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La sopravvivenza di un’idea attraverso la creazione dell'immagine

  • Pubblicato il: 15/02/2017 - 12:51
Autore/i: 
Rubrica: 
LA PAROLA AGLI ARTISTI
Articolo a cura di: 
Stefania Crobe

Nella sua ricerca – in maniera olistica, nell'agire organico – si incontrano le dicotomie: l'oriente e l'occidente, la mente e il corpo, la parola e il gesto, il pieno e il vuoto, dove il vuoto – proprio come afferma il suo maestro Lao Tzu – può essere considerato l’inizio di tutto. Una oscillazione tra le diversità che produce una moltiplicazione di segni, linguaggi, attitudini che vanno dal video alla performance, dalla pittura alla scultura.
Dal 1990 al 2015, con “Edicola Notte” ha ri-disegnato l'assetto urbano di una piccola porzione di città, nel cuore di Trastevere – storico quartiere di Roma oggi immagine estetizzante e divoratrice di sé stessa – attraverso l'esercizio immaginativo offerto dall'arte. Un metro per sette in cui, grazie ad un artista per gli artisti, ha avuto luogo una contaminazione di idee, sperimentazioni, incontri, relazioni senza precedenti. Un incubatore in cui “fare città” attraverso l'arte e la cultura.
Attualmente è tra i protagonisti della mostra "Please come back. Il mondo come prigione” inaugurata la scorsa settimana al Museo MAXXI e ha recentemente partecipato a FòcarArte, dove è entrato in dialogo con una tradizione millenaria – la Focàra di Novoli – generando, attraverso la parola, la sua distruzione, la sua rinascita attraverso la relazione, un dialogo con il passato, il mito, il rito, la festa. Una sorta di evento propiziatorio in cui il fuoco diventa epifania, la sopravvivenza dell’arte. Un'esistenza “al di sopra”, ove sovversione, resistenza, creazione coesistono.
Si definisce, scherzando, un romano reincarnato in un cinese.
Nell'attraversare le contraddizioni della Città Eterna, incontriamo e conversiamo con H.H. Lim, artista sino-malese che giunto a Roma nel 1976 per frequentare l’Accademia di Belle Arti, non l'ha più lasciata.

La storia di una poetica attraverso una biografia che oscilla tra oriente e occidente. Raccontaci le tappe fondamentali di questo percorso, in cui le tue opere hanno attraversato le diverse declinazioni dell'arte: dal video alla performance, dalla pittura alla scultura.
Tutto ruota intorno alla mia curiosità, che mi ha spinto a venire qui a Roma per studiare all’Accademia di Belle Arti. L’immensità della storia artistica di questo paese, dall’Impero Romano al Rinascimento e al Barocco fino ai tempi nostri, mi hanno profondamente colpito e affascinato, influenzando il mio modo di osservare tutto ciò che mi circonda, il cambiamento storico dell’occidente e il suo costante percorso. A Roma ho potuto sviluppare un pensiero che mettesse in relazione il mondo occidentale, che mi apprestavo a conoscere in un paese che considero come imprescindibile punto di riferimento, con quello legato alla mia infanzia, alla cultura dei luoghi in cui sono cresciuto. Allo stesso tempo, la cultura orientale mi è rimasta dentro, la sua filosofia, l’educazione familiare, e si riflette anche inconsciamente nel mio modo di ragionare e sviluppare i processi del pensiero e del mio lavoro, accompagnandomi costantemente come fosse la mia ombra.
Questi due fondamentali punti di vista hanno sempre contribuito a concepire la mia visione dell’arte in modo molto spontaneo, facilitandomi anche nella realizzazione di lavori in grado di esprimere il mio pensiero. Usare diversi linguaggi diventa parte integrante della mia idea dell’arte e della sua complessità, ma sono tutti solo strumenti, come una tela o un pennello, sono varie declinazioni che mi aiutano a creare un’immagine.
La mia curiosità mi ha spinto a seguire e a partecipare alla società e alle sue trasformazioni, che io ho sempre cercato di tradurre in immagini per difendere la sopravvivenza di un’idea.

Quale è il rapporto della tua opera con il contesto, dentro e fuori lo spazio deputato all'arte? Spazio fisico e spazio mentale…
Mi pare ci sia sempre una oscillazione tra il dentro e fuori – il sistema dell'arte, la forma, il concetto, il linguaggio. Questa fugacità è una forma di sovversione?
Questa domanda mi fa pensare a una riflessione di Lao Tzu sul vuoto e il pieno; noi spesso sottovalutiamo l’importanza del vuoto mentre per Lao Tzu proprio il vuoto può essere considerato l’inizio di tutto. Ogni cosa, infatti, ogni oggetto, senza il vuoto non può assumere funzionalità: senza il vuoto un bicchiere non è tale, così come una stanza che senza uno spazio “vuoto” al suo interno non può essere considerata una stanza. Perfino un treno o un aereo, mezzi tanto straordinari, senza gli spazi vuoti perderebbero la loro funzionalità. Quasi ogni cosa necessita dei vuoti, tranne un libro ad esempio che, se vuoto, verrebbe denaturalizzato. Tornando a noi, per me bisogna saper essere sia dentro sia fuori, bisogna trovare un equilibrio costante, come quello necessario tra la mente e il corpo per misurarsi e trovare un’armonia, un dialogo di conciliazione.
Ad esempio, potremmo citare la differenza tra i sensi che appartengono alla sfera del sensibile corporeo rispetto a quelli emozionali; i sensi essenziali di un corpo (esterno) sono udito, tatto, gusto, vista, olfatto… mentre ciò che è interno coinvolge sentimenti come gioia e tristezza, rabbia e calma, invidia etc… Bisogna trovare una soluzione affinché i lavori di mente e corpo riescano a stabilire una stretta collaborazione tra loro per far sì che le richieste della mente, le idee, possano essere messe in pratica attraverso il corpo.
Quindi, finché sarò vivo, corpo e mente non mi lasceranno mai in pace; ogni cosa che osservo o penso mi ha sempre coinvolto emotivamente, in ogni periodo in cui ho realizzato una mia opera. Dunque la fugacità viene spontanea, non dipende più da me ma dalle circostanze in cui mi trovo. Se sono innamorato, inevitabilmente questo sentimento potrebbe riflettersi nel mio lavoro, se invece fossi in guerra automaticamente ne sarei coinvolto. A proposito del rapporto tra interno ed esterno, vorrei citare il lavoro in mostra al MAXXI, per l'esposizione PLEASE COME BACK. Il mondo come prigione?. Questo progetto, che si intitola The cage the bench and the luggage, parte dalla volontà di mettere in discussione l’idea che sta alla base del nostro godimento nei confronti dell’auto-prigionia che si genera dalla tentazione. All’interno di una gabbia c’è una valigia incatenata con dei lucchetti che dovrebbe nascondere al suo interno un tesoro occulto, una fonte tentatrice di grande attrazione per lo spettatore seduto sulla panca che fuoriesce dalla gabbia. In questo modo ho voluto enfatizzare un confronto tra il valore del mondo circostante e quello interno alla gabbia, dal quale siamo attratti, come se provassimo piacere nel vivere in una nostra personale prigione. La tentazione provoca una contaminazione in grado di attraversare la nostra stessa quotidianità, che è data dall’accanimento su ogni oggetto che ci circonda e dall’auto-sorveglianza che imponiamo a noi stessi. Qui si attua uno scontro tra la mente, attratta dalla valigia interna, e il corpo che, pur essendo seduto sulla panchina all’esterno della gabbia, viene richiamato e proiettato dalla mente verso l’interno. Quindi chi è all’esterno è fortemente attratto da ciò che risiede dentro la gabbia, mentre chi è all’interno non può che essere disperatamente ossessionato dalla libertà.

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Con Edicola Notte – in un metro per sette – dal 1990 hai dato vita ad un contenitore di idee, sperimentazioni, incontri, relazioni senza precedenti. Anzi, tra i precedenti forse troviamo le esperienze di collaborazione dei cosiddetti poveristi negli anni '60? In una Roma-Cartolina, in cui lo spettro della gentrificazione ha invaso il centro storico (ma non solo), Edicola Notte ha costituito per molto tempo un “atto di resistenza”, per dirla come Deleuze.
Un atto di resistenza culturale alla colonizzazione consumista, alla speculazione edilizia, alla retorica della bellezza 'mordi e fuggi'. Quell'esperienza si è conclusa nel 2015 per fare posto a un altro baluardo del consumo a Trastevere, il fast food.
Ma di semi ne ha gettati molti. Cosa resta e dove va quell'esperienza?
Edicola Notte è stata una fondamentale prova di capacità per conoscere un altro artista e la sua personalità attraverso un rapporto di comprensione. Una prova in tutti i sensi: osservare, ascoltare, comunicare, per arrivare a una soluzione con un amico artista per la realizzazione di un progetto. Spesso non è così semplice. Anche solo il mettere in primo piano un altro collega artista spesso può essere molto impegnativo.
Edicola Notte è un simbolo, uno spazio pensato da un artista per creare un pensiero di condivisione ancor prima della nascita dell’opera. Condivisione che coinvolge diversi settori, dai costi di produzione alle incertezze riguardo colori, tecniche o materiali, dai capricci dell’artista fino all’entusiasmo del lavoro. Un po’ come l’entusiasmo e le incertezze di una madre prima del parto, in cui tutte le sue energie sono concentrate per la nutrizione e la cura del nascituro. Non si pensa ai problemi successivi, come il cercare di far diventare un figlio una persona di successo, un medico o un tennista di fama mondiale, a differenza delle gallerie e dei curatori, dei musei e delle fondazioni, che hanno il compito di promuovere l’opera dopo la sua nascita. Per quanto riguarda la chiusura di Edicola Notte, forse non è colpa di nessuno nello specifico, è semplicemente arrivata la sua fine naturale, senza gloria. Questa esperienza mi ha incoraggiato a uscire fuori dal grande “io” per scoprire la diversità delle espressioni creative e, insieme, la resistenza e l’efficacia delle emozioni.

Quando abbiamo dato vita a questa rubrica – LA PAROLA GLI ARTISTI – la domanda di fondo che guidava l'indagine era 'A che cosa serve l'arte'? Una domanda che si è plasmata attraverso le voci ascoltate e che non ha trovato risposte ma aperto altri interrogativi, campi di esplorazione. A fare da sfondo c'è però sempre il rapporto tra arte società, arte e territorio (e terreno) in cui le ricerche si situano. Paesaggi fisici e mentali – tra memoria e contemporaneità – con cui l'artista entra in relazione e che l'artista crea. Nella tua esperienza quale ruolo spetta all'arte nella lettura e trasformazione della realtà?
Io ho sempre pensato che l’arte serve alla mente per costruire un dialogo con il corpo in modo da modellare un’idea verso l’immortalità del pensiero.
Nella mia esperienza l’arte è una parola quasi equivalente a La Via di Lao Tzu che, in anticipo, porta verso ogni direzione. Ogni direzione deve attraversare La Via. Mentre l’arte è come un punto, e ogni cosa nasce da un punto. Dunque, se un falegname ama l’arte, pur restando tale, avrà un punto in più. Se un calciatore ama l’arte anche lui avrà un punto in più, pur restando un calciatore. Quindi questo punto avrà la capacità di contribuire a un pensiero unico come DNA della nostra specie verso il futuro.
L’arte è così difficile da comprendere proprio perché è come l’aria che si trasforma in nuvola e disegna un paesaggio fuggente e, dunque, richiede grande attenzione e costante monitoraggio. Come dico spesso, io credo che il destino di un artista è come danzare un valzer sul filo del rasoio, osservando a destra e a sinistra, sopra e sotto, avanti e dietro, fino alla morte dentro un tunnel senza via di uscita. Rimarrà solo il suo pensiero che seguirà il proprio percorso e il suo nuovo destino.

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Nel tuo ultimo progetto a Novoli – in occasione della Focàra – c'è il rito, il mito, lo spirituale, il sensibile. Tutto quanto la società occidentale ha cancellato.
La modernità ha esasperato il pensiero dicotomico generando una compartimentazione e dispersione del sapere attraverso la definizione delle discipline, che guidano la conoscenza e governano il pensiero.
Un pensiero che – come ci ricorda Edgar Morin – “predilige la riduzione, l’esclusione e la disgiunzione, e riduce il complesso al semplice, il globale all’elementare, il tutto alle parti, l’organizzazione all’ordine, la qualità alla quantità, il multidimensionale al formale ritagliando i fenomeni in oggetti decontestualizzati e separati dallo stesso soggetto conoscente”. Viviamo una società stanca che necessita – come suggerisce Byung Chul Han, un orientale come te – un ritorno all'attività contemplativa contro la positivizzazione del mondo (dove il tutto possibile crea individualismo e muri, anziché ponti), un ripensamento sensibile – come cura, del sé e degli altri – che possa riconnettere ciò che si è lacerato attraverso relazioni sapienti e generative, creative. L'arte che responsabilità ha o può avere in questo processo?
L’arte è fondamentale in quanto è come l’aria che respiriamo, ha grande responsabilità, ma forse la nostra colpa è data dall’incapacità di trasmettere il suo valore all’intera popolazione. Forse per questo motivo siamo soffocati.
La società moderna è caratterizzata da infinite tentazioni e molti linguaggi differenti. È ovvio che si è generata una grande confusione e creare una propria visione è diventato sempre più complicato. Credo che andrebbero distinti diversi livelli di lettura, e ognuna necessita un proprio tempo: la pubblicità, ad esempio, si esprime con immediatezza perché necessita di essere compresa immediatamente. Per la comprensione del linguaggio cinematografico, invece, c’è bisogno di diverse ore. Per comprendere un libro c’è bisogno di mesi interi, se si tratta di poesia forse anche anni. Il linguaggio dell’arte è più complesso, essendo estremamente fuggente, e a volte c’è bisogno addirittura di secoli. Quindi penso che ad ogni cosa bisogna dare il suo tempo.
Per quanto riguarda Novoli, ho passato un’esperienza incredibile. Ho avuto la possibilità di assistere a un rituale tradizionale pieno di passione in cui popolarità e spiritualità si sono unite intorno al fuoco della Fòcara. Ho partecipato con grande emozione insieme agli addetti alla costruzione del falò realizzando un banchetto imbandito a festa, un pranzo che ha rappresentato un momento di pausa in cui ho utilizzato delle sedie, che ho realizzato per l’occasione, e che ho bruciato insieme ai resti del pasto. Sembrava quasi di tornare indietro ai tempi della divinizzazione del fuoco. Non credo che in Italia questi valori siano stati abbandonati, semplicemente eventi straordinari come questo non sono più messi in primo piano.

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Romano per scelta da molto tempo. Quale debito hai nei confronti di questa città così complessa?
Io dico sempre, scherzando, di essere un romano reincarnato in un cinese. Secondo me Roma è la città più complessa e difficile del mondo e solo chi è follemente innamorato di Roma può rimanere in questa città. Roma è un po’ come un grande artista, ma i figli soffrono la sua grandezza. Poi noi parliamo di Roma come una città ma qui si pensa ancora di rappresentare mezzo mondo. Roma caput mundi è una frase ancora molto presente nell’immaginario di molte persone. C’è una teatralità ancora ben radicata che enfatizza la città come fosse una grande madre, Mamma Roma! Puoi essere malvagio o capriccioso, ma Roma ti difende sempre. È qui che si scopre la dolce vita.

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Ognuno di noi ha dei “maestri ispiratori” da cui farsi guidare. Libri, artisti, amici...
Chi sono i tuoi compagni di viaggio? Dove ti porteranno questi viaggi nel futuro prossimo?
Apparentemente sembra una domanda semplice ma per rispondere con precisione avrei bisogno di mille pagine; si tratta di un percorso emozionale, di ispirazione ed eredità, si tratta di modificazioni di idee, di immaginazione del passato, presente e futuro. Per semplificare la mia risposta, anche se può sembrare fin troppo ovvio, posso dire che inconsciamente mi sento molto legato a grandi personaggi come Lao Tzu e Leonardo Da Vinci. Inoltre, con tantissimi amici artisti ho anche avuto la fortuna e il piacere di condividere esperienze più intime e dirette grazie al progetto Edicola Notte, che è durato venticinque anni. In questo senso, mi sento di poter dire che con tutti loro ho affrontato una tappa di un bellissimo viaggio.
Per quanto riguarda il prossimo futuro, mi sento obbligato a confrontarmi con i radicali cambiamenti del mondo globale, sia a livello politico che a livello sociale. Per questo motivo potrei citarti un progetto basato sul suono che risale al 2012 e che presenterò nel mese di marzo all’Auditorium di Roma a cura di RAM radioartemobile, nell’ambito della programmazione Sound Corner, sotto la direzione di Anna Cestelli. L’opera in questione è intitolata Daily World Music, e si tratta della combinazione del suono di diversi strumenti che ho utilizzato con il sottofondo delle notizie provenienti dai telegiornali di tutto il mondo.

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H.H. Lim è un artista sino-malese. Si è diplomato all’Accademia di Belle Arti di Roma. Dal 1976 vive e lavora tra Roma e Penang. È stato fondatore e animatore dello spazio espositivo romano Edicola Notte, che dal 1990 ha rappresentato una delle realtà più dinamiche e propositive della capitale. Ha partecipato a numerose mostre personali e collettive, tra le quali:
PLEASE COME BACK. Il mondo come prigione?, MAXXI, Roma, Italia (2017); FòcarArte, Palazzo Baronale di Novoli, Novoli, Italia (2017); Retrospektif Biennale, National Visual Arts Development Board, Kuala Lumpur, Malesia (2016); Aspettando l’ispirazione, Studio Museo Francesco Messina, Milano, Italia (2016); An Atlas of Mirrors, Singapore Biennale 2016, Singapore (2016); Timezone, Christine König Galerie, Vienna, Austria (2016); Dak’Art 2016, The witnesses of the invisible, 12^ edizione della Dakar Biennale, Dakar, Senegal (2016); Emotional Crisis, Zoo Zone Art Forum, Roma, Italia (2015); L’albero della cuccagna. Nutrimenti dell’arte, MARCA Museo delle Arti di Catanzaro, Catanzaro, Italia (2015); Migrating Forms and Migrating Gods, The Museum of Goa, evento collaterale della Biennale di Kochi Muziris, India (2014); Open Museum Open City, progetto per R.A.M. radioartemobile e per la collezione MAXXI, MAXXI, Roma, Italia (2014); 6. Biennale di Praga, Praga, Repubblica Ceca (2013); 55. Esposizione Internazionale d'Arte della Biennale di Venezia, Padiglione della Repubblica di Cuba, Venezia, Italia (2013); Landscape on the Move, De Vleeshal & De Kabinetten van de Vleeshal, Middelburg, Paesi Bassi (2012); Il tesoro nascosto, GNAM Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma, Italia (2011); Hidden Treasure, Tang Gallery, Bangkok, Thailadia (2011); Gone with the Wind, UCCA Centro Ullens per l’Arte Contemporanea, Pechino, Cina (2010); Onda Anomala, evento collaterale di Manifesta 7, Von Morenberg, Trento, Italia (2008); Emergency Biennale, Biennale di Istanbul, Istanbul, Turchia (2007); Wherever We Go, Walter & McBean Galleries, San Francisco, USA (2007); 5th Biennial of Shenzhen, Museo d’Arte di He Xiangning, Shenzhen, Cina (2006); Super, Frac des Pays de la Loire, Carquefou, Francia (2006); “Sweet Taboos” “Go Inside”, 3° Biennale di Tirana, Galleria Nazionale d’Arte, Tirana, Albania (2005); À l’ouest du sud de l’est, CRAC Centro Regionale d’Arte Contemporanea Languedoc-Roussillon, Sète, Francia (2004); A L’est du sud de l’ouest, Villa Arson, Nizza, Francia (2004); Le Opere e i Giorni, Certosa di San Lorenzo, Padula, Italia (2002); Tribù dell’Arte, MACRO Museo d’Arte Contemporanea, Roma, Italia (2001). 

ph | courtesy dell'artista
Cover:  H.H. Lim, Red Room, happening, Villa Arson, Nice, 2004
H.H. LimThe cage the bench and the luggage, installation view, MAXXI, Roma, 2017
H.H. Lim, 
Messaggero, happening, Galleria L’attico, Roma, 1984
H.H. 
LimLa Via del Falò Divino, happening, Fòcara di Novoli, Novoli, 2017
H.H. Lim, Quando Roma si fa sentire, installation view, MAXXI, Roma, 2014
H.H. Lim, 
Daily World Music, video, 2012