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Capitale Europea della Cultura 2019: l’occasione per un’innovazione di sistema

  • Pubblicato il: 31/08/2012 - 16:07
Autore/i: 
Rubrica: 
OPINIONI E CONVERSAZIONI
Articolo a cura di: 
Claudio Bocci

Le ultime indicazioni riferiscono di ben 18 città italiane, grandi, medie e piccole, in corsa per il titolo di Capitale Europea della Cultura: da Bergamo a Siracusa, da Carbonia a L’Aquila, da Lecce a Siena, da Bari a Torino, da Matera a Ravenna, spesso anche grazie a spinte provenienti dalla società civile, molte città italiane intendono misurarsi con il rigoroso processo di selezione richiesto dalla Commissione Europea che consentirà, nel 2019, di fregiarsi di un titolo che, nelle esperienze europee più riuscite, ha letteralmente cambiato il volto della città vincitrice, e non solo!
Dopo il positivo esito di Ruhr 2010 (che ha coinvolto nel programma 53 municipalità per complessivi 50 milioni di abitanti), il modello ha, infatti, mostrato di funzionare anche in ambiti di area vasta: a questa esperienza si richiama la candidatura di Venezia come capofila dell’intero Nord-Est e quella di Perugia-Assisi, sul cui asse, si sta costruendo l’impegno dell’intero territorio regionale.
Ecco; il primo punto che sorprende è proprio questo: in un Paese come il nostro che ha difficoltà a programmare il giorno dopo, ci sono città che si stanno impegnando a progettare il loro profilo nel 2019! In effetti, il programma «ECoC – European Capital of Culture», mostra notevoli punti di interesse e può rappresentare uno stimolante tema di discussione sulle politiche urbane in considerazione dell’esperienza ormai venticinquennale del modello che ha messo in luce straordinarie potenzialità di policy culturale e non solo, favorendo l’introduzione di strumenti di pianificazione strategica, di progettazione integrata e di proficuo rapporto tra pubblico e privato, con esiti assai interessanti sulla rigenerazione urbana, sulla crescita economica e sui processi di inclusione sociale. La connessione tra cultura e riqualificazione urbana è particolarmente evidente dall’esperienza delle Capitali Europee della Cultura di maggiore successo (Lille 2004, Liverpool 2008, Ruhr 2010), che hanno usato il programma comunitario come occasione-chiave per la riconversione economica di città ex industriali, per la riqualificazione di zone urbane «dismesse», per la rivitalizzazione della società civile, con l’intenzione strategica di rinvigorire un’economia stagnante, ottenere un riconoscimento internazionale e attrarre investimenti. Dalle migliori esperienze europee emerge, dunque, la positività di una modalità di pianificazione strategica che, ponendo al centro dello sviluppo urbano un progetto culturale, è in grado di integrare  altre dimensioni di intervento, dalle infrastrutture alla mobilità, dalla riconversione di spazi industriali dismessi all’intervento sulle periferie, attraverso attività centrate sulla cultura e sulla creatività e coinvolgendo attivamente la società civile. Il Programma ECoC è esemplare anche sotto il profilo economico poiché il co-finanziamento di 1,5 milioni di euro che l’Unione Europea conferisce alle città assegnatarie del titolo costituisce una quota minima rispetto agli investimenti che l’iniziativa riesce ad attrarre. L’impatto economico del programma di Liverpool ’08, ad esempio, (7.000 eventi, 7.000 occupati nelle industrie creative e 10.000 artisti nazionali ed internazionali coinvolti) restituisce un’immagine chiara del successo del programma europeo; infatti, i 9,7 milioni di visite addizionali alla Città durante l’anno di Liverpool Capitale Europea della Cultura (di cui il 26% rappresentate da prime visite da parte di turisti internazionali) hanno occupato quasi l’80% di capacità ricettiva e hanno generato un impatto economico di £ 954,9 milioni a fronte di un investimento complessivo di £130 milioni in 6 anni. Il notevole valore di tali risultati (sia economici che sociali), ha convinto il Governo britannico ad introdurre un programma nazionale ispirato al modello ECoC e, nel luglio 2010, in una competizione che ha coinvolto molte altre città del Regno Unito, Londonderry è si è conquistata il titolo di Città Britannica della Cultura per il 2013. La convinzione che si è fatta strada, infatti, è che al di là dell’interesse della città designata, il valore del Programma risiede nella progressiva introduzione, nelle città che intendono misurarsi nella candidatura, di un processo «bottom-up» che introduce una cultura della «pianificazione strategica a base culturale» in grado di ripensare la città e proiettarla verso un nuovo modello di sviluppo più aderente alla sfida dell’economia della conoscenza, tipico delle società post-industriali. Con il modello ECoC, infatti, la cultura cessa di essere un ambito ‘settoriale’ di competenza di una delega assessorile e diventa la piattaforma in cui l’intera Amministrazione si mette in gioco con l’ambizioso obiettivo di ridisegnare il volto della città attraverso uno sforzo progettuale interdisciplinare il cui valore resterà comunque patrimonio della comunità cittadina.
Proprio in considerazione dei molti spunti di policy connessi al modello ECoC, sin dal 2009 l’esperienza delle capitali europee della cultura è al centro delle riflessioni di Ravello Lab – Colloqui Internazionali; anche nella prossima edizione, in programma a fine ottobre, il tema verrà ripreso ospitando le città candidate nell’intento di evidenziare le potenzialità di governance della best practice europea a prescindere dalla città italiana che nel 2015 verrà designata Capitale Europea della Cultura per il 2019. La «raccomandazione» che giunge da Ravello Lab, infatti, è che tale modello possa diventare una pratica ordinaria di intervento nella pianificazione dello sviluppo delle città incrociando gli eventi e le produzioni culturali con i processi di rigenerazione urbana e con lo sviluppo delle industrie culturali e creative. In questa direzione muove il disegno di legge presentato recentemente al Senato dall’On. Alfonso Andria, Presidente del Centro Universitario per i Beni Culturali che, insieme a Federculture, promuove annualmente i Colloqui di Ravello. L’idea è quella di non disperdere la cultura di pianificazione strategica a base culturale connessa all’esperienza della candidatura per il 2019 e, facendo tesoro di quanto è stato fatto in Gran Bretagna, introdurre anche in Italia il Programma Città Italiana della Cultura, «virato» però sulle industrie culturali e creative con l’obiettivo di collegarlo strettamente all’economia della conoscenza e ai più recenti orientamenti della Commissione Europea in procinto di lanciare il programma «Europa Creativa».

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Claudio Bocci è Direttore Sviluppo e Relazioni Istituzionali Federculture, Consigliere Delegato Comitato Ravello Lab