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Fare impresa in cultura

  • Pubblicato il: 15/01/2018 - 00:01
Autore/i: 
Rubrica: 
NORMA(T)TIVA
Articolo a cura di: 
Claudio Bocci

La recente disciplina sulle imprese culturali e creative apre lo spazio  riflessionI sul fare intrapresa in cultura e ad una distinzione tra imprese culturali, finalizzate alla pubblica fruizione, e imprese creative, legittimamente orientate al profitto, e di regola tra loro complementari. Federculture è in prima linea. Il Direttore Claudio Bocci traccia un quadro di riferimento.


 
La fine ‘ordinata’ della XVII Legislatura ha impedito che fossero approvate numerose e importanti leggi da lungo tempo attese, prima fra tutte quella sullo Ius Soli. Tra queste ha rischiato di naufragare anche il ddl riguardante la ‘Disciplina e promozione delle imprese culturali e creative’ (AC Camera 2950), prima firmataria l’On. Anna Ascani.
 
Per evitare che il lungo lavoro preparatorio e di consultazione sviluppatosi negli ultimi mesi andasse perso, con un’abile mossa,  il contenuto del disegno di legge è stato recepito, con uno specifico emendamento, nella Legge di Stabilità che, con la sua approvazione, ha introdotto nell’ordinamento italiano la figura giuridica della imprese culturali e creative, a cui sono garantiti rilevanti benefici fiscali.
 
Sono imprese culturali e creative -recita il dispositivo contrassegnato dall’art. 35-bis della Legge di Stabilità approvata a fine anno-, le imprese “che abbiano quale oggetto sociale, in via prevalente o esclusiva, l’ideazione, la creazione, la produzione, lo sviluppo, la diffusione, la conservazione, la ricerca e la valorizzazione o la gestione di prodotti culturali, intesi quali beni, servizi e opere dell’ingegno inerenti alla letteratura, alla musica, alle arti figurative, alle arti applicate, allo spettacolo dal vivo, alla cinematografia e all’audiovisivo, agli archivi, alle biblioteche e ai musei, nonché al patrimonio culturale e ai processi di innovazione ad esso collegati”.
 
Come evidente, un perimetro molto ampio che tiene insieme prodotti culturali, frutto di talento creativo e legittimamente finalizzati al profitto, con i processi di gestione (tutela e valorizzazione), il cui obiettivo fondamentale dovrebbe essere quello di assicurare la salvaguardia del patrimonio culturale e la più larga partecipazione dei cittadini all’esperienza culturale.
 
E’ su questa distinzione che Federculture ha avviato un percorso di riflessione, culminato nella Conferenza Nazionale dell’Impresa Culturale, tenutasi a L’Aquila nel luglio scorso, per affermare la necessità di fare impresa con finalità di pubblica fruizione, affrontando di petto il tema della gestione innovativa e sostenibile delle risorse culturali.
 
Un tema che soprattutto gli Enti Locali, negli ultimi anni, hanno sperimentato con successo utilizzando la formula della fondazione di partecipazione  (basti pensare alla Fondazione Musei Civici Veneziani, alla Fondazione Ravennantica, alla Fondazione Brescia Musei,  a La Triennale di Milano o alla stessa Fondazione Musei Civici di Torino, che in queste settimane vive un momento di difficoltà non certo imputabile a cattiva gestione!). 
 
In anni più recenti, peraltro, anche il MiBACT ha introdotto formule  di gestione innovative che hanno interessato, ad esempio, il Museo Egizio di Torino,  il patrimonio archeologico di Aquileia, inserito nella Lista Unesco, o l’arte contemporanea con la creazione del MAXXI (tutte fondazioni) o, ancora, la Reggia di Venaria (consorzio) che, introducendo moderni criteri di management, hanno elevato la qualità dell’offerta culturale per i cittadini e per i turisti. Si sta facendo largo, insomma, la consapevolezza che l’innovazione in campo culturale passa per una rinnovata ‘cultura di gestione’ che, senza tradire la finalità pubblica (e tantomeno la pubblica titolarità del patrimonio gestito), sappia introdurre criteri di efficienza e di qualità rendicontabili ad una governance  evoluta, in grado di assegnare e valutare corretti obiettivi di partecipazione e di integrazione sociale oltreché di sostenibilità economica.
Lo stesso successo registrato  dai più importanti musei statali italiani, dotati di autonomia contabile, poggia sulla figura di un direttore-manager che risponde ad un consiglio di amministrazione in grado di verificare il raggiungimento degli obiettivi assegnati.
 
Sarà importante, in questo senso, registrare le riflessioni che stanno emergendo dagli stessi protagonisti che  interpretano  gli indirizzi di riforma del Ministro Franceschini, anche al fine di migliorare le prestazioni delle nostre eccellenze culturali e considerare la ‘provocazione’ emersa nel recente incontro organizzato dal Mibact con i nuovi direttori dei musei dotati di autonomia (di cui ha dato conto Edek Osser sul numero 381 de  Il Giornale dell’Arte) in cui il Direttore della Reggia di Caserta, Mauro Felicori, ha avanzato la proposta di trasformare i grandi musei in fondazioni che includano anche musei minori.
 
Si tratta di un tema molto delicato, anche perché nella percezione comune il termine ‘fondazione’ è collegato a ‘privatizzazione’ (con finalità di lucro!). Nella realtà, come spiega bene l’articolo di Marco D’Isanto pubblicato su questo numero de Il Giornale delle Fondazioni, la fondazione di partecipazione incoraggia il coinvolgimento di diversi profili di soggetti, non esclusa la rappresentanza della società civile che esprime la ‘comunità di eredità’ del territorio di riferimento.
 
E’ anche per questo che Federculture si è recentemente impegnata per la ratifica della Convenzione di Faro attraverso una raccolta di firme che, a causa della mancata approvazione nella passata legislatura, saranno consegnate ai Presidenti delle nuove Camere per sollecitarne la ratifica quale atto qualificante del nuovo Parlamento, nell’Anno Europeo del Patrimonio Culturale.
 
Su questa faglia ibrida tra pubblico e privato occorrerà spingersi per dare una risposta a corretti processi di valorizzazione che, mantenendo intatta la finalità di pubblica fruizione, introducano innovativi criteri di gestione. In ultima analisi, occorre definire appropriate politiche pubbliche e sviluppare quanto già previsto dagli artt. 111 e seguenti, la parte più disattesa del Codice dei Beni Culturali e riferita appunto al tema della gestione.
 
Ci auguriamo, pertanto, e ci impegneremo per questo, che nella fase di più puntuale definizione della disciplina legislativa introdotta con l’ultima Legge di Stabilità che rinvia ad uno specifico Decreto del Ministero per i Beni Attività Culturali e Turismo di concerto con il Ministero dello Sviluppo Economico, e previa intesa con la Conferenza Stato-Regioni, sia possibile distinguere l’impresa culturale dall’impresa creativa
 
A questo risultato sarà possibile giungere se si saprà ‘leggere’ in controluce e con attenzione anche lo spirito innovativo del Codice del Terzo Settore che disciplina le imprese sociali finalizzate alla valorizzazione del patrimonio culturale. E’ in gioco non soltanto il riequilibrio di un corretto rapporto tra tutela e valorizzazione ma anche la possibilità di connettere all’impresa culturale la possibilità di un nuovo percorso di sviluppo economico e sociale dei nostri territori, contribuendo a favorire, per questa via, l’emersione di ecosistemi centrati su poli culturali efficientati in cui può prosperare l’impresa profit, anche creativa, e anche a riassorbire quel livello intollerabile di disoccupazione, specie qualificata e giovanile, che in assenza di una domanda adeguata di lavoro si dirige altrove.
 
Claudio Bocci, Direttore Federculture, Consigliere delegato Comitato Ravello Lab
 
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