L'archivio Bonotto diventa fondazione. Sotto il segno di Yoko Ono
Venezia. Dall’esperienza di Luigi Bonotto, imprenditore tessile e collezionista, nasce l’omonima fondazione dedicata a una delle più importanti raccolte di opere del movimento Fluxus e della Poesia concreta, visuale e sonora. Un patrimonio che documenta azioni, performance ed eventi relativi di cui, diversamente, non avremmo memoria e che per essere visionato interamente necessiterebbe di quasi 450 ore. Tutto è stato debitamente archiviato e messo in rete, con lo scopo di rendere fruibile la collezione al più ampio pubblico possibile. Tra gli obiettivi dell’ente, infatti, figurano la promozione, la divulgazione e lo studio di Fluxus e della Poesia sperimentale.
L’evento inaugurale ha avuto come madrina d’eccezione l’artista e performer Yoko Ono, presente con diverse opere nella collezione Bonotto, e alla quale il Louisiana Museum of Modern Art ha da poco dedicato una grande retrospettiva per i suoi splendidi 80 anni.
A Venezia, dove è stata presentata ufficialmente la fondazione, le è stata dedicata una mostra, «I’ll be back», presso palazzo Badoer (visibile fino al 29 giugno), oltre alla prima uscita di un nuovo progetto editoriale, Flaneur&Dust, cocurato da Luigi Bonotto e Cristiano Seganfreddo direttore di Fuoribiennale.
Ma com’è nata la collezione Bonotto, in cui arte e impresa si fondono in maniera creativa? Luigi si è avvicinato all’arte sin da bambino, grazie alla mediazione del padre, artigiano produttore di cappelli, appassionato di arte veneta del Cinque e Seicento, che lo porta a vedere le opere di Canova e di Jacopo Dal Ponte.
Negli anni ’60 ha modo di frequentare vari artisti tra cui Vedova, Nono e, in particolare,Tancredi e vivendo a Valdagno ha la possibilità di ampliare i propri orizzonti artistici grazie al Premio Marzotto (1951-68). Conosce le opere di Burri, Fontana, Christo, ma la partita decisiva è quella giocata con Duchamp in un circolo scacchistico di Milano. Dopo averlo incontrato, i suoi interessi si spostano verso il Lettrismo, Fluxus, la Poesia concreta e visiva.
Luigi frequenta gli artisti anche grazie ai viaggi di lavoro che lo portano a New York e a Parigi. Li ospita nella sua casa di Molvena, dove ha sede il lanificio ubicato nell’area dell’«Innovation Valley», condividendo con loro la pausa serale della giornata lavorativa che diventa così occasione feconda di confronto. In cambio dell’ospitalità, riceve «segni» del loro passaggio e documenta i progetti cui stanno lavorando.
Abbiamo chiesto a Luigi Bonotto di parlarci di questa esperienza che parte dagli anni '60, ha la sua massima espressione nell’invenzione della «fabbrica lenta» e nel 2006 vede la nascita dell'Archivio Bonotto, fino alla costituzione dell'omonima fondazione.
Luigi Bonotto: La fondazione è il capitolo finale di una storia di vita dove l'arte e la creatività contemporanea hanno rappresentato non tanto l'accumulazione di opere, documenti e materiale vario, quanto la vita stessa. L'arte è entrata in modo diretto in tutte le dinamiche aziendali, modificando il modo di agire e di pensare di tutta la fabbrica. Non è rimasta rinchiusa all'interno degli uffici della direzione o della proprietà ma ha toccato ogni punto. Dal magazzino alla tessitura. E non è rimasta ferma alla fase espositiva ma è entrata nelle coscienze e nel modo di lavorare e di vivere di ognuno.
Da archivio a fondazione, un passaggio non solo formale ma di prospettive sostanziali: quali sono le ragioni di questo cambiamento, i progetti futuri della neonata fondazione e i possibili partner con cui collaborare?
L.B.: In un momento difficile per il Paese dobbiamo credere sempre di più che la via di uscita sia nella cultura e nella culturalizzazione dei nostri territori. Per questo abbiamo deciso di investire importanti risorse economiche e umane per portare il nostro contributo al territorio e far capire quanto un messaggio che sembra distante dall'economia e dalla società possa invece essere dirompente e funzionale. Il nostro obiettivo è di lavorare a doppio livello. Da una parte essere un punto importante per il Nordest e l'Italia, dall'altra continuare nel lavoro di relazioni e azioni internazionali. Stiamo attivando collaborazioni con fondazioni e organismi internazionali, come la fondazione Morra, la Emily Harvey Foundation, grandi musei e collezioni. La nostra attività prevede azioni estemporanee e veloci, ma anche attività di archivio e di documentazione storica. Sempre però con un fare aperto e contaminato, libero da pregiudizi e il più possibile contemporaneo nell'azione. Lungi da noi diventare autoreferenziali: la fondazione e la collezione hanno un senso solo se sono vita. Dopo Yoko Ono, con la quale continuiamo a collaborare su diversi progetti, abbiamo in mente a brevissimo molte azioni con i grandi del Fluxus e una grande mostra "conclusiva" sul Fluxus, dopo la ridda di mostre degli ultimi anni. Per i 50 anni della poesia visiva italiana, invece, stiamo organizzando una mostra con una grande istituzione, ma è ancora in progress.
Uno degli obiettivi più prossimi della fondazione è il completamento della sua sede, l'ex Macello di Bassano del Grappa, esempio di architettura industriale risalente al XIX secolo, da lei acquistato qualche anno fa. Il progetto di massima prevede la realizzazione di un centro culturale polifunzionale con spazi destinati a convegni, mostre temporanee, biblioteca e residenze per artisti, oltre agli ambienti destinati a ospitare la collezione permanente e l'archivio Bonotto. Tuttavia non sono mai partiti i lavori per la realizzazione dall’intervento messo a punto da David Chipperfield. Il progetto del noto architetto prevede non semplicemente il recupero dell'edificio ma un intervento urbano che interessa l'area tra il Ponte Nuovo e il Ponte Vecchio di Bassano, con una previsione di spesa di 20 milioni di euro da coprire tramite cofinanziamento pubblico-privato. Che ne è stato?
L.B.: È molto difficile in Italia confrontarsi con i progetti pubblici. Noi abbiamo attivato un percorso importante coinvolgendo anche altri grandi attori del territorio come Renzo Rosso. Purtroppo i tempi e le economie dell'ente pubblico non permettono di agire con la velocità e l'intensità che una certa energia progettuale meriterebbe. Il progetto, che nel frattempo si è evoluto in base a richieste formali, oggi è ancora al vaglio delle istituzioni competenti. Intanto stiamo mettendo in sicurezza il Macello, che era a rischio crollo e che sarà oggetto di un incisivo intervento artistico da parte di una personalità di calibro internazionale. Comunque la nostra più viva intenzione è di rendere questo luogo un nuovo centro sociale contemporaneo dove la collezione viva con la gente e produca azioni. Per i tempi ci auguriamo che non superino i 5 anni.
La nascita della fondazione è accompagnata da un progetto editoriale, Flaneur&Dust, cocurato da Bonotto e da Cristiano Seganfreddo, che ne è anche l’ideatore. Di che cosa si tratta?
Cristiano Seganfreddo: Il progetto nasce dalla noia di troppa e infinita editoria, pur indipendente, usa e getta. È un’azione di tradizionalismo contemporaneo, una pochette ricamata. Volevo tornare a qualcosa di fisico, bello, speciale, ma non un libro d'arte. Flaneur&Dust è un editore atipico, che guarda e lavora sui bordi della produzione culturale. In modo autonomo e indipendente. È una sorta di memory box, una scatola emozionale, che si ispira alla letteratura portatile e alle derive shandy e fluxus. Un modo analogico, con fotografie vere, ma in piccolo formato, di raccontare e mixare micro storie artistiche che si rischierebbe di perdere e che invece si ritrovano in un luogo quasi feticistico e atemporale. Lavoriamo con la freschezza di una fanzine e dei magazine indipendenti, ma con un'architettura progettuale molto solida e dai codici apparentemente classici. Per quanto riguarda la produzione nell'ambito Fluxus, a breve presenteremo un programma con le più importanti personalità del movimento come Ben Vautier, Ben Patterson, Geoffrey Hendricks, Philip Corner...