L’imperatore Akbar che fece grande l’India
Roma. La Fondazione Roma, dopo le ricognizioni sul Rinascimento europeo, propone dal 23 ottobre al 3 febbraio a Palazzo Sciarra una mostra incentrata sull’illuminato imperatore dell’India Jalaluddin Muhammad Akbar (1542-1605), ritenuto uno dei massimi esempi nella storia dell’umanità per la sua capacità di ottenere un dialogo interreligioso nel proprio Paese, innanzitutto tra l’Islamismo, da cui derivava la sua dinastia Mughal, e l’Induismo. Eppure tra i suoi diretti antenati figuravano Gengis Khan e Tamerlano. Forse anche per questo fu uno straordinario stratega militare, che non esitò a guidare in battaglia i suoi soldati fino a più che raddoppiare l’estensione del suo impero. «Personalità carismatica e complessa, Akbar regnò per quarantanove anni, modificando in modo indelebile il volto dell’India, meritandosi così l’appellativo di Akbar, in altre parole il più Grande, spiega il curatore della mostra Gian Carlo Calza. Nel suo Paese riformò l’apparato amministrativo statale, favorì un clima di tolleranza tra religioni diverse, protesse e favorì la cultura e l’arte».
La mostra è organizzata dalla Fondazione Roma-Arte-Musei con Arthemisia Group e l’Ambasciata d’Italia a Nuova Delhi (catalogo Skira). Sono esposte oltre 150 opere (acquerelli, illustrazioni di libri, frammenti di tessuti, tappeti, oggetti e armi tempestate di pietre preziose), molte rarissime, provenienti da musei e fondazioni specialmente europee. I Mughal erano stati fondati da Babur, conquistatore dell’India e nonno di Akbar. Quest’ultimo, per un destino avverso, crebbe in Afghanistan tra i soldati, rimanendo analfabeta (si diceva che fosse istruito da Dio). «Questa condizione culturale non impedì ad Akbar di coltivare durante il suo Governo discipline filosofiche e teologiche che lo portarono a fondare non tanto una religione ma, a mio avviso, una scuola di natura esoterica, basata su un sentimento spirituale superiore, spiega Calza. Fu un urbanista geniale: quando costruì la città imperiale di Fatehpur Sikri inventò uno stile architettonico, fusione tra la monumentalità indiana e la “leggerezza” delle costruzioni della steppa. Rivoluzionò anche le arti: aprì uno studio, dove i pittori portati dall’esilio del padre in Persia, Abdu’s Samad e Mir Sayyid, coadiuvati da centinaia di artisti, crearono un linguaggio proprio dell’India, commistione tra la pittura persiana della dinastia safavide e il colorato naturalismo indiano». Un’ampia letteratura sui grandi pittori Mughal ha identificato i loro nomi, come Daswant, suicida prima della conclusione dell’Akbarnama, cioè la biografia di Akbar (1589-96) pubblicata in tre tomi riservati all’imperatore, poi rieditata molte altre volte. Di questo volume, il cui originale a oggi risulta smembrato, sono esposte 23 pagine.
Si segnala, collateralmente alla mostra, la rassegna cinematografica «Bollywood Film Meeting Roma», al Teatro Quirinetta dal 29 novembre al 9 dicembre.