In quel cinema fluttuano anime
Milano. «Condensare in poche parole il lavoro di Pipilotti Rist? Ne basta una, “Parasimpatico”, il titolo del nuovo progetto che presentiamo a Milano»: così Massimiliano Gioni, direttore artistico della Fondazione Nicola Trussardi e direttore del New Museum di New York, nonché curatore di una mostra dedicata all’artista svizzera (1962) e aperta dal 9 novembre al 18 dicembre. Quella allestita nella Fondazione Trussardi è la sua prima grande personale in un’istituzione italiana. Per l’occasione, Pipilotti Rist ha realizzato una macroinstallazione composta da nove lavori, tutti inediti per l’Italia. Il titolo della rassegna allude al sistema nervoso che sovraintende alle funzioni vitali involontarie, dalla respirazione al battito cardiaco, sino ai movimenti peristaltici. «La parte di noi che reagisce ai suoi lavori, continua Gioni, è quella profonda, emozionale, involontaria. L’originalità del suo lavoro consiste proprio in questo suo essere ironico e organico insieme. Come tanti artisti della sua generazione, la prima “generazione Mtv”, anche Pipilotti Rist ha iniziato negli anni Novanta a lavorare con il video, riflettendo sul mezzo e sulle sue specificità. Poi, verso il Duemila, ha iniziato a dar vita a un “cinema espanso”, non più vincolato a un soggetto o a un ruolo ma dilatato a un’esperienza totalizzante, con una proliferazione organica che coinvolge tutti i sensi. Nessuno più di lei, quindi, ci sembrava adatto a lavorare sulla sede prescelta per la mostra di quest’anno».
La Fondazione Trussardi è infatti un’istituzione dallo spirito nomade, che da subito ha voluto «colonizzare» con le sue mostre luoghi non ovvi e spesso chiusi al pubblico. Per l’occasione ha scelto l’ex Cinema Manzoni, «tempio» della borghesia milanese degli anni del boom: costruito con grande dispendio nel 1950, fu il terzo al mondo ad adottare il Cinerama. È un luogo sontuoso e iperdecorato, teatrale e opulento in ogni sua parte, chiuso dal 2006 ma perfettamente preservato. Spiega Gioni: «Pipilotti Rist ne è stata sedotta, soprattutto perché ritrovava nella sala da 1.400 posti quella dimensione collettiva, di cinema come spazio comune, che le nuove tecnologie hanno cancellato. E per tutti i suoi spazi ha inventato un “cinema totale”, avvolgente, che nella grande sala ruota e si espande ovunque, come se fosse il cinema stesso a “guardare” lo spettatore. Questo luogo, chiuso da tempo e quindi morto, ritrova così una nuova vita biologica, con proiezioni di corpi che galleggiano nel suo spazio e lo rianimano: lei del resto ha una visione quasi animistica della tecnologia, perché a suo dire le macchine, con cui interagiamo sempre più spesso, hanno un’anima ed entrano in empatia con noi».
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