Quanto la notifica penalizza il mercato dell'arte italiano?
Il connubio tra cultura e mercato dell'arte in Italia è una «relazione complicata» che si aggroviglia sempre più intorno alla dicotomia tra difesa del patrimonio artistico da un lato e libera circolazione dei beni dell'altro. Sappiamo che l'Italia ospita al suo interno una moltitudine di beni artistici e archeologici senza considerare quelli che nei secoli, in pace o in guerra, sono stati sottratti ai confini nazionali. Per tamponare questa emorragia di capolavori, si è voluto introdurre nel nostro ordinamento l'istituto della «Notifica»: qualsiasi opera una volta identificata come «di interesse nazionale» non può essere alienata senza che lo Stato possa esercitare il suo diritto di prelazione, senza cioè che lo Stato abbia la possibilità di stabilirne l'acquisto. E il prezzo che lo Stato è disposto a pagare è sempre inferiore, talvolta di molto inferiore, a quello di un acquirente privato, soprattutto se l'opera fosse scambiata sui mercati internazionali. L'Osservatorio sui Beni Artistici del Monte dei Paschi, aveva già lo scorso anno realizzato un'indagine sugli impatti economici di questo istituto, interrogando le varie categorie di stakeholder che operano nel settore. L'analisi, riproposta a luglio di quest'anno, ha voluto approfondire alcune criticità emerse nella precedente edizione, fornendo, dove possibile, delle proposte di modifica alla vigente normativa. Il background entro cui l'analisi prende forma è inconfutabile: nonostante i principi teorici che ispirano l'istituto della Notifica sono in gran parte condivisi, viene unanimemente bocciata l'applicazione dello stesso negli anni. È, infatti, opinione diffusa (circa l'82% del campione) che l'attuale normativa presenti delle intrinseche criticità connesse all'inevitabile svalutazione che subisce un'opera «notificata»,(per circa il 27% sarebbe pari o superiore al 40% del suo valore) in quanto tagliata fuori dal mercato internazionale. Inoltre, la stragrande maggioranza del campione (88%) segnala tra le criticità più evidenti anche la mancanza di criteri oggettivi nell'applicazione dalla disciplina. L'istituto della «Notifica» sembrerebbe poi, per l'88,6% degli intervistati, favorire la fuoriuscita illegale di opere d'arte e scoraggiare, per la quasi totalità del campione (97,7%), i collezionisti dal prestare o esporre le proprie opere il nel timore che queste vengano dichiarate di interesse culturale e quindi penalizzate nella commercializzazione e nella loro valorizzazione. Anche il vincolo temporale di cinquant'anni, decorso il quale un'opera può essere sottoposta a «Notifica», risulta inappropriato per il 50% del pool di esperti. Riguardo, invece, i possibili interventi normativi volti a migliorare l'attuale disciplina in materia e/o a colmarne le lacune, che inevitabilmente si accompagnano ad una politica di tipo protezionistica come quella in esame, la maggioranza degli intervistati riterrebbe opportuno introdurre sia una scadenza alla validità della «Notifica» (58,6%) e sia la possibilità di realizzare, nel caso di vendita all'estero di un'opera «notificata», un'asta al fine di trovare un acquirente interno (41,9%). Inoltre la maggioranza del campione (72,7%) intravede nella detrazione totale dall'imponibile dell'acquisto di beni "notificati" una possibile forma di compensazione degli "effetti collaterali" dell'istituto. Dall'indagine, infine, emerge con forza la necessità di maggior trasparenza sui beni sottoposti a «notifica»: la quasi totalità degli intervistati (97,7%) ritiene quantomeno auspicabile la creazione di un archivio generale dei beni notificati consultabile online. Il risultato dell'analisi si presenta come una cartina tornasole del mood degli operatori del settore, che da un lato ritengono indispensabile una qualche forma di tutela dai capolavori della nostra nazione, ma dall'altro reclamano in maniera netta una informativa chiara, incontrovertibile e accessibile a tutti.
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Pietro Ripa è Dirigente Area research MP
Sabrina Famularo è collaboratrice MPS