Di HCB non ce n'è uno solo
Parigi. «Non c’è uno solo, ci sono diversi Cartier-Bresson. É un personaggio complesso, che ha fatto scelte contraddittorie. Bisogna restituire questa complessità»: è questo l’aspetto su cui insiste di più Clément Chéroux, conservatore per la fotografia al museo d’Arte Moderna del Centre Pompidou, e curatore della mostra «Henri Cartier-Bresson» (fino al 9 giugno), realizzata in collaborazione con la fondazione che il fotografo aprì a Parigi nel 2003.
È la prima grande retrospettiva in Europa dedicata al lavoro del celebre reporter, teorico dell’«istante decisivo» e tra i fondatori, nel 1947, dell’agenzia Magnum, a dieci anni dalla sua morte, a 95 anni, il 3 agosto 2004 a Montjustin, un pittoresco paesino del Sud della Francia. Per ripercorre la sua lunga carriera, è stato scelto un approccio storico e cronologico, con più di 500 documenti in mostra, tra cui circa 350 scatti. Dalle prime prove di gioventù, in cui si sente l’influenza di Eugène Atget, al periodo surrealista e all’avventura con il cinema (fu l’assistente di Jean Renoir), passando naturalmente per gli anni del fotogiornalismo (con la guerra civile spagnola, il secondo conflitto mondiale, la guerra fredda…), fino agli scatti «riflessivi» degli anni 70 e gli autoritratti, che chiudono la mostra.
Ci sono alcune fotografie immancabili, come «Derrière la gare Saint-Lazare», del 1932. I ritratti celebri di Jean-Paul Sartre, Henri Matisse, Alberto Giacometti, Truman Capote. I reportage più famosi, le folle ai funerali di Gandhi, la Russia dopo la morte di Stalin, il maggio 68 a Parigi. L’incredibile (rivoluzionario?) reportage realizzato in occasione dell’incoronazione del re Giorgio VI, a Trafalgar Square, a Londra, il 12 maggio 1937, quando invece di fotografare il re, immortalò i volti della gente accorsa ad assistere alla cerimonia. Ma, poiché l’intenzione della mostra del Beaubourg è di andare al di là del mito HCB, sono numerosi anche gli inediti, come un album influenzato dal Costruttivismo. Per la prima volta sono inoltre esposti gli scatti a colori, che il fotografo aveva realizzato suo malgrado per alcune riviste. «La maggior parte delle grandi retrospettive su Cartier-Bresson, tra il 1998 e il 2004, hanno sempre voluto definire l’unità della sua visione, ha osservato Clément Chéroux. Ma la sua carriera è stata lunga e non è possibile ridurla a un’unità stilistica. Questa mostra vuole dimostrare per la prima volta che la sua opera non è affatto uniforme. Si vuole sottolineare il momento in cui Cartier-Bresson non è più solo un modello o un contromodello per le generazioni di fotografi, ma che entra nella storia, che è un artista, proprio come Matisse o Picasso».
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