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Sant’Andrea: materiali poveri, idee ricche

  • Pubblicato il: 14/10/2011 - 01:34
Autore/i: 
Rubrica: 
FONDAZIONI D'ORIGINE BANCARIA
Articolo a cura di: 
Ada Masoero
Mantova

Mantova. Nella basilica di Sant’Andrea apostolo mentre continuano i restauri sulla facciata e sul pronao (cfr. lo scorso numero, p. 51), proseguono anche quelli all’interno (è in corso il secondo lotto, il primo si è concluso il 20 aprile) dell’edificio la cui costruzione fu avviata nel 1472 da Luca Fancelli su progetto dell’appena scomparso Leon Battista Alberti e fu proseguita, con interruzioni, nel corso del XVI secolo e alla fine del XVII, per essere poi completata nel Settecento da Filippo Juvarra con la grandiosa cupola. Tre milioni e trecentomila euro è stato il costo del primo lotto (realizzato su progetto di Alberto Grimoldi da Rws di Vigonza sotto la direzione di Monica Nascig), che ha interessato le superfici interne dell’abside, del presbiterio e dei due transetti (6.500 mq complessivi) ed è stato sostenuto da Fondazione Cariplo, Fondazione Cariverona, Fondazione Monte dei Paschi di Siena, Diocesi e Comune. Il restauro dell’interno della basilica è coordinato dalla Diocesi di Mantova, nella persona di monsignor Giancarlo Manzoli, delegato vescovile per i Beni culturali, e dalla Soprintendenza per i Beni architettonici e paesaggistici di Brescia, Cremona e Mantova, guidata da Andrea Alberti che, dopo aver seguito il primo lotto, ha già approvato il progetto definitivo del secondo (elaborato da Monica Nascig dello studio d’architettura Volpi Ghirardini), relativo alle pareti e alla volta della navata (4.300 mq), a cui si aggiungeranno in seguito cupola e lanternino (3mila mq).
Costruita in un’area alluvionale qual è quella di Mantova, povera di pietre ma ricca di argilla, la basilica vede dominare anche all’interno il cotto e l’intonaco, risalendo i pochi dettagli in pietra (come i dadi delle lesene, in pietra di Verona e Botticino) al restauro del 1938. Alla povertà dei materiali si ovviò tuttavia con una gran quantità di dorature in foglia, che illuminano con i loro bagliori l’interno ombroso. La decorazione pittorica dell’area restaurata (tutta tardosettecentesca, dovuta a Felice Campi e Giorgio Anselmi) fu realizzata non ad affresco ma con la tecnica a bianco di calce, assai meno resistente per la minor coesione fra la stesura pittorica e l’intonaco di supporto. Numerosi quindi i casi di polverizzazione, esfoliazioni e cadute del film pittorico, a cui si aggiungevano sollevamenti e distacchi delle dorature; distacchi tra gli strati di intonaco o tra l’intonaco e l’apparecchiatura muraria; percolazioni di acque meteoriche dalle coperture e una serie di lesioni strutturali, oltre ai depositi superficiali di particellato atmosferico e ai depositi prodotti dall’antica illuminazione con candele.
Dopo le indagini diagnostiche sui materiali e le campionature di pulitura e consolidamento, al fine di testare i prodotti più compatibili e meno invasivi, si è intervenuti innanzitutto sulle dorature in foglia (che in origine figuravano anche all’esterno) fissando con gommalacca le lamine sollevate, e là dove non si presentavano sollevamenti della pellicola pittorica si è proceduto alla pulitura della superficie a secco (tramite aspirazione, pennelli, spugne vulcanizzate), poi a umido (con doppia velina e acqua deionizzata o impacchi di polpa di cellulosa, sepiolite e acqua deionizzata). Dove invece erano presenti sollevamenti, si è provveduto a un preconsolidamento con caseinato di ammonio e dove l’intonaco era gravemente lesionato, è stata preliminarmente praticata la fermatura a punti con caseato di calcio. Minuziose le stuccature successive e il consolidamento del substrato, con modalità diverse a seconda della gravità del problema (nei casi di distacco dell’intonaco dalla muratura, sono stati inseriti perni in vetroresina o acciaio inox). D’accordo con la Soprintendenza, nel restauro pittorico si è intervenuti con ritocco ad acquarello o con reintegrazioni sulle nuove stuccature nelle parti figurate e con ricostruzioni nei motivi decorativi ripetitivi. Alla qualità del risultato si aggiunge poi la nuova illuminazione della basilica, a led, che comporta un fortissimo risparmio energetico («l’intero semicatino absidale è perfettamente illuminato con soli 80 watt», spiega Monica Nascig) e genera una luminosità suggestiva: «grazie a lunghe barre a led poste sul cornicione, continua, ora la volta è illuminata dal basso e poiché i lacunari sono dipinti “en trompe l’oeil”, e quindi non ci sono ombre riportate, l’effetto è stupefacente».
E monsignor Manzoli rincara: «Oggi chi entra nella navata non ancora restaurata della basilica ne riporta un’impressione negativa per il buio e lo sporco. Giunto nell’area restaurata del transetto-presbiterio, è avvinto dall’armonia delle linee, dallo splendore delle decorazioni e dal riverbero della luce sulle parti trattate con l’oro». Il secondo lotto sulla navata ha già riservato una sorpresa nella volta: «Se nel primo lotto i lacunari più danneggiati erano quelli a fondo rosso, forse a causa di un legante organico inadeguato o insufficiente, e quelli su fondo blu-verde erano in buono stato, spiega Monica Nascig, qui questi ultimi hanno subito una sorte peggiore: sono stati attaccati da un fungo (Verticillium), alimentato probabilmente dall’uovo utilizzato come legante, che ha generato macchie tondeggianti biancastre. Le indagini in ogni caso continueranno nel corso dell’intervento, con la consulenza diagnostica di Giovanna Alessandrini».

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da Il Giornale dell'Arte numero 313, ottobre 2011