Settembre. Il dollaro debole: ma chi se lo aspettava?
Grande protagonista dell’estate e probabilmente dell’autunno è stato e sarà il cambio Euro – Dollaro che contrariamente al consensus di fine 2016, che lo prevedeva intorno alla parità a fine 2017, si è attestato in area 1,20 con un apprezzamento della valuta europea pari al 15% da inizio anno.
Che cosa ha portato un tale cambiamento di scenario nel corso di questi 8 mesi del nuovo anno?
L’economia statunitense è in buono stato (Pil Usa 3%), ma non in splendida forma e la Federal Reserve ha mostrato segnali verso un nuovo aumento dei tassi di interesse, ma sul mercato c’è preoccupazione su quando e come questa politica possa essere attuata ed è radicato soprattutto il timore di una paralisi delle attività governative americane (il cosiddetto shutdown) che potrebbe essere il risultato di uno stallo dei negoziati sull’innalzamento del tetto al debito americano.
I timori riguardano anche le riforme fiscali e le spese per le infrastrutture, sulle quali l’amministrazione del presidente Usa Donald Trump non ha fornito dettagli, e sui diversi scandali in cui è coinvolta la Casa Bianca. Secondo molti economisti, questi sono i principali fattori a influire sullo status debole del dollaro, del quale beneficiano soprattutto l’euro e la valuta cinese.
La difficile gestione dei rapporti con Cina e Russia da parte degli USA vedono la loro leadership in discussione e nel momento in cui si concretizzassero allineamenti totali tra queste due superpotenze asiatiche unitamente alle armi nordcoreane, si potrebbe sovvertire l’ordine economico mondiale.
Infatti difronte ad una situazione geopolitica instabile in Asia in particolare, in occasione dei momenti di tensione come quello del missile nordcoreano, il naturale effetto dei mercati che implica di fuggire dagli asset rischiosi come le azioni (evento che si è verificato) e rifugiarsi in asset sicuri quali oro, yen, bund tedeschi, questa volta ha segnalato come grande assente, il dollaro, con conseguenze a cascata su altri asset influenzati (e.g. petrolio e materie prime). Sintomo della poca credibilità e fiducia che gli investitori provano per questa valuta oggi.
A fronte dello Zio Sam che dimostra le sue difficoltà, l’economia europea si conferma forte anzi più forte del previsto, ed alcuni dati economici in particolare il surplus di conto corrente in alcune economie della zona euro, hanno dato fiducia agli investitori che hanno acquistato euro. Cosi secondo Thomson Reuters Lipper, i fondi azionari europei hanno catturato 23,4 miliardi di euro da maggio, a fronte di un’emorragia di capitali pari a 24 miliardi dai fondi americani. Da qualche mese, è in atto un riposizionamento strutturale sulla moneta unica da parte degli investitori globali, che negli ultimi tre o quattro anni avevano disertato (o venduto) l’euro. La tendenza sembra destinata a proseguire.
I radar degli investitori sono dunque sempre puntati quotidianamente verso le dichiarazioni delle banche centrali anche se il trend di indebolimento del biglietto verde sembra difficile da disinnescare, basti pensare che il suo peggior tonfo nel mese di agosto si è verificato durante gli incontri al Jackson Hole, tanto atteso appuntamento dell'anno dai mercati finanziari, che attendevano di capire la direzione di marcia che la Federal Reserve e la Banca centrale europea vorrebbero imporre alla loro politica monetaria. Ma chi voleva capire le prossime mosse di Janet Yellen e Mario Draghi è rimasto deluso, perché entrambi si sono tenuti ben lontani dalla politica monetaria.” Due sfingi” cosi li definisce l’Huffington Post e nonostante le non dichiarazioni di entrambi, il cambio delle due valute si è mosso a favore dell’euro.
Ma un euro forte potrebbe portare problemi all’Ue perché significa prodotti europei più costosi, il che potrebbe costituire un pericolo per le esportazioni europee. La recente forza dell’euro potrebbe influire anche sulle posizioni della Banca Centrale europea perché l’euro forte agisce come pressione deflazionistica in un momento in cui la Bce vorrebbe portare l’inflazione verso l’alto.
Quindi massima attenzione è stata riservata all’intervento di Draghi nella prima settimana di settembre, il 7 dove il Governatore riferisce che la crescita risulta comunque decisamente ampia e robusta, rivista al rialzo per l’anno in corso nonostante possibili influenze dal corso del cambio, da tenere nelle dovute considerazioni, anche se non direttamente obiettivo della politica monetaria di BCE, perché fonte di volatilità e dunque di incertezza. Le pressioni inflazionistiche, continua Draghi, rimangono piuttosto deboli riviste al ribasso, anche se dovrebbero convergere progressivamente verso quanto valutato dalla banca centrale.
Rimandata quindi al prossimo meeting di Ottobre la nuova “calibrazione” della politica monetaria oltre al 2017, risultando ancora necessario un certo grado di stimolo da parte della BCE.
Ancora una volta il cambio ha reagito bruscamente a favore dell’euro e di una riduzione dei tassi di interessi europei.
Quindi che cosa si può dire sull’evoluzione del cambio euro dollaro per tutelare i risparmiatori?
Se già il terreno dei cambi è particolarmente scivoloso per chi fa previsioni mai come oggi lo diventa in un contesto di mercato che è difficilmente analizzabile anche studiando i trend ed il passato. Infatti gli economisti sono divisi; la maggior parte nel lungo periodo ritiene che l’euro sia relativamente sottovalutato in termini di parità dei poteri d’acquisto, nell’ordine del 5/10%, rispetto a un paniere di valute ponderato in funzione degli scambi commerciali. Anche uno strumento più intuitivo come il Big Mac index, elaborato dall’Economist mettendo a confronto il potere d’acquisto delle valute sulla base del prezzo di un panino di McDonald’s nei diversi Paesi, fissa “l’equilibrio” con il dollaro molto più in alto, a 1,36. Equivarrebbe a un ulteriore apprezzamento del 14% sul biglietto verde. Peccato che la teoria sulla quale si basano tutti questi modelli sia necessariamente da inquadrare su un orizzonte di lungo periodo e perda inevitabilmente rilevanza su periodi più brevi, in favore di altri parametri: la dinamica dei differenziali d’interesse, i flussi di capitale, le bilance commerciali e così via.
La divergenza tra le politiche monetarie della Fed e della Bce dovrebbe tornare al centro dell’attenzione mentre l’inflazione ciclica dovrebbe essere migliore delle attese nel 2018, soprattutto negli Stati Uniti. Per questo motivo, la Fed dovrebbe procedere a quattro rialzi dei tassi entro la fine del 2018, già largamente prezzati dal mercato. Dall’altro lato, la Bce dovrà mostrarsi più accomodante alla luce del recente restringimento delle condizioni finanziarie. Inoltre, anche la differenza tra i tassi e il posizionamento attuale dovrebbero supportare un rimbalzo tattico del dollaro.
Classis Capital negli orientamenti prospettici di mercato, ad inizio terzo trimestre aveva previsto il dollaro debole in area 1,20 verso euro, consigliando a tali livelli l’investimento nella valuta in un piccola percentuale per diversificare il portafoglio vedendo poco probabile l’ulteriore deprezzamento, come scritto su questo giornale nel mese di Agosto. Ad oggi, non cambiamo le nostre previsioni, ma suggeriamo molta prudenza su questo tipo di investimento, perché il grande malato sta ancora cercando di capire quale sia la giusta medicina e non è detto che la trovi nel breve periodo.