L’occupazione culturale in Europa. Potenziale e paradossi dell’economia creativa
Autore/i:
Rubrica:
STUDI E RICERCHE
Articolo a cura di:
Valentina Montalto
Conferenze, studi e rapporti che analizzano e promuovono l’investimento in cultura e creatività sono ormai all’ordine del giorno. In effetti, i settori culturali e creativi - dalle arti visive, al teatro, al cinema, al design e all’architettura, per citarne alcuni - contribuiscono alla nostra economia, non solo in termini di incidenza sul PIL (probabilmente sottostimata) ma anche per il loro dinamismo e resilienza. L’occupazione culturale è infatti cresciuta dello 0,7% tra il 2008 e il 2011, anni di profonda crisi. Può sembrare poco, ma è un andamento opposto a quello registrato nel resto dell’economia negli stessi anni (-1,4%) (fonte: Eurostat). Eppure, le condizioni di lavoro tipiche di questi settori mostrano un quadro meno roseo. « Fare l’artista » oggi significa ancora essere esposti alla precarietà lavorativa, più che in altri lavori. Probabilmente questo non stupirà nessuno, ma solo recentemente abbiamo avuto i primi dati a livello europeo che confermano quest’intuizione e permettono di studiarne le sfaccettature.
Secondo i dati Eurostat, la percentuale di lavoratori autonomi nei 28 paesi UE è notevolmente più elevata nell’occupazione culturale[1] (32%) rispetto a quella riportata nel totale dell’impiego (15%). La differenza è particolarmente marcata in alcuni paesi, come la Repubblica Ceca (36% contro il 17%), il Regno Unito (37% contro il 15%), Cipro (38% contro il 13%) e l’Olanda (46% contro il 16%). In Italia, i lavoratori autonomi nell’occupazione culturale sono il doppio, in termini percentuali (46%), rispetto agli autonomi rilevati nell’occupazione totale (23%) (Figura 1).
Figura 1 – Lavoratori autonomi nell’occupazione culturale e nel totale dell’impiego – Fonte: Eurostat-LFS, 2016.
La quota di autonomi tra artisti e scrittori – categoria occupazionale per cui Eurostat fornisce il dato disaggregato - sale al 48% nell’UE a dimostrazione del fatto che le tipologie di lavoro « flessibile » sono particolarmente diffuse per queste professioni. La differenza sostanziale, però, è in gran parte dovuta al peso di paesi come l'Italia e l’Olanda (dove il lavoro autonomo raggiunge il 64% per artisti e scrittori) e il Regno Unito (61%), mentre in altri paesi come Danimarca, Grecia, Lussemburgo ed Estonia il lavoro autonomo tra artisti e scrittori rappresenta meno del 30%. La Grecia, per altro, è l'unico paese UE in cui la quota di lavoro autonomo nella popolazione lavorativa totale (30%, la più alta in Europa) si trova al di sopra della quota osservata tra artisti e scrittori (25%) (Figura 2).
Figura 2 - Lavoratori autonomi tra artisti e scrittori e nel totale dell’impiego – Fonte: Eurostat-LFS, 2016.
Il tempo trascorso al lavoro è un altro fattore importante per capire la posizione del lavoratore nel mercato del lavoro e dedurne la situazione finanziaria. L'impiego a tempo pieno gode infatti di benefici che in genere non sono offerti ai lavoratori part-time. Nell’UE, la percentuale dei dipendenti che lavora a tempo pieno è, come ci si poteva aspettare, più elevata (80%) rispetto a quella rilevata tra le persone con un’occupazione culturale (76%) (Figura 3). L’Italia, è l’unico paese in cui la percentuale di dipendenti a tempo pieno (81%) è la stessa nell’occupazione culturale e non, forse segnale di un generale allineamento (peggioramento?) delle condizioni di lavoro in tutte le occupazioni. In rari casi - Belgio, Regno Unito e Romania - la quota di dipendenti a tempo pieno è leggermente più elevata per il comparto culturale rispetto al totale dell’impiego.
Figura 3 - Lavoro a tempo pieno nell’occupazione culturale e nel totale dell’impiego – Fonte: Eurostat-LFS, 2016.
In generale, le differenze tra le quote di lavoratori a tempo pieno nell’occupazione culturale e nell’impiego totale non sono elevatissime, ma bisogna pur sempre considerare che queste quote si riferiscono soltanto ai lavoratori dipendenti, da cui bisogna dunque sottrarre la percentuale di lavoratori autonomi di cui si diceva prima e che è molto più elevata per il comparto culturale. Inoltre, l’occupazione culturale, secondo la definizione proposta, include anche occupati « non-culturali » che lavorano in settori culturali (vedi nota 1), tra cui il lavoro a tempo pieno potrebbe essere la norma.
Le specificità dell’occupazione culturale emergono infatti più chiaramente quando ci si focalizza su artisti e scrittori, tra cui soltanto il 71% dichiara di avere un lavoro a tempo pieno (Figura 4). In alcuni casi, la differenza è molto grande, come in Lettonia (69% degli artisti e scrittori a tempo pieno, contro il 91% dell'occupazione complessiva) o in Finlandia (66% contro l'84% dell'occupazione complessiva). L'Olanda è l'unico paese dell'UE in cui meno della metà degli artisti e degli scrittori lavora a tempo pieno (48%). Il lavoro part-time è infatti una caratteristica tipica del mercato del lavoro olandese. I paesi in cui la percentuale di artisti e scrittori con un lavoro a tempo pieno è più elevata rispetto a quella della forza lavoro totale sono di nuovo rari (Estonia, Lussemburgo e Romania).
Figura 4 - Lavoro a tempo pieno tra artisti e scrittori e nel totale dell’impiego – Fonte: Eurostat-LFS, 2016.
Infine, la Figura 5 e la Figura 6 riguardano la percentuale di persone occupate con un solo lavoro. In tutta l'UE, il 96% delle persone occupate svolge un solo lavoro, mentre la percentuale è del 93% per le persone con un’occupazione culturale e dell'89% per artisti e scrittori. Con l’eccezione di Cipro e della Romania, gli artisti e gli scrittori sono meno propensi degli altri lavoratori ad avere un solo lavoro, probabilmente per la necessità di compensare retribuzioni basse o un numero di ore lavorate inadeguato. Le maggiori differenze si registrano in Estonia (dove solo il 77% degli artisti e degli scrittori ha un solo lavoro, contro il 95% dell'intera forza lavoro) e in Francia (79%, rispetto al 95%).
Figura 5 – Dipendenti con un solo lavoro nell’occupazione culturale e nel totale dell’impiego – Fonte: Eurostat-LFS, 2016.
Figura 6 - Dipendenti con un solo lavoro tra artisti e scrittori e nel totale dell’impiego – Fonte: Eurostat-LFS, 2016.
La discussione su un tema complesso e di estrema d’attualità come quello dell’occupazione e, in particolare, dell’occupazione « flessibile », impone almeno un paio di riflessioni.
Da un lato, è senz’altro molto positivo che l’UE vi abbia dato attenzione pubblicando degli indicatori più dettagliati sull’occupazione culturale. Una politica europea di sviluppo, innovazione e crescita che vuole puntare (anche) sulla cultura non può infatti prescindere da una conoscenza del mercato del lavoro culturale. Questi dati fanno per altro seguito a delle nuove statistiche sull’impiego culturale pubblicate qualche mese fa dallo UNESCO[2] Statistical Institute (UIS), segno che il tema sia ormai diventato oggetto di attenzione a livello globale e non solo europeo.
Dall’altro, il fatto che l’occupazione culturale sembri godere di minori benefici rispetto al resto dell’occupazione, suggerisce un ripensamento non tanto dei modelli occupazionali quanto degli stessi modelli di welfare in una logica di superamento dei modelli standard basati su lavoro subordinato e datore di lavoro unico. Non si può infatti pensare di investire in un settore i cui ritorni economici restano nelle mani di grandi colossi che non necessariamente investono nella produzione culturale. A lungo andare, questa situazione potrebbe ridurre la capacità della cultura di produrre valore, perché verrebbe a mancare la « materia prima » su cui vorremmo si fondassero le economie moderne: cultura, saperi e creatività – elementi che stanno alla base dell’attività di artisti e creativi. Ma c’è di più: non è in ballo soltanto « l’economia della cultura » ma la nostra economia tout court. Se certe condizioni di lavoro sono state finora tipiche del mondo della cultura, è sotto gli occhi di tutti che queste caratteristiche si stanno estendendo a moltissime altre occupazioni.
La cooperativa SMart – presente in diversi paesi, tra cui l’Italia (SMartIt) - sta sperimentando un sistema di welfare alternativo, svolgendo una funzione di assistenza mutualistica agli artisti e incaricandosi così di dare continuità contributiva. Ma, alla luce di un mondo del lavoro che cambia, la domanda che dovremmo porci è probabilmente più ampia: può il lavoro culturale ispirare nuovi sistemi di welfare - flessibili ma sostenibili? La risposta è meno utopica di quanto potrebbe sembrare: le professioni culturali e creative stanno diventando un riferimento per pensare il nuovo mondo del lavoro. In Italia, per esempio, l’ex senatore Pietro Ichino ha proposto il modello SMArt per regolare la gig economy creando delle cosiddette umbrella company per organizzare lavoratori formalmente autonomi, ma deboli. La partita si è appena aperta ed è ancora tutta da giocare.
© Riproduzione riservata
Figura 1 – Lavoratori autonomi nell’occupazione culturale e nel totale dell’impiego – Fonte: Eurostat-LFS, 2016.
La quota di autonomi tra artisti e scrittori – categoria occupazionale per cui Eurostat fornisce il dato disaggregato - sale al 48% nell’UE a dimostrazione del fatto che le tipologie di lavoro « flessibile » sono particolarmente diffuse per queste professioni. La differenza sostanziale, però, è in gran parte dovuta al peso di paesi come l'Italia e l’Olanda (dove il lavoro autonomo raggiunge il 64% per artisti e scrittori) e il Regno Unito (61%), mentre in altri paesi come Danimarca, Grecia, Lussemburgo ed Estonia il lavoro autonomo tra artisti e scrittori rappresenta meno del 30%. La Grecia, per altro, è l'unico paese UE in cui la quota di lavoro autonomo nella popolazione lavorativa totale (30%, la più alta in Europa) si trova al di sopra della quota osservata tra artisti e scrittori (25%) (Figura 2).
Figura 2 - Lavoratori autonomi tra artisti e scrittori e nel totale dell’impiego – Fonte: Eurostat-LFS, 2016.
Il tempo trascorso al lavoro è un altro fattore importante per capire la posizione del lavoratore nel mercato del lavoro e dedurne la situazione finanziaria. L'impiego a tempo pieno gode infatti di benefici che in genere non sono offerti ai lavoratori part-time. Nell’UE, la percentuale dei dipendenti che lavora a tempo pieno è, come ci si poteva aspettare, più elevata (80%) rispetto a quella rilevata tra le persone con un’occupazione culturale (76%) (Figura 3). L’Italia, è l’unico paese in cui la percentuale di dipendenti a tempo pieno (81%) è la stessa nell’occupazione culturale e non, forse segnale di un generale allineamento (peggioramento?) delle condizioni di lavoro in tutte le occupazioni. In rari casi - Belgio, Regno Unito e Romania - la quota di dipendenti a tempo pieno è leggermente più elevata per il comparto culturale rispetto al totale dell’impiego.
Figura 3 - Lavoro a tempo pieno nell’occupazione culturale e nel totale dell’impiego – Fonte: Eurostat-LFS, 2016.
In generale, le differenze tra le quote di lavoratori a tempo pieno nell’occupazione culturale e nell’impiego totale non sono elevatissime, ma bisogna pur sempre considerare che queste quote si riferiscono soltanto ai lavoratori dipendenti, da cui bisogna dunque sottrarre la percentuale di lavoratori autonomi di cui si diceva prima e che è molto più elevata per il comparto culturale. Inoltre, l’occupazione culturale, secondo la definizione proposta, include anche occupati « non-culturali » che lavorano in settori culturali (vedi nota 1), tra cui il lavoro a tempo pieno potrebbe essere la norma.
Le specificità dell’occupazione culturale emergono infatti più chiaramente quando ci si focalizza su artisti e scrittori, tra cui soltanto il 71% dichiara di avere un lavoro a tempo pieno (Figura 4). In alcuni casi, la differenza è molto grande, come in Lettonia (69% degli artisti e scrittori a tempo pieno, contro il 91% dell'occupazione complessiva) o in Finlandia (66% contro l'84% dell'occupazione complessiva). L'Olanda è l'unico paese dell'UE in cui meno della metà degli artisti e degli scrittori lavora a tempo pieno (48%). Il lavoro part-time è infatti una caratteristica tipica del mercato del lavoro olandese. I paesi in cui la percentuale di artisti e scrittori con un lavoro a tempo pieno è più elevata rispetto a quella della forza lavoro totale sono di nuovo rari (Estonia, Lussemburgo e Romania).
Figura 4 - Lavoro a tempo pieno tra artisti e scrittori e nel totale dell’impiego – Fonte: Eurostat-LFS, 2016.
Infine, la Figura 5 e la Figura 6 riguardano la percentuale di persone occupate con un solo lavoro. In tutta l'UE, il 96% delle persone occupate svolge un solo lavoro, mentre la percentuale è del 93% per le persone con un’occupazione culturale e dell'89% per artisti e scrittori. Con l’eccezione di Cipro e della Romania, gli artisti e gli scrittori sono meno propensi degli altri lavoratori ad avere un solo lavoro, probabilmente per la necessità di compensare retribuzioni basse o un numero di ore lavorate inadeguato. Le maggiori differenze si registrano in Estonia (dove solo il 77% degli artisti e degli scrittori ha un solo lavoro, contro il 95% dell'intera forza lavoro) e in Francia (79%, rispetto al 95%).
Figura 5 – Dipendenti con un solo lavoro nell’occupazione culturale e nel totale dell’impiego – Fonte: Eurostat-LFS, 2016.
Figura 6 - Dipendenti con un solo lavoro tra artisti e scrittori e nel totale dell’impiego – Fonte: Eurostat-LFS, 2016.
La discussione su un tema complesso e di estrema d’attualità come quello dell’occupazione e, in particolare, dell’occupazione « flessibile », impone almeno un paio di riflessioni.
Da un lato, è senz’altro molto positivo che l’UE vi abbia dato attenzione pubblicando degli indicatori più dettagliati sull’occupazione culturale. Una politica europea di sviluppo, innovazione e crescita che vuole puntare (anche) sulla cultura non può infatti prescindere da una conoscenza del mercato del lavoro culturale. Questi dati fanno per altro seguito a delle nuove statistiche sull’impiego culturale pubblicate qualche mese fa dallo UNESCO[2] Statistical Institute (UIS), segno che il tema sia ormai diventato oggetto di attenzione a livello globale e non solo europeo.
Dall’altro, il fatto che l’occupazione culturale sembri godere di minori benefici rispetto al resto dell’occupazione, suggerisce un ripensamento non tanto dei modelli occupazionali quanto degli stessi modelli di welfare in una logica di superamento dei modelli standard basati su lavoro subordinato e datore di lavoro unico. Non si può infatti pensare di investire in un settore i cui ritorni economici restano nelle mani di grandi colossi che non necessariamente investono nella produzione culturale. A lungo andare, questa situazione potrebbe ridurre la capacità della cultura di produrre valore, perché verrebbe a mancare la « materia prima » su cui vorremmo si fondassero le economie moderne: cultura, saperi e creatività – elementi che stanno alla base dell’attività di artisti e creativi. Ma c’è di più: non è in ballo soltanto « l’economia della cultura » ma la nostra economia tout court. Se certe condizioni di lavoro sono state finora tipiche del mondo della cultura, è sotto gli occhi di tutti che queste caratteristiche si stanno estendendo a moltissime altre occupazioni.
La cooperativa SMart – presente in diversi paesi, tra cui l’Italia (SMartIt) - sta sperimentando un sistema di welfare alternativo, svolgendo una funzione di assistenza mutualistica agli artisti e incaricandosi così di dare continuità contributiva. Ma, alla luce di un mondo del lavoro che cambia, la domanda che dovremmo porci è probabilmente più ampia: può il lavoro culturale ispirare nuovi sistemi di welfare - flessibili ma sostenibili? La risposta è meno utopica di quanto potrebbe sembrare: le professioni culturali e creative stanno diventando un riferimento per pensare il nuovo mondo del lavoro. In Italia, per esempio, l’ex senatore Pietro Ichino ha proposto il modello SMArt per regolare la gig economy creando delle cosiddette umbrella company per organizzare lavoratori formalmente autonomi, ma deboli. La partita si è appena aperta ed è ancora tutta da giocare.
© Riproduzione riservata
[1] Secondo la metodologia definita dallo European Statistical System Network on Culture (ESSnet-Culture) nel 2012, l'occupazione culturale include tre tipi di occupati:
- persone che detenono un'occupazione culturale e lavorano nel settore culturale (ad esempio una ballerina impiegata da una compagnia di balletto o un giornalista che lavora per un quotidiano);
- persone che detengono un'occupazione culturale al di fuori del settore culturale (ad esempio un designer nell'industria automobilistica);
- persone che detengono un'occupazione non culturale nel settore culturale (ad esempio un contabile in una casa editrice).
Le occupazioni considerate culturali » sono quelle identificate dai seguenti codici ISCO (International Standard Classification of Occupations): 216 Architetti, progettisti, geometri e designer, 2353 Altri insegnanti di lingue, 2354 Altri insegnanti di musica, 2355 Altri insegnanti d'arte, 262 Bibliotecari, archivisti e curatori, 264 Autori, giornalisti e linguisti, 265 Specialisti in discipline artistico-espressive, 3431 Fotografi, 3432 Designer di interni e decoratori, 3433 Tecnici di gallerie, musei e biblioteche 3435, Altre professioni tecniche dei servizi ricreativi e culturali, 3521 Tecnici della trasmissione radiotelevisiva e degli apparati audio-video, 4411 Addetti a biblioteche, 7312 Addetti alla costruzione e all’accordatura di strumenti musicali, 7313 Gioiellieri e orafi, 7314 Vasai e assimilati, 7315 Soffiatori, tagliatori, molatori e levigatori di vetro, 7316 Pittori di insegne, decoratori, incisori e acquafortisti, 7317 Artigiani delle lavorazioni del legno, delle ceste e dei materiali affini, 7318 Artigiani delle lavorazioni dei tessili, del cuoio e simili, 7319 Artigiani non classificati altrove.
[2] L’UNESCO usa però una definizione più ampia di cultura rispetto ad Eurostat, da un punto di vista sia occupazionale che settoriale. Per maggiori dettagli: UIS. (2015). INSTRUCTION MANUAL - Survey of Cultural Employment Statistics. Montreal.
http://uis.unesco.org/sites/default/files/documents/uis_clt_ce_manual_2015_0.pdf
http://uis.unesco.org/sites/default/files/documents/uis_clt_ce_manual_2015_0.pdf