Fondazione Moleskine, unconventional cultural incubator
Apre a Milano la fondazione dell’azienda dei celebri taccuini che usa l'arte e la cultura come strumento di trasformazione sociale. Focus sulla quality education e sull’Africa, visto come laboratorio giovane e dinamico, metafora di molteplici prospettive. Ne parliamo con Maria Sebregondi, che negli anni Novanta ideò la linea di taccuini, Director of Brand Equity and Communication dell’azienda fino al 2015 e oggi presidente della fondazione.
A 20 anni dalla nascita del primo taccuino (il primo fu venduto nel 1995 nella libreria Feltrinelli di corso Buenos Aires a Milano), dopo un brillante percorso imprenditoriale culminato con la quotazione in Borsa (2013) e la recente vendita alla società belga D’Ieteren, il gruppo dei tre fondatori di Moleskine (Maria Sebregondi, Fabio Rosciglione e Roberto di Puma) ha deciso di dedicarsi totalmente al nonprofit trasformando l’esistente lettera27 nella Fondazione Moleskine.
L’azienda, ampliando la sua attività di CSR (negli anni ha sostenuto iniziative non profit come la Fondazione Bevilacqua la Masa e Red nella lotta contro l’AIDS), mette a disposizione della nuova realtà network, risorse e infrastrutture.
Ne parliamo con Maria Sebregondi, che negli anni Novanta ideò la linea di taccuini, Director of Brand Equity and Communication dell’azienda fino al 2015 e oggi presidente della fondazione che ha scelto da subito un posizionamento internazionale.
Perché è stata creata la Fondazione Moleskine?
La fondazione è un'organizzazione non-profit creata dagli stessi fondatori di lettera27 di cui è la naturale progressione. Ne raccoglie l'eredità, l'esperienza, le persone e, grazie a un'interazione più stretta con la società, ne sviluppa su più vasta scala gli scopi, aprendo orizzonti più ampi e maggiori possibilità di impatto sociale.
Che rapporti ci sono tra la società e la fondazione?
La fondazione è del tutto indipendente dalla società che ne sostiene finanziariamente la struttura (1% dell’ebitda annuale garantito per 3 anni[1]) garantendone la sostenibilità. In questo modo, le risorse esterne raccolte dalla fondazione sui singoli progetti attraverso partnership e contributi individuali sono integralmente devolute al finanziamento del progetto stesso.
L’obiettivo è riuscire ad attirare il 50% del finanziamento dall’esterno entro 10 anni.
Quale è l’obiettivo della fondazione?
Richiamandosi agli SDGs (Sustainable Development Goals) delle Nazioni Unite, il focus della fondazione è la quality education inclusiva, intesa come chiave per creare cambiamenti positivi nella società e guidare il futuro collettivo proponendo ai giovani strumenti educativi anticonvenzionali ed esperienze che possano aiutarli a rinforzare il pensiero critico, la creatività e il life-long learning.
Come è composta la squadra che lavora nella fondazione?
Oltre ai 3 fondatori, il team è formato da 5 persone con un background nel campo del non profit internazionale, della comunicazione della formazione non convenzionale.
Quale è il focus dei progetti?
La fondazione guarda con particolare attenzione all'Africa perchè è una metafora per il mondo. Tutto ciò che accade là, succede dappertutto. E’ giovane, rappresenta un laboratorio meraviglioso non solo per riflettere sul passato ma anche per pensare un altro futuro e un altro modo di relazionarci con gli altri.
Il primo progetto è AtWork: di che cosa di tratta?
AtWork è un format educativo itinerante ideato dalla fondazione con il curatore camerunese Simon Njami, un cantiere della sperimentazione sempre aperto, oggi alla sua 10ª tappa, per contribuire alla creazione di una nuova generazione di pensatori.
II nucleo centrale del progetto è un workhop a tema condotto da un artista o curatore che dura 3/5 giorni. Il tema prescelto fornisce lo spunto per l'avvio di un dibattito collettivo e di una riflessione individuale su questioni quali identità, cultura, comunità. Il risultato finale è la creazione di un taccuino personalizzato frutto del processo di elaborazione personale attivato dal workshop.
I taccuini sono poi esposti in una mostra curata dei partecipanti stessi in una galleria locale, prima occasione di condivisione ed estensione del dibattito al di fuori del gruppo di lavoro.
I partecipanti possono anche scegliere di donare i propri lavori adottando una licenza Creative Commons alla collezione di carnet d'artista della fondazione, una straordinaria serie di opere realizzate su taccuini Moleskine da vari artisti tra cui Antonio Marras, Marina Spatafora, Bili Bidjocka, Maurice Pefura e altri. La collezione contribuisce a sostenere le attività della fondazione.
Tutti coloro che hanno partecipato al corso entrano a far parte della Community AtWork, un gruppo internazionale e transculturale di artisti, intellettuali, studenti, curatori associazioni culturali, accomunati dalla convinzione che l'arte possa essere uno strumento di trasformazione sociale.
Il progetto si declina in diverse forme: i Capitoli, progettati e realizzati direttamente dalla fondazione in partnership con organizzazioni e istituzioni culturali locali, si rivolgono a giovani talenti creativi, studenti d'arte e artisti emergenti. Attraverso i Lab AtWork può essere adattato, realizzato e riprodotto autonomamente da organizzazioni e istituzioni culturali di tutto il mondo attraverso un semplice accordo tra le parti. Le linee guida del format sono fornite dalla fondazione e condivise apertamente per consentire a ciascuna organizzazione di adattarlo alle specificità del contesto locale e ai propri obiettivi. AtWork Corporate è uno spin off del format ideato dalla fondazione e rivolto alle aziende. Il workshop vuole essere una fonte d'ispirazione per i dipendenti dell'organizzazione ed è condotto da un artista curatore suggerito dalla fondazione. Il tema è deciso insieme all'azienda a seconda delle sue priorità. Crediamo che AtWork Corporate possa diventare un’interessante fonte di finanziamento per la fondazione.
Quali altri progetti ha avviato la fondazione sull’Africa?
Un secondo importante progetto è WikiAfrica, un progetto collaborativo pensato per aumentare la conoscenza del continente africano attraverso la creazione di nuove voci di Wikipedia scritte direttamente da studenti locali. Perchè dare voce significa dare anche identità.
Come avete pensato di far conoscere la fondazione?
Tra il 24 e il 28 ottobre scorso abbiamo costruito Creative Change, una settimana di eventi per esplorare e celebrare la creatività e il potere dell’education, invitando nella sede nella fondazione a Milano un gruppo di educatori, artisti, curatori e giornalisti internazionali per confrontarsi sui questi temi.
Quali sono i prossimi appuntamenti?
Entro l’anno abbiamo in programma un workshop di ArtWork a Douala in Camerun e una tappa di WikiAfrica a Cape Town in Sudafrica.
Stiamo inoltre lavorando sul piano triennale della fondazione e sulla definizione delle politiche di fundraising da proporre a partner internazionali.
“Questo taccuino in un libro ancora da scrivere, il libro che scrivi tu le sue pagine bianche sono un libero spazio in attesa delle tue idee e progetti, dell'attuale identità presente e di ciò che sarà. Quello che hai tra le mani uno strumento cognitivo, un catalizzatore di creatività, un accumulatore di emozioni che rilascia la sua carica di tempo. Nelle sue pagine bianche è nascosta una straordinaria tradizione: questo taccuino, grazie a un'eredità leggendaria, e parte di una staffetta creativa che continua ad attraversare lo spazio e tempo” (Maria Sebregondi).
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[1] I ricavi di Moleskine nel 2015, quando era quotata in Borsa, erano di €128 milioni con un margine operativo netto di € 42 milioni e un risultato netto di €28,3 milioni