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Il mecenatismo contemporaneo: quale ruolo e prospettive nel sostegno all’arte contemporanea

  • Pubblicato il: 02/10/2015 - 11:46
Rubrica: 
NOTIZIE
Articolo a cura di: 
Chiara Galloni e Francesca Gambetta

Il mecenate storicamente è colui che ha la capacità di spendere nelle arti, forte di superiorità morale, educazione e conoscenza del bello, che lo rende a pieno titolo uomo “politico”. Cosa rimane di questo impianto? Chi sono i mecenati contemporanei e che ruolo hanno? Un tavolo di lavoro durante il Forum dell'Arte Contemporanea Italiana ha cercato alcune risposte

Mutati i tempi della Grecia classica, di Gaio Plinio Mecenate e del Rinascimento, chiedersi chi siano i mecenati oggi costringe a un ragionamento induttivo, ossia partire dalle pratiche quotidiane di quei soggetti che, a vario titolo e modo, supportano l’arte e la cultura, per capire cosa li accomuni. Il compito è arduo tanto più se si focalizza l’attenzione sul sostegno all’arte contemporanea – come nelle intenzioni del Forum di Prato, promosso dal Centro Pecci - ambito complesso e mutevole che riduce la platea dei conoscitori ed appassionati e difficilmente compete in termini di visibilità anche solo con il cosiddetto patrimonio storico-artistico.
Permane dall’epoca classica una definizione generale che vede la magnificenza come  “generosità individuale con finalità pubblica”, fortemente connessa con l’assetto politico ed economico del territorio su cui insiste (un tempo una casata, oggi una comunità?) e con un modello etico, nel quale convergano anche doti morali quali la dignitas, l’onore, la fiducia e la giustizia. Sia ieri che oggi, l’azione del mecenate passa attraverso l’attivazione di un soggetto “tramite”, che è l’artista, cui viene affidato – esplicitamente o meno – un compito e delle aspettative.
Se tali aspettative possono essere di natura puramente estetica-contemplativa, etica e sociale o meramente economico-speculativa, oggi più di ieri è difficile trovarle condensate in un unico soggetto.
Discutendone con collezionisti privati  come Gianantonio Locatelli e Tullio Leggeri, galleristi come Esther Biancotti di FuoriCampo, progettisti culturali come Maddalena Bonicelli (Marsèlleria, e Contemporary Locus) Eva Perini di Vitalità Onlus e Federica Tattoli di BeArt, rappresentanti di musei come Stefania Ricci del Museo Salvatore Ferragamo, di fondazioni bancarie come Francesca Gambetta di Compagnia di San Paolo, o d’impresa come Anouk Aspisi della Fondazione Nuovi Mecenati, fino ad arrivare a esempi di pubbliche amministrazioni “illuminate” (Bologna, Torino), è emerso quanto ciascuna di queste realtà interpreti la missione secondo la propria vocazione e i propri vincoli statutari e come ciascuna meriti sia un riconoscimento (senza dietrologie mediatiche) sia un’interlocuzione specifica (senza snobismi da parte del settore pubblico). L’obiettivo è valorizzarne e mettere a sistema l’attività, le cui ricadute positive sono oggettive, indipendentemente dalle ragioni che hanno spinto il singolo soggetto ad intervenire.
La mappatura, per quanto lontano dall’essere esaustiva, lascia trasparire con chiarezza alcuni aspetti: il mecenate contemporaneo abbraccia con uguale entusiasmo opere immateriali e performative, superando quella forma di mecenatismo che sembrava fare più rima con capitalismo dell’arte. Nel contempo, non sembra avere intenzione di influenzare la libertà dell’artista nel momento in cui l’intervento è inserito in una cornice di senso territoriale o tematica.
L’elemento ancora più inedito sembra essere la comparsa – accanto ai “grandi mecenati” – di un’ondata di “mecenatismo diffuso”, potremmo dire di prossimità e senza la disponibilità di capitali ingenti.
Chiaramente i primi, che siano privati facoltosi o fondazioni, presentano un profilo più identificabile, delineato dai mandati istituzionali, dalla competenza di  un curatore di riferimento o del proprio staff. Più le risorse disponibili sono ingenti (spicca su tutti il caso di Compagnia di San Paolo, che porta in generale l’esperienza delle fondazioni d’origine bancaria, ma rilevante è anche la realtà delle fondazioni d’impresa) più è necessario che l’ente non si rimetta a scelte soggettive, ma piuttosto sappia individuare buone pratiche e interlocutori accreditati con cui condividere visioni di sistema e progetti complessi.  L’anomalia rispetto al passato è una sempre più diffusa difficoltà a instaurare una relazione  costruttiva e bilanciata con il proprio contesto di riferimento e con l’interlocutore pubblico. Tale criticità comporta una progressiva tendenza all’isolamento, invalidando la lettura di un’intrinseca complicità tra mecenati e potere politico. Questa incapacità – delle pubbliche amministrazione di saper leggere e valorizzare il potenziale intervento privato, dei privati di rinunciare spesso ad avviare l’interlocuzione per non dover conciliare visioni e prospettive – comporta indubbiamente un danno nella massimizzazione del beneficio a vantaggio della collettività.
D’altro canto, quelli che potremmo definire piccoli mecenati, i cui impatti e le cui disponibilità sono più circoscritti non fosse perché si tratta di esperienze giovani, non ambiscono in partenza ad una posizione di potere e hanno più facilità a ricavarsi un ruolo ecosistemico più dinamico e sperimentale. È questo il caso di un progetto come Marsèlleria (Milano), showroom di un noto brand di moda, che si è velocemente accreditato come laboratorio di ricerca, spazio di esplorazione senza una strategia pre-costituita nei confronti degli artisti, in cui mostre e sostegni alla produzione sono eventualmente la fase finale di un rapporto umano e dialettico che si crea tra l’artista e il contesto. Oppure la visione di una galleria come Fuori Campo, che rilegge il proprio ruolo in quanto connettore tra collezionisti e artisti, sviluppando progetti che mettano a confronto tali attori durante il processo di creazione artistica indipendentemente dall’atto di acquisizione finale, come il progetto Artiste domicilié(e). O ancora la piattaforma di crowdfunding BeArt dedicata esclusivamente al sostegno dell’arte contemporanea.
Indipendentemente dalle modalità e dai volumi investiti, a monte sembra necessario sensibilizzare all’arte contemporanea fin da bambini (come ad esempio fa l’Ass. Vitalità, che porta artisti contemporanei negli asili), affinché si riconosca il valore intrinseco in un’opera contemporanea e si trovi quindi nel suo sostegno un’occasione di crescita e di relazione con il proprio tempo e la propria comunità. Se oggi è possibile diventare mecenati anche senza risorse ingenti, significa che la platea potenziale dei sostenitori dell’arte contemporanea è molto più ampia. Formazione, in questo senso, significa allora anche far conoscere meglio alle persone le possibilità connesse alle forme di mecenatismo, che vanno dallo sviluppo della persona al miglioramento del proprio ambiente, senza dimenticare (né stigmatizzare) i vantaggi economici che ne derivano. In questo caso – come spiega l’Avvocato Ceolin, dello Studio Pizzi di Bologna – “spesso manca la consapevolezza degli strumenti normativi già a disposizione, certi che una conoscenza più diffusa di ciò che esiste ne permetterebbe un uso più ampio ma soprattutto un affinamento”. È questo il caso, ad esempio, dell’Artbonus, che sta dimostrando la propria validità ma che per ora è limitato nel tempo (fino al 2016) e solo a vantaggio di investimenti sul patrimonio storico artistico e non di forme d’arte più contemporanee. Oppure della ben più storica legge 512 del 1982, che teoricamente permetterebbe di pagare imposte dirette e di successione tramite la cessione allo Stato di opere d’arte, dopo che fossero state validate da una commissione interministeriale, che tuttavia non si riunisce da anni. Allo stesso tempo, sarebbe anche utile agire sull’IVA e aggiornare gli strumenti normativi per superare ormai obsolete categorizzazioni dei soggetti che possono ricevere sostegno, così che i mecenati possano intervenire più facilmente, per quanto all’interno di un quadro di regole chiare. In tal senso, tutti i partecipanti al tavolo si sono augurati che il Forum dell’Arte contemporanea possa evolvere in una piattaforma continuativa, in grado di porsi come punto di riferimento del settore sia nello scambio di informazioni e buone pratiche, sia come influencer. Speranza evidentemente comune, stando ai primi commenti dei promotori.
 

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