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L’arbitraggio culturale: nuove frontiere nella gestione del patrimonio culturale e del turismo

  • Pubblicato il: 15/11/2016 - 09:40
Autore/i: 
Rubrica: 
STUDI E RICERCHE
Articolo a cura di: 
Giovanna Segre

"Oggi si affaccia l’idea che il patrimonio culturale possa [..] costituire una tipologia di investimento finanziario di particolare interesse per una finanza che guardi al lungo periodo e non alla speculazione di breve, capace di generare rendimenti che seppur non alti, sono stabili e sicuri, nonché socialmente impattanti. Le scelte di diversificazione del portafoglio di fondi sovrani, banche di sviluppo, fondazioni, fondi e compagnie di assicurazioni guardano oggi infatti a linee di investimento alternative". Note a margine del workshop organizzato dal Sovereign Investment Lab dell’Università Bocconi e dalla Fondazione Riccardo Catella, e promosso da COIMA SGR

Non ne dà una sintesi sufficiente il mercato turistico, che pur genera nelle economie coinvolte dai flussi di turisti in movimento oltre 1.130 miliardi di euro, perché il valore e il ruolo della cultura vanno al di là dell’indotto creato dall’oltre 1 miliardo di arrivi turistici nel mondo (nel 2015, su stime UNTWO). L’attenzione si deve soffermare anche sulla dimensione finanziaria delle attività a favore del patrimonio culturale supportate dalla cooperazione intergovernativa, dal sistema multilaterale di UNESCO, UNDP, e UN-Habitat, da soggetti quali la World Bank, l’European Investment Bank, la Inter-American Development Bank e da enti privati non-profit come il World Monuments Funds, il Getty Conservation Institute o l’ Aga Khan Trust for Culture. Questa impostazione aiuta a leggere il senso economico di ampia portata di iniziative quali la imminente inaugurazione della nuova sede del Louvre ad Abu Dhabi, un museo che farà parte di un distretto culturale per l’arte e il turismo sull’Isola di Saadiyat, in cui ci saranno anche lo Sheihk Zayed National Museum, progettato da Foster and Partners; il Guggenheim Abu Dhabi (il Guggenheim più grande del mondo), progettato da Frank Gehry, un centro di arti performative e dello spettacolo, progettato da Zaha Hadid, e un museo marittimo di Tadao Ando. 

L’operazione Louvre negli Emirati comincia già nel 2007, quando il Museo di Parigi annuncia di voler associare il suo nome a un nuovo museo negli Emirati Arabi Uniti. Per avviare questo accordo, che prevede una durata di 30 anni, la Francia ha creato una struttura specifica, l’Agence France-Muséums, i cui azionisti sono dodici istituzioni culturali francesi che gestiranno perciò anche il previsto introito di circa 700 milioni di euro. 

Louvre Abu Dhabi costituisce probabilmente l’esempio più indicativo del tema dell’arbitraggio culturale, una definizione nuova che vuole sottolineare come grazie alla dotazione di asset diversi ma complementari (risorse culturali e finanziarie) possano nascere nuove e innovative operazioni di valorizzazione culturale. Di questo si è discusso il 27 ottobre a Milano, nel corso del workshop internazionale intitolato “L’arbitraggio culturale: nuove frontiere nella gestione del patrimonio culturale e del turismo” organizzato dal Sovereign Investment Lab dell’Università Bocconi e dalla Fondazione Riccardo Catella, e promosso da COIMA SGR. La preparazione del workshop è stata anche l’occasione per svolgere uno studio preliminare ad hoc condotto da Bernardo Bortolotti e da Giovanna Segre per riuscire ad inquadrare i principali termini della riflessione internazionale su un tema, che in realtà non guarda solo alle collezioni dei musei, ma si applica a tutto il più ampio sistema del patrimonio culturale.

Che il patrimonio artistico-culturale rappresenti un bene fondamentale di una nazione e contribuisca a rafforzarne l’identità, la coesione sociale e la coscienza civica è ormai un dato sempre più condiviso. Da un punto di vista economico, il patrimonio culturale è formato da beni che incorporano, preservano e forniscono valore culturale in aggiunta al loro valore economico intrinseco. Un vero e proprio “capitale”, come veniva definito ormai più di 15 anni fa dall’economista australiano David Throsby. Se opportunamente gestito, il patrimonio culturale è in grado di generare un ampio ecosistema di attività economiche attorno alla sua tutela, conservazione e soprattutto fruizione. Oggi si affaccia l’idea che il patrimonio culturale possa perciò anche costituire una tipologia di investimento finanziario di particolare interesse per una finanza che guardi al lungo periodo e non alla speculazione di breve, capace di generare rendimenti che seppur non alti, sono stabili e sicuri, nonché socialmente impattanti. Le scelte di diversificazione del portafoglio di fondi sovrani, banche di sviluppo, fondazioni, fondi e compagnie di assicurazioni guardano oggi infatti a linee di investimento alternative, con rendimenti ancorati ad asset fisici o a servizi d’interesse generale, allo scopo di garantire il capitale investito dall’inflazione. Si può guardare al bene culturale considerando il cash flow e la redditività presente e futura dell’asset in relazione alla commercializzazione di beni e servizi che gli ruotano attorno e all’incremento del valore patrimoniale.

Ma è un dato di fatto che una parte quantitativamente molto significativa del patrimonio culturale mondiale si trova in paesi, tra cui l’Italia, che attraversano una fase di ristagno economico caratterizzata da stringenti vincoli di bilancio, elevato debito pubblico e di conseguenza da una progressiva contrazione delle risorse pubbliche destinate alla tutela e alla gestione degli heritage assets largamente intesi (collezioni museali, siti archeologici, palazzi e dimore storiche, etc.). Una quota altrettanto importante di risorse finanziarie è negli anni andata accumulandosi nel Golfo o in altri paesi emergenti che grazie al progresso economico stanno ora cominciando a sviluppare interesse verso le risorse culturali con l’obiettivo di promuovere il turismo e l’interscambio culturale. L’arbitraggio culturale individua operazioni di partnership pubblico-privata di tipo globale attraverso cui collaborazioni transfrontaliere fra governi, istituzioni finanziarie e imprese consentono ai paesi con scarse dotazioni finanziarie di tutelare, conservare e valorizzare alcuni beni culturali, condividendone i benefici di natura economica ed extra-economica con paesi finanziariamente più ricchi, ma relativamente poveri di heritage. 

Nel contesto italiano, dove a fronte di numeri di rilevanza mondiale assoluta in quanto a presenza e importanza di heritage si riscontrano un ritorno turistico ed economico sensibilmente più bassi che in altri paesi, sono diversi i campi di applicazione possibile di queste logiche. Si va dalle collezioni dei musei abbandonate o non fruibili dal pubblico, agli oltre 1.000 villaggi storici abbandonati, dai grandi complessi architettonici in gravi condizioni di conservazione, ai beni di proprietà demaniale (oltre 45.000 in tutta Italia). Tutti casi che suggeriscono un’urgenza di intervento e l’opportunità di individuare nuove risorse finanziarie per la loro conservazione e messa a valore, tema peraltro su cui la stessa Unione Europea sta indirizzando significativi fondi di ricerca sul programma Horizon 2020. E l’intervento del Ministro Dario Franceschini, che ha concluso i lavori del workshop ricordando le tante novità normative avviate negli anni recenti dal Mibact, sembra potersi leggere come l’introduzione dei quelle condizioni necessarie, seppur non di per sé sufficienti, perché questo esperimento si possa avviare nel nostro Paese con qualche probabilità di successo.

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Giovanna Segre, Università di Torino