La dice lunga che solo 7 su 88 fondazioni sono nel Sud
Giovanni Puglisi (Caltanisetta 1945) è laureato in lettere, docente di Filosofia, a 34 anni è Preside della Facoltà di Scienze della Formazione dell'Università di Palermo.
Nel 1993 diventa titolare della Cattedra di Letterature Comparate nella Facoltà di Scienze della Formazione. Dal 2001 è Rettore della Libera Università di Lingue e Comunicazione IULM di Milano. È anche Presidente della Commissione Nazionale Italiana per l’UNESCO, di Civita Sicilia e della Fondazione Banco di Sicilia.
Professor Puglisi, qual è la sua personale lettura del ruolo attuale delle fondazioni?
Le fondazioni sono un oggetto strano. Nate per mettere al riparo i patrimoni accumulati nei lustri dalle banche, hanno faticato quasi vent’ anni per trovare un’ identità. Oggi cominciano a essere soggetti con ruoli rilevanti nei territori di insediamento, sia in termini di trasferimento di risorse aggiuntive, sia in termini di stabilità economica. Soprattutto le grandi fondazioni riescono a diventare partner privilegiati delle politiche territoriali locali e svolgono una funzione importante, di riferimento e di stabilità, nel sistema economico finanziario e bancario. Sono una garanzia. Forte influenza territoriale, ma azione prevalente su scala locale. Non coprono tutta la penisola. Delle 88 fondazioni di origine bancaria, soltanto 7 sono collocate nel Sud Italia. Questo la dice lunga sulla divaricazione economico-finanziaria del Paese. Le fondazioni sono l’espressione contemporanea dell’accumulazione della ricchezza nel tempo delle banche di origine. Più vivace era l’attività economica, più forte era il tessuto bancario. Ne discende la concentrazione delle fondazioni nel centro-nord. Tra le 7 fondazioni, le due più grandi, quella che presiedo e il Banco di Napoli, sono eredi di una nobilissima tradizione bancaria. Entrambi battevano moneta pur essendo collocate in un territorio che aveva una struttura e un’infrastruttura economica molto debole.
Andando all’isola, quale confronto avete con gli enti? Sulle politiche culturali nello specifico, dato anche il suo ruolo di consulente per il Presidente della Regione?
La Sicilia è una regione difficile, sia per la sua tradizione culturale - quindi per una sua innata abitudine a essere sempre diffidente verso qualunque novità (ed è un territorio che risente ancora più di altri di un disagio economico strutturale), che in parte discende dalla sua posizione geografica. Se in alcuni momenti della sua storia è stata un privilegio, oggi è una posizione difficile, come vediamo dall’ approdo di migliaia e migliaia di esuli. Quest’ ultima vicenda aumenta la complessità, per la Fondazione e gli enti territoriali, di pensare allo sviluppo. Abbiamo comunque aree d’ intervento comuni chiare, definite, con un impegno programmatico e progettualità che coinvolgono più territori: verso i beni culturali, la ricerca scientifica, lo sviluppo sostenibile, l’ambiente. Il Presidente della Regione, a ottobre dello scorso anno, mi ha chiesto di guidare una commissione di studio - sul modello della francese Attali - per individuare buone pratiche nelle diverse aree di sviluppo della Regione Sicilia da indicare al governo e al parlamento regionale. La commissione è operativa e nel giro di qualche mese avremo i risultati che saranno un’eccellente base di ripartenza del territorio, che coinvolgerà i diversi protagonisti, tra cui la Fondazione. Ritengo fondamentale lavorare con una programmazione pluriennale, quanto meno triennale. Non sono un fanatico delle programmazioni fine a se stesse, perché abbiamo assistito tutti al crollo, al fallimento delle programmazioni pluriennali delle repubbliche socialiste sovietiche. Ma non possiamo che avere una visione pluriennale, legata al tema dello sviluppo, con strategia, priorità e copertura finanziaria. Altrimenti è un libro dei sogni. Occorrono impronte concrete e operative.
Quali sono gli assi culturali fondamentali sui quali si gioca il futuro della Regione?
La Sicilia è un grande bacino di risorse. Ha il più grande parco archeologico del mondo, da Selinunte ad Agrigento. Villa del Casale a Piazza Armerina è il più frequentato sito archeologico dopo Pompei. Un patrimonio diffuso che va da Segesta a Eraclea Minoa per arrivare fino a Pantalica, recentemente riconosciuta, con il centro storico di Siracusa, Patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO. Questa caratterizzazione ha portato la Fondazione Banco di Sicilia a essere un forziere di reperti: oltre 4.000 dei quali esposti circa solo 800. Li accoglieremo tutti in Palazzo Branciforte che stiamo restaurando nel centro storico di Palermo sotto la guida di Gae Aulenti, un intervento che per restauro e recupero ar- chitettonico supererà i 15 milioni di euro.
E poi il Barocco, riconosciuto, sempre dall’UNESCO. Pensi a un gioiello come la cattedrale di Noto e molti altri, purtroppo spesso chiusi come la chiesa di Santa Caterina da Siena in piazza Pretoria a Palermo, annessa al convento di suore di clausura. E ancora l’arte medievale e moderna. Non dimentichiamo il tessuto di relazioni culturali che intrecciano naturale e costruito e fanno di alcuni angoli della Sicilia - dalla riserva dello Zingaro a Capo Passero, a Taormina - siti unici al mondo di bellezze naturali incastonate in contesti architettonici. E ancora i teatri greci di Taormina e Siracusa. Questo è l’asset più significativo dell’economia siciliana. Peccato non sia ancora percepito in modo forte nelle priorità politiche dell’isola e sia sentito come un momento di elevazione culturale e non produttivo.
Comporta un grande impegno nella conservazione oltre che nella valorizzazione.
I due aspetti sono connessi. Per valorizzazione intendiamo conservazione, formazione professionale, infrastrutture che rendono il sistema di riferimento dei beni culturali raggiungibile e fruibile: viabilità, accoglienza, ristorazione. Oggi chi va alla Villa del Casale, non dovrebbe pagare il biglietto, perché per essere raggiunta richiede un atto di eroismo e non ha strutture di accoglienza. Quando si parla di beni culturali bisognerebbe puntare sulle infrastrutture fisse e mobili che li rendano utilizzabili, «patrimonio dell’umanità» per qualunque individuo da qualunque parte del mondo provenga. Se non ci sono, la cultura è museo e i musei, se non sono vitalizzati dal pubblico, sono tombe.
Quale obiettivo si pone con Palazzo Branciforte, oltre alla pubblica fruizione della vostra importante collezione?
Oltre all’archeologia ci saranno tutte le altre collezioni della Fondazione: le maioliche, i francobolli, le monete. Ristruttureremo l’attuale sede della Fondazione a Villa Zito per una funzione di galleria di arte moderna, soprattutto siciliana. Oggi abbiamo riportato a Palermo le opere d’arte che erano sparse in Italia e nel mondo nelle agenzie dell’allora Banco di Sicilia. Abbiamo ricostruito un patrimonio enorme, eccezionale, non solo di autori siciliani. Abbiamo Chagall, Salvator Rosa, uno splendido giovanetto in bronzo di Antonio Canova. Non è solo ciò che la Fondazione possiede a renderla preziosa per l’isola. È il rapporto di collaborazione con le istituzioni. Per questo, con Gianfranco Imperatori, sono stato promotore di Civita Sicilia, una società a responsabilità limitata costituita fra Civita Servizi, UniCredit e la nostra Fondazione per valorizzare, in termini anche economici, i beni culturali. È uno strumento che offriamo alla Regione, ai comuni e alle province che vogliono avvalersene. Purtroppo la difficoltà di far decollare Civita Sicilia sta nell’indolenza e nell’incapacità politica delle autorità territoriali di mettere in moto la macchina dei bandi per poter concorrere per la migliore valorizzazione dei beni culturali. Credo sia immorale che la gestione dei beni culturali sia affidata in trascinamenti obsoleti, fuori da ogni dimensione reale. Il rinnovo attraverso gare sarebbe vitale.
Il Distretto culturale di Palermo è ancora operativo?
È stata un’azione importante promossa dalla Fondazione Cariplo, che ha coinvolto un’area che comprende la galleria d’arte moderna e soprattutto il tessuto urbano connesso a quell’area. L’esperienza è positiva, speriamo di riuscire a vedere presto i risultati.
Siete una delle poche realtà che ha mantenuto la stabilità nelle erogazioni, soprattutto sul fronte culturale. Quale politica di intervento avete attuato?
Abbiamo intelligentemente gestito la diminuzione delle entrate derivata dalla contrazione dei dividendi, selezionando con rigore gli interventi per evitare trasferimenti di risorse a quello che chiamo il «terziario» della cultura. Purtroppo in Sicilia - anche se il «vizietto» è molto diffuso anche nel resto d’Italia - esiste una tendenza da parte di soggetti privati, spesso anche veri e propri «nuclei familiari» a monopolizzare le risorse pubbliche destinate alle attività culturali, come fonte di reddito per la sopravvivenza, sviluppando progetti di iniziative pseudoculturali. Credo, invece, che i beni culturali debbano diventare un volano vero e proprio di benessere diffuso, che spinge in modo efficace verso una crescita complessiva del territorio, a vantaggio sia dell’economia pubblica, che dell’impresa privata.
Quale futuro per i giovani?
Verso i giovani migliori, che Guzzetti chiama il «capitale umano d’eccellenza», stiamo investendo molto, maturando alcune buone pratiche. Con il Consorzio Icon, per lo studio della lingua e della cultura italiana nel mondo, abbiamo varato un programma di borse di studio per incentivare lo studio della nostra lingua e abbiamo anche offerto borse per giovani siciliani che vogliono studiare in università italiane e straniere e, viceversa, per coloro che vogliono venire a studiare in Sicilia. Con l’ISMETT, grande struttura di ricerca nel campo delle biotecnologie, che ha sede a Palermo (gemellata con l’Università di Pittsburgh in USA) abbiamo stipulato un accordo che prevede la contrattualizzazione presso l’ISMETT dei borsisti, che la Fondazione sostiene nel periodo di formazione all’estero, per un periodo pari alla durata della borsa di studio: ciò al fine di evitare che costoro vengano tentati dal desiderio di rimanere dove hanno studiato, incoraggiando «la fuga dei cervelli». Credo che oggi il vero dramma dell’Italia, soprattutto della Sicilia, sia quello di ritenere che fra le prime priorità politiche ci siano soltanto la sicurezza, la previdenza, la salute. Bisogni primari, sacrosanti.
Io sogno, comunque, caparbiamente, che un qualunque governo, nazionale, regionale, locale, si ponga altri due priorità: primo la valorizzazione della cultura, secondo, soprattutto, la valorizzazione dei giovani che possono essere un grande serbatoio proprio per la cultura.
❑ Giovanni Puglisi Rettore Università IULM di Milano e Presidente Fondazione Banco di Sicilia dal 2005
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(X Rapporto Annuale Fondazioni)