Il Minimalismo prende piede
Bolzano. Dopo la tappa tedesca al Museum Kurhaus Kleve una retrospettiva di Carl Andre (1935) è approdata a Museion fino all’8 gennaio. Ne parla Letizia Ragaglia, direttrice di Museion e curatrice del progetto insieme a Roland Mönig.
Come nasce il progetto di questa duplice mostra?
L’idea risale a qualche anno fa, quando la moglie dello storico gallerista europeo di Carl Andre, Konrad Fischer, fece visita a Museion ed esclamò che sarebbe stato un luogo ideale per esporre le opere dell’artista statunitense. Mi suggerì anche che Guido de Werd, allora direttore del Museum Kurhaus Kleve, stava pensando a un progetto espositivo europeo. Sono sempre stata un’appassionata del lavoro di Andre e da allora non ho più abbandonato l’idea della possibilità di una sua mostra qui. Sono seguiti dei viaggi a Kleve e soprattutto a New York per convincere innanzitutto l’artista. E dopo tanti preparativi insieme a Roland Mönig, e faticose richieste di prestito da numerose collezioni private e pubbliche europee, ci siamo riusciti.
Andre già dagli inizi degli anni Sessanta rivoluziona il concetto di scultura; quali opere presenti in mostra illustrano maggiormente il suo concetto di scultura come luogo e non più come forma?
Indubbiamente le sculture a pavimento che si trovano sia al pianterreno del Museo sia al quarto piano, visto che la mostra si snoda su due livelli. Le duecentoventicinque lastre in acciaio di «15x15 Napoli Square» (2010), così come le quarantasei lastre dei «46 Roaring Forties» (1988), sono sculture calpestabili, che presuppongono un contatto fisico con il visitatore. La fruizione di queste opere muta la percezione di noi stessi, dello spazio in cui si trovano e in cui ci troviamo. In quanto luogo, queste opere mettono irrimediabilmente in crisi il concetto di un unico punto di vista proprio della modernità: nel suo ulteriore concetto di «scultura come strada», Carl Andre propugna un punto di vista infinito: una strada si sottrae a una visione statica e per essere percepita richiede necessariamente un movimento.
Quale importanza ha il materiale nelle sue opere?
Ho ironicamente intitolato «Let’s get physical (again)» il mio saggio in catalogo. Il materiale grezzo, non lavorato, familiare è l’essenza del suo lavoro. La necessità di una relazione fisica e reale con i materiali, che corrisponde alla necessità di un’esperienza concreta dell’opera d’arte, secondo me addita una via importante e sempre attuale alla fruizione dell’arte, soprattutto nell’era della comunicazione virtuale e di massa.
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da Il Giornale dell'Arte numero 313, ottobre 2011