémien che lo aveva reso affascinante agli occhi dei suoi committenti aristrocratici e altoborghesi La mostra «Michele Catti 1855-1914» è ospitata nel Palazzo Sant’Elia fino al 25 agosto e curata da Maria Antonietta Spadaro. Attraverso 130 opere, quasi tutte da collezioni private, ma anche dalla Gam di Palermo, dalla Fondazione Sicilia, dall’Assemblea Regionale Siciliana, dal patrimonio di Banca Nuova e del Circolo Artistico, è ricostruito l’itinerario creativo del pittore, partito dal modello del suo maestro, il paesaggista Francesco Lojacono, per poi effondere nelle sue tele uno spirito moderno di matrice francesizzante, ispirato dalla pittura di De Nittis e dell’Impressionismo, assimilata attraverso l’esempio di un altro autore siciliano, Antonino Leto. Nascono così i malinconici paesaggi urbani caratterizzati da pennellate veloci (nella foto, «Via Libertà», 1895), ove affiora un gusto postimpressionista, idealmente vicino a un precursore dell’Espressionismo nordico come Munch. La mostra è corredata da un ricco apparato didattico e fotografico, dal raffronto con opere dei compagni di strada di Catti, da citazioni dei diari dell’artista e da un corposo catalogo (Edizioni Fondazione Sant’Elia).
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da Il Giornale dell'Arte numero 333, luglio 2013