Anno europeo del patrimonio culturale e musei
Pubblichiamo l’intervento tenuto a Artlab17 Mantova da Antonio Lampis, neo Direttore Generale dei musei del Mibact, che il 13 ottobre era a LuBec per moderare l’incontro con i Direttori dei Musei Nazionali Autonomi
Ho assunto alla guida della direzione generale dei musei del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo da pochi giorni. Non voglio tuttavia sottrarmi all'invito di Art lab a riflettere in pubblico sull’anno europeo del patrimonio culturale e posso farlo riferendomi solo ad alcune specifiche indicazioni particolarmente significative per il lavoro che dovrò svolgere a favore del sistema museale nazionale. La decisione UE 2017/864 del 17 maggio 2017 relativa a un ‘Anno europeo del patrimonio culturale’ (2018) prevede espressamente che la ‘sua gestione sostenibile’ rappresenti una scelta strategica per il ventunesimo secolo, che il contributo del patrimonio culturale in termini di creazione di valore, di competenze, di occupazione e di qualità della vita sia sottovalutato e che il rafforzamento e la gestione del patrimonio culturale richiedono un'efficace governance partecipativa (vale a dire multilivello e fra diversi portatori di interessi) e una cooperazione intersettoriale rafforzata.
L’ accento sulla gestione sostenibile e sulla governance coincide con quella intuizione fondamentale della riforma del ministro Franceschini denominata sistema nazionale dei musei, alla cui realizzazione saranno dedicati i prossimi anni di lavoro della direzione generale dei musei. Si tratta di un sistema pensato per lavorare insieme alle Università e al sistema di formazione, ai tanti attori della società civile e soprattutto con le Regioni e i Comuni.
È evidente che soprattutto in Italia una parte enorme del patrimonio culturale è nei musei ed attraverso musei profondamente rinnovati potrà ancora di più svolgere quel ruolo di crescita culturale, sociale, spirituale ed economica cui fa riferimento alla decisione europea e le tante riflessioni che accompagnano la mia in questa edizione di ArtLab. I grandi musei italiani sono strettamente collegati al territorio cittadino o regionale nel quale furono creati, ma il punto di forza italiano, in assenza di uno storico disegno nazionale stile Louvre o Prado, sta proprio nel collegamento in capo allo Stato di centinaia di musei e luoghi della cultura che da un protocollo di rete avanzato, appunto il sistema, potranno avere strumenti e occasioni per moltiplicare gli effetti positivi di ogni singolo loro impatto nella società.
La riforma ha già portato incredibili risultati in tema di aumento del numero dei visitatori e di partecipazione della cittadinanza all'attività museale. In poco tempo e nonostante la tradizionale ostilità del sistema amministrativo italiano ad ogni processo di cambiamento, ha reso il concetto del museo e del direttore di museo presente nel percorso mentale di moltissime persone, colmando una nebulosità del passato che impediva ai musei di sviluppare tutto il loro potenziale necessario a divenire punto di riferimento per lo sviluppo spirituale e culturale di chi vive intorno al museo e dei visitatori di più lontana provenienza. Ora lo sviluppo del concetto di rete museale, appunto il sistema, previsto dalla riforma è il passo coerente verso un percorso di sviluppo che ormai sembra, per usare le recenti parole del professor Baia Curioni, inarrestabile.
Il sistema va pensato lontano da impostazioni gerarchiche, molto più che sull’appartenenza deve essere fondato sul collegamento. Ai musei manca un collegamento informatico condiviso e connesso con il Ministero, quel necessario collegamento che favorisca lo scambio di informazioni, la valutazione dei big data, le verifiche gestionali e che finalmente possa accelerare la gestione contabile. I musei, come tutte le organizzazioni statali in Italia soffrono dell’intricato groviglio normativo sul versante dell’amministrazione, della scarsa chiarezza delle troppe norme e della loro interpretazione, della sovrapposizione di controlli, fenomeni che riguardano in modo particolare i processi di spesa, di selezione del contraente e soprattutto la gestione delle risorse umane. Per rendere il patrimonio meno sottovalutato, come dice la decisione europea, occorre mettere chi studia e lavora per la valorizzazione in migliori condizioni di poterla fare.
La semplificazione amministrativa, che pur ha avuto in questi anni un convinto rilancio nel dibattito politico, è ancora gravemente insufficiente, essa resta presupposto indispensabile per avere efficienza e per evitare che interessi di parte comprimano eccessivamente l’interesse pubblico. Dopo 36 anni di lavoro nella pubblica amministrazione ancora ripeto che il principale argine all’inefficienza e alla corruzione potrà solo essere costruito con un più radicale, molto, molto più radicale, processo di semplificazione delle norme sull’amministrazione e delle procedure amministrative.
Il sistema museale nazionale diviene gestione sostenibile, per usare le parole della decisione europea, solo se potrà collocarsi rapidamente sotto un comune cielo digitale, sopra su un comune fiume digitale, poiché il fluire dei dati oggi è acqua e aria di qualunque sistema.
Per essere governance partecipativa è necessaria una diffusa formazione degli operatori e saranno altresì necessari, fin dalla sua prima impostazione, indicazioni di branding tali da farlo leggere immediatamente in senso positivo dalla opinione pubblica, dai possibili partner e dagli altri stakeholder e un luogo fisico in cui potersi rappresentare, favorire nella capitale incontri reali, bilanci sociali, scambi di esperienze.
Nel cambio di prospettiva determinato dall’epoca post-internet andrà governato e agevolato il collegamento o il dialogo tra i siti web, i contesti social dei musei aderenti le altre piattaforme sociali di sharing esperienziale e la sperimentazione comune delle nuove tecnologie di cura del pubblico e di sorveglianza.
Queste ultime potranno finalmente favorire anche la riqualificazione di parte del personale di guardiania verso il sistema della vigilanza attiva, catalogo parlante o come meglio dir si voglia, per una conseguente maggiore valorizzazione della storia dell’arte e delle recenti sue declinazioni rivolte ad una maggiore cura ed un maggior dialogo delle varie tipologie di visitatori dentro e fuori il museo. Non basterà certo un anno europeo, tuttavia la decisione contiene indicazioni per la sfida più grande, quella di perfezionare il racconto museale, la contestualizzazione delle opere esposte con gli ambienti della loro provenienze e con il tessuto sociale e produttivo in cui furono concepite.
Se si mira ad un’idea reale di patrimonio e ad un idea di museo che sia realmente polisemico, sarà determinante reinserire quanto più frequentemente possibile le opere esposte nel contesto sociale e economico da cui sono state tratte. Quelle opere che erano nelle camere da letto, nelle chiese, quelle opere che rappresentano del cibo che magari si produce ancora, quelle opere che rappresentano arredi che magari un artigiano non tanto distante dal museo è ancora capace di fare. Il grande patrimonio artigianale italiano è dentro molte delle opere che noi esponiamo nei musei.
Ancora oggi probabilmente c’è qualcuno che fa quelle stoffe, ancora oggi c’è qualcuno che dispone la frutta nello stesso modo, un collegamento col sistema produttivo mi appare molto importante per parlare al visitatore con maggiore efficacia. Le possibilità di avere racconti sui musei relazionati anche con il grande patrimonio produttivo, la grande eredità del passato che talvolta ancora sopravvive soprattutto nell’artigianato è quindi un altro dei canali per fare uscire molta storia dai musei e riconnetterla con la società di oggi. La nostra grande scuola di storia dell'arte gli studi più avanzate di archeologia hanno tutte le risorse scientifiche per riuscire in questa sfida.
La decisione europea contiene anche un chiaro invito ad un'attenzione particolare alle giovani generazioni e in ciò bisogna essere consapevoli che l’organizzazione del sapere nelle nuove generazioni ha una catalogazione completamente differente da quella del passato millennio. Le nuove menti gestiscono fin dall'infanzia una complessità esperienziale inconcepibile per le generazioni passate e i più attenti cognitivisti ci insegnano che quasi ogni aspetto dell'esperienza culturale viene percepito in termini di evoluzione costante, percezione con cui la staticità di molte rappresentazioni del patrimonio culturale dovranno inevitabilmente fare i conti in tempi brevi. Anche per tale ragione il sistema museale dovrà trovare le diffuse modalità per richiamare maggiormente l’attenzione sul lavoro degli artisti di oggi. Resta infatti un compito pubblico ineludibile continuare a richiamare l’attenzione sull’importanza della figura sociale dell’artista, ricordare che è un lavoratore, perché ieri e oggi, senza il continuo lavoro degli artisti non ci sarebbe il patrimonio culturale. Diceva un mio grande maestro ai bambini che visitavano un museo d’arte contemporanea: questa roba potrà pure non piacervi, ma non sarete protagonisti del vostro tempo se non la conoscerete.
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