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Pretendere il piacere vero

  • Pubblicato il: 15/11/2018 - 08:06
Autore/i: 
Rubrica: 
OPINIONI E CONVERSAZIONI
Articolo a cura di: 
Paolo Castelnovi
Un predicozzo ai giovani, il nuovo proletariato che non ha da perdere che le proprie incertezze, che può (deve) ribellarsi a quanti, accampati come i pecorai nella Roma di Piranesi, governano senza idee un paese sempre più indebitato e sempre meno disponibile a qualificare il futuro usando le proprie radici culturali.
Ma perché quelli che sono messi peggio sono quelli che protestano meno? Di questi tempi non hanno voce i 30 milioni (metà del Paese) che hanno meno di 30 anni o che sono loro genitori. Non si accorgono che stanno perdendo la possibilità di vivere al meglio il futuro?
Come mai non gridate: voglio sapere quali effetti avranno le politiche proposte da chi comanda tra 10, 20 e 30 anni?
Perché non capite che qui comanda qualche milione di maschi bianchi, abituati a non fare i conti con i soldi che hanno, che si propongono di continuare a vivere (male) sopra le proprie disponibilità, facendo pagare questo lusso di oggi a voi, adulti del 2040?
Perché non ricordate l’abc delle regole borghesi: guardare bene ai lati quando si attraversa, non accettare caramelle dagli sconosciuti, non prendere mai niente a debito e, se si prende, saldare immediatamente…. perché non vi indignate dei padri che vi fanno vivere in mano agli usurai e non gli dite in faccia che quando lo strozzo si alza (lo spread) non dipende dall’usuraio (è ovvio, è la sua parte in copione) ma da chi va a chiedergli soldi, pur non avendone assoluto bisogno?
 
Ma non è una questione solo economica: c’entrano le scelte di vita fondamentali.
Infatti è comprensibile che noi adulti non ci pentiamo dell’egoismo e dell’accidia, di esserci impegnati poco e male per il bene del Paese e di aver vissuto più in grande del nostro portafoglio, ma è incredibile che anche voi giovani, che evidentemente non avrete quelle possibilità, non vi orientiate diversamente.
Perché prevale il tirare a campare? Perché il motto del ’68 “siate realisti: chiedete l’impossibile” oggi si declina nella richiesta di avere una paghetta permanente? E quando tra due, tre anni, un ragioniere cattivo dirà: “non ci sono più i soldi, basta paghetta”, voi che farete? Pesterete i piedi per terra?
Perché non pretendete che si premi il lavoro che si fa non solo per avere una paga ma per partecipare a un’impresa per il bene comune? Perché non rivendicate il diritto di provarvi nel lavoro più nobile e utile senza essere ostacolati, senza sentirvi di serie B, senza che vi si dica, sotto sotto:  tanto voi lavorate per piacere e quindi cosa volete di più?
Perché, conoscendo il mondo digitale, credete a quelli che dicono. contro ogni evidenza, che ci saranno posti di lavoro uguali a quelli dei vostri padri che vanno in pensione presto “per farvi posto”? Perché fingete di non capire che l’Italia è vissuta per 70 anni di piccola impresa, quasi di lavoro artigiano, di impiegati in termini e competenze che ora non hanno più spazio, non essendosi mai evolute e aggiornate?
E tra 10 anni come farete se non vi inventate nuove competenze da farvi pagare con il nuovo lavoro?  Perché non gridate che non volete lavori da schiavi, per paghe da schiavi, e volete usare la vostra eredità senza venderla, che volete mettere a frutto il patrimonio di 50 generazioni, quello che non è ancora stato venduto dai vostri padri?
 
Perché rinunciate ad attrezzarvi per uno spazio economico e di conoscenza adatto a voi e a viverlo qui, nei prossimi 30 anni, quando questo Paese sarà definitivamente casa vostra? E perché invece accettate di studiare materie a caso per farvi buttare fuori, a trovar lavoro in un’Europa spietata e indigeribile non solo perché è fredda nei comportamenti, ma perché è incapace di reazione, di sentimenti forse irrazionali ma potenti e motivanti davanti ai grandi cambiamenti?
Perché non vedete quanto è incapace di progettare in modo utile chi vi caccia all’estero dove sarete sfruttati per il vostro sapere, formato in questa vituperata scuola che nessuno vuole finanziare ma che ancora rende nel mondo?
 
Perché in questi anni, in cui ogni sapere è accessibile gratuitamente, ogni ricerca circola, ogni connessione tra idee è disponibile, non usate neanche un milionesimo di questa immensa opportunità e chiedete che la scuola venga facilitata, l’accesso alle risorse facilitato, i diritti facilitati quando è evidente che la realtà è sempre più complessa e le pappe  facilitate non vi danno competenze e forza per affrontarla?
Perché non insorgete chiedendo di affrontare le complessità, le realtà, e non versioni fasulle della realtà, favole piene di orchi e di principesse, adatte solo per addormentarsi impauriti e aspettare il dolcetto premio per aver votato l’imbonitore di turno?
Perché cercate di non esercitare la memoria, che vi consentirebbe di riconoscere e forse evitare errori fatti non 100 ma 10 o 20 anni fa, che tutti noi vecchi abbiamo vissuto e che facciamo di tutto per rimuovere e non analizzare?  Noi siamo vigliacchi, ma voi siete masochisti, che è peggio.
Perché non cercate di capire le radici dei nostri sbagli e accettate di vivere in un Paese dove ci comportiamo come se non fosse capitato a noi di votare, sempre in nome del Cambiamento, per governi che hanno raddoppiato il debito in 10 anni  (Craxi e democristiani), per governi che ci hanno portato allo spread insostenibile (Berlusconi), per governi che pur di non entrare del merito della giusta mercede, pur di non toccare in modo differenziato i patrimoni, hanno via via penalizzato sempre più il lavoro utile e lasciate intatte tutte le rendite, buone e cattive (ultimi PD).
 
Ma andiamo al nocciolo. Perché, pur pensando bene all’ambiente e all’accoglienza, no alla guerra e pochi sprechi, non avete più il gusto di aiutare gli altri e vi sfiancate alla ricerca di piaceri personali che sempre meno trovate?
Perché vi allontanate dalla curiosità della vita vera, dal brivido del progetto in cui sporcarsi le mani con gli ideali mescolati alle condizioni operative reali, e vi rifugiate in spazi virtuali dove avete sempre ragione, mai una riflessione, sempre un mito da imitare e un nemico da combattere ottusamente, a prescindere?
Ma dove è il piacere? È quello dei paurosi della realtà, che vogliono falsificazioni ad usum delphini, rappresentazioni manichee, giochi gladiatori, puttane, droghe?
E il piacere della prova di sé a favore degli altri, dell’avventura di fare ciò che i padri non sono stati capaci di fare, del cavarsela con un gruppo di amici, dell’amore forte e progettuale, dell’impresa di fare figli a cui dare strumenti per un futuro libero e grintoso?
Pretendete quel piacere: è l’unico che vale la pena.
Quando lo si è provato non conta più nulla dei pochi soldi, delle palle che ci raccontano, dei palliativi digitali, dei nemici virtuali: conta la vita, la realtà e l’impresa di muoversi assieme ad altri compagni di avventura, conta la forza, il coraggio, il progetto per raggiungere un obiettivo NOSTRO.
 
Oggi in Italia lo spazio dove esercitare forza e coraggio si chiama Cultura. E’ un gigantesco deposito di rovine piranesiane che darebbe le vertigini a milioni di studiosi. Come nella Roma di Piranesi le figure stremate e ciondoloni sotto gli archi e le colonne, oggi la nostra cultura è presidiata dai rottami di uno sfruttamento rozzo e superato, che potrete spazzare facilmente se proporrete un nuovo paradigma convincente e sostenibile. E’ una risorsa primaria riconosciuta a parole da tutti e coltivata da nessuno, smisurata, un giacimento che attende solo chi sappia utilizzarlo. E’ qui, intorno a noi: è la spada nella roccia, a disposizione di chi voglia estrarla. Ma attenzione, lo potrà fare solo chi la voglia utilizzare per il bene comune, senza buttarla via, lasciandola meglio di prima ai suoi figli.
Per una volta ha senso dire: prima gli italiani (giovani, quelli che ci credono). Sì, perché voi, se credete nella nostra cultura, partite avvantaggiati dal sapere diffuso che respirate ogni giorno, dai paesaggi intorno, da ciò che potete studiare a portata di mano: per voi sarà più facile e più appagante di quanto possiate immaginare.
 
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