Quei 6 focolai venuti dal mare
Napoli. Esistono narrazioni che non dovrebbero mai afferire ai temi culturali, perché indegne di quella virtuosa tensione collettiva che si articola quotidianamente con meritori sforzi di diffusione della conoscenza e dei saperi. Eppure il disprezzo brutale di cui è stato fatta oggetto la notte dello scorso 4 marzo la Città della Scienza appartiene ai più oscuri e infamanti sentimenti di cronaca nera, che accomunano questo gesto terroristico, al di là del movente e del mandante ancora tutti da individuare, a una mentalità criminale non dissimile da quella che animò l’attentato di Firenze nel 1993.
Napoli sembra sospesa in un piano di incredulità, fosse solo per il racconto «piratesco» di malviventi venuti dal mare che avrebbero innestato 6 focolai per mandare in fumo circa 70mila metri quadrati di superficie: un piccolo gioiello di archeologia industriale recuperato sul finire del secolo scorso dallo Studio Pica Ciamarra Associati per essere destinato alla promozione e diffusione della scienza, dell’arte e della tecnologia.
Punto di riferimento per l’educazione di numerosi giovani in età scolare provenienti da tutto il Centro Sud, con orgoglio la Città della Scienza veniva considerata un’eccellenza napoletana, in sintonia con la prestigiosa tradizione della scuola di Fisica locale e paragonata alla più solida e strutturata Villette di Parigi. Ma a Napoli, ineluttabilmente, tutto si complica per le innumerevoli contraddizioni ideologiche, politiche e urbanistiche, che rendono la storia molto controversa.
Inaugurata parzialmente nel 1996 dal presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro come centro di divulgazione scientifica e incubatore di impresa, Città della Scienza è gestita dallaFondazione Idis (Istituto per la diffusione e la valorizzazione della cultura scientifica), guidata da Vittorio Silvestrini, scienziato bolzanese, già militante Pci e inventore di «Futuro remoto», manifestazione multimediale di successo internazionale. Affinché il centro nascesse in una struttura industriale del XIX secolo (che si affaccia sul golfo che dall’isolotto di Nisida accompagna lo sguardo fino a Capo Miseno), l’area fu sottoposta a un’imponente bonifica, realizzata per la maggior parte con fondi pubblici, e fu oggetto di un accordo di programma che, in deroga al Piano regolatore, consentì nel 1997 la permanenza degli edifici lungo la spiaggia e la concessione per 90 anni. Tutto questo nonostante la variante al Piano regolatore, firmata da Vezio De Lucia, e il Piano urbanistico attuativo avessero previsto diversamente.
L’area di Bagnoli ha tutte le caratteristiche del «rischio» politico e gestionale, che da decenni impegna le diverse Amministrazioni comunali. Si tratta di un territorio alla cui ineguagliabile bellezza naturalistica fa da controcanto l’alto inquinamento di un’area industriale dismessa (ex Italsider ed ex Eternit) che richiede imponenti azioni di bonifica e di riqualificazione. Il Comune di Napoli istituisce così nel 2002 Bagnolifutura spa, società di trasformazione urbana per realizzare gli interventi previsti dal Piano urbanistico esecutivo Bagnoli-Coroglio: realizzazione di 120 ettari di parco, recupero dei manufatti di archeologia industriale, ripristino della balneabilità, sviluppo del terziario legato al turismo nautico e da diporto. Progetti ancora tutti da realizzare.
In questo contesto opera, non senza polemiche, la Fondazione Idis onlus, con uno dei più significativi musei interattivi d’Europa, un planetario, un ampio e articolato spazio per eventi e congressi, un Bic (Business innovation centre) per offrire servizi alle imprese, un centro di alta formazione e, di recente, un teatro per i più piccoli. La programmazione espositiva e convegnistica ha previsto non rare incursioni anche nei linguaggi dell’arte contemporanea: dalla lezione di Christo in occasione della mostra «Package», allo sconosciuto wall drawing di Sol LeWitt, all’intervento di Land art di Dani Karavan.
Eppure non poche nubi si addensano, motivate dalla difficile condizione finanziaria, che, secondo alcune tesi, avrebbe addirittura potuto generare gesti estremi finalizzati alla riscossione del premio assicurativo. Tuttavia, precisa Silvestrini, «la situazione attuale della Fondazione è determinata dai numerosi crediti non riscossi, soprattutto dalla Regione Campania, pari, solo per quest’ultima, a più di 7 milioni di euro».
Una responsabilità che ha radici antiche e che risale agli anni tra il 2005 e il 2008 in cui la Regione, tra i circa 20 soci fondatori, impose una società di scopo per la gestione di alcuni servizi.
Vittima o carnefice, intanto la Fondazione, con i suoi 75 dipendenti che non percepiscono stipendio da 10 mesi, si è riorganizzata con il sostegno di Unione industriali, Ceinge, Università, Curia, Rai e gente comune, annunciando per il prossimo 13 aprile la simbolica ripresa dell’attività espositiva all’aperto e nei 400 metri quadrati salvati dal rogo. Silvestrini non ha dubbi sulle necessarie azioni da compiersi: «L’edificio che ospitava Città della Scienza deve essere restaurato e ripristinato, contro ogni abbandono e delocalizzazione in altre zone della città della nostra attività, che equivarrebbero a una resa ai poteri che hanno determinato l’incendio».