Si gioca, finalmente…
e penso che in futuro lo sarà”
Borges, Pierre Menard 2003
Dalle colonne del Giornale delle Fondazioni, nel settembre del 2016, pubblicai un articolo dal titolo “Le regole di un nuovo gioco possibile” in riferimento alla norma che istituiva, solo pochi mesi prima, nel nuovo Codice dei Contratti ed Appalti, la possibilità di attivare forme inedite di Partenariato speciale Pubblico-Privato (PSPP) per la valorizzazione del patrimonio culturale. Ne preludevo, nel suo significato etimologico di “giocare avanti”, il valore di norma aperta, flessibile, rispondente alla realtà del nostro tempo, nei processi di valorizzazione del patrimonio culturale diffuso e del patrimonio pubblico a finalità culturali e di innovazione sociale.
La negazione del valore d’uso per le Comunità nei contesti in cui questi beni si collocano, costituisce, a mio parere, una delle tante questioni strategiche nazionali, irrisolta dalla finzione di concepire il Valore dei Beni pubblici patrimoniali come solo valore economico-patrimoniale, così come recita una legge nazionale del 1998, che istituì il principio della “fruttuosità del patrimonio pubblico” (leggi alienazione del patrimonio, quasi sempre in verità svenduto, quando accaduta..) e come ha recitato la politica pubblica sul tema quindicennio successivo. Che ha generato molti fraintendimenti, freni e, in assoluto, ha compresso ogni possibilità di politiche pubbliche impattanti su quella “questione strategica” di così ampia rilevanza. Generando peraltro impossibilità manifesta persino a tutelare il valore patrimoniale dei beni, vista l’insostenibilità da parte dei Soggetti pubblici proprietari di provvedere correntemente alle manutenzioni ordinarie di tali beni.
Nei casi migliori, per giunta rari, arrampicandosi nelle maglie della normativa esistente e filtrati da quel principio falsificante (il cui fondamento illusorio era ripianare il debito pubblico ed ossigenare i ristretti bilanci degli enti locali)[2] si è proceduto con appalti di servizi, concessioni in gestione onerose, concessioni in comodato d’uso “precario” e limitato nel tempo. Un caso topico di quello che sicuramente è servito a poco per “riusare” i beni culturali “in senso stretto”, e i beni patrimoniali pubblici per finalità culturali, è quello delle Concessioni di Valorizzazione[3].
I pochi casi di rilievo, in cui Beni Culturali sono stati oggetto di importanti interventi di recupero, restauro e rifunzionalizzazione [4] da parte di privati, sono stati finalizzati, in virtù del “diritto esclusivo di sfruttamento economico del Bene per una durata sino a 50 anni” e della facoltà “assistita” di cambi di destinazione d’uso, a pure logiche di redditività degli investimenti programmati per le opere di recupero e restauro per farne resort di lusso, centri sportivi e centri benessere, ristoranti stellati. Una teoria, nemmeno tanto lunga – in virtù delle maggiori difficoltà ad intervenire su beni culturali storici e della inevitabile maggiore convenienza, in ossequio alle analisi di alternatività di impiego di risorse di investimento, a fare nuove costruzioni adibite alle stesse funzioni – di casi in cui si sono sostanzialmente “privatizzati” Beni Culturali negandoli alla fruizione pubblica per generazioni se non in quanto clienti delle attività core dei concessionari.
La scommessa decisiva per il nostro Paese, per affrontare la questione strategica di fondo massimizzandone gli impatti ed evitando azioni di policy da “fiore all’occhiello”[5] mentre il “grosso va in malora”, è invece riusare i Beni culturali per finalità esplicitamente culturali. Sia di tipo verticale (Teatro, Musica, Danza, arti figurative) che per farne centri di produzione di innovazione sociale e culturale. In entrambi i casi fortemente legati al contesto in cui tali beni ricadono e alle loro comunità.
Poiché le cose non accadono per caso, bisogna alimentare pratiche e costruire politiche pubbliche adeguate ed espressamente finalizzate a questo orientamento strategico di fondo: restituire valore d’uso culturale dei beni pubblici alle comunità a cui appartengono.
Per questo sono enormemente contento che a Bergamo si sia attivato il primo Partenariato Speciale Pubblico-Privato istituito ai sensi del terzo comma dell’art. 151 del nuovo codice dei contratti ed appalti pubblici[6], e che preliminarmente, il Mibact abbia consentito che anche i Comuni italiani e gli altri soggetti pubblici possano attivare direttamente tale possibilità sui beni culturali del proprio patrimonio disponibile.
Certo, il caso di Bergamo mette insieme una storica Compagnia di Teatro Contemporaneo come il Teatro Tascabile[7] (TTB), la cui reputazione e valore artistico e sociale non è solo nota in quel di Bergamo, ma travalica i confini dei sei continenti terracquei, e un’Amministrazione pubblica attenta, il Comune di Bergamo, sia nella parte politica-istituzionale che in quella amministrativa, a produrre innovazione e definire risposte avanzate su queste tematiche. Nel mezzo uno dei beni più rilevanti del patrimonio culturale cittadino: il Compendio dell’ex Convento del Carmine, stupefacente nella sua ricchezza architettonica e struggente nel suo abbandono quarantennale.
Il TTB ha abitato una piccola parte del Carmine negli ultimi 20 anni, con concessioni in uso precario, revocabile su richiesta del Comune. Una condizione di precarietà che non ha consentito investimenti, ma non ha impedito di produrre sensibilità e valore comunitari al luogo, manutenzione degli spazi concessi, come tutti i luoghi in cui ci si “abita”.
La proposta del TTB e la regolazione dei rapporti di partenariato con il Comune di Bergamo, frutto di un lungo, ma efficace tavolo negoziale, ricuce i problemi più rilevanti che si presentano nella valorizzazione del patrimonio culturale e, più complessivamente, del patrimonio pubblico a finalità culturali, in una unica cornice di soluzioni, ispirata a criteri di interesse generale, orientati a fare, nel tempo, del Carmine un centro integrato di produzione, distribuzione e consumo di Cultura e di Innovazione sociale e culturale, consolidando non solo le attività ed il valore culturale del TTB, ma aperto a terzi soggetti, selezionati dal Partenariato Speciale.
La concessione (di durata ventennale, rinnovabile per egual periodo) non è finalizzata allo sfruttamento economico esclusivo del TTB ma a perseguire il recupero dell’intero compendio in una logica in cui le parti, pubblica e privata, perseguono, nei rispettivi ruoli, l’identica finalità. Il Bene Culturale e la sua valorizzazione, ritornano al centro al posto, spesso, di servizi progettati ex ante e di difficile esecuzione. Non sono interessi contrapposti che mediano intorno al valore economico del bene. Pubblico e Privato possono e devono, finalmente, concorrere alle stesse finalità di interesse generale. E già questo, appare approccio inedito in Italia, ove è consuetudine separare ciò che è d’interesse pubblico, la cui competenza è per lo più riservata ai soggetti pubblici, da ciò che è privato e che, in quanto tale, non può che fare il proprio esclusivo interesse, come recita la norma sulle concessioni di valorizzazione.
Quello di Bergamo, offre una cornice integrata di soluzioni che riconosce la specificità degli attori culturali e dell’innovazione sociale. Una compagnia di Teatro non ha gli stessi fondi e lo stesso approccio “speculativo” di chi muove capitali nel settore della ristorazione o dell’ospitalità alberghiera. Per questo il piano di recupero non è preventivamente strutturato e procederà per fasi successive in relazione al sistema di risorse finanziare effettivamente finalizzabili a tale scopo, e si lascia tempo e spazio per le sperimentazioni e le correzioni di rotta senza pretendere piani di gestione di servizi pubblici o di interesse pubblico, ingessati in appalti di servizi o di concessione e gestione. La sostenibilità di un bene a finalità culturali non è un piano di “gestione caratteristica” delle attività del concessionario che ne dimostri la redditività[8]. Ma è prima ancora sostenibilità culturale, come garanzia della centralità del valore del Bene nel lungo periodo per la società locale, è sociale, come mantenimento di una funzione sociale identitaria, per la popolazione, tale da riconoscerne il valore, economica, come contributo diretto o indiretto allo sviluppo locale: è, in fin dei conti, la capacità di generare e consolidare nuove reti di relazioni, nel contesto locale e verso l’”esterno”, cioè forme inedite di collaborazione, attenzione e cura del Bene Culturale, crescita dell’esperienza della Comunità a cui il Bene appartiene, in quanto bene pubblico, opportunità di attrazione e ri-produzione di fenomeni culturali, sociali ed economici positivi .
Il Tavolo tecnico del Partenariato Speciale, che ne costituisce il modello di governance, concentra su di sé la direzione del processo di valorizzazione, con un approccio fiduciario, generativo e responsabile ma anche efficiente, vista la indicazione, ad esempio, del referente unico dell’Amministrazione a cui sarà cioè affidata la responsabilità unica di tutti i procedimenti a qualsiasi titolo ricadenti nel processo di valorizzazione, eliminando i rinvii per “competenza” ad altri servizi ed uffici ed evitando il paradosso – molto noto a chi nel nostro Paese si occupa di innovazione sociale e culturale in spazi pubblici – persino di progetti approvati ai “concessionari” dai soggetti pubblici “concedenti” ma che franano sulle mancate autorizzazioni dei servizi e degli uffici “competenti”.
Insomma, valore d’uso culturale, flessibilità operativa, durata, contesto attento alla sperimentazione ed al cambio di rotta, nuovi modelli di governance pubblico-privata collaborativa.
Sono tutti gli ingredienti necessari, anche quelli più minuti, ad un cambio non solo di “passo” ma all’intrapresa di una nuova strada per la valorizzazione del Patrimonio Culturale e del Patrimonio pubblico a finalità culturali nel ns. Paese.
Il caso di Bergamo, è forse il più bell’esempio, di innovazione di azioni pubbliche nella valorizzazione, nell’anno europeo del Patrimonio Culturale in Italia.
L’auspicio è che, a chi ha fatto da “apripista”, altri casi, numerosi e densi, da Nord a Sud del Paese ne seguano la traccia, consolidandola e migliorando la strada aperta.
La rotta è segnata.